giovedì 11 ottobre 2012

Test HIV fai da te? No grazie!

Leggo sul sito del Mario mieli la notizia che Arriva in America il test fai da te.

Un test cioè, si legge sul post, da eseguire a casa propria.  

Si chiama OraQuick, e, si dice nel post
L’uso (..) è piuttosto semplice. All’interno della confezione c’è un bastoncino simile a quello per la verifica dello stato di gravidanza. Basterà passarlo una sola volta nello spazio tra il labbro inferiore e la gengiva (ma è possibile anche appoggiare all’estremità dello stick una goccia di sangue estratta dal dito) e riporlo nel dispositivo di analisi all’interno della confezione.
In realtà chi ha scritto il post confonde due tipi diversi di test da fare in casa.

OraQuick prevede solo la raccolta dei fluidi vicino alle gengive come è mostrato dal disegno tratto dal sito,


dove si specifica che non è richiesto assolutamente il sangue.

Il test da fare col sangue è un altro, di un'altra casa farmaceutica,  commercializzato col nome di HIV test yourself.

Entrambi i test costano, nesli States 40 dollari. HIV test yourself si può acquistare  anche in Italia al costo di 70 euro...

Nel post del mieli si sottolineano i vantaggi del test casalingo dicendo che
Il test va ad aggiungersi ai numerosi strumenti che hanno reso la vita delle persone che si avvicinano alla malattia più facile,
Ora, come si sa, l'aids non è una malattia ma una sindrome... Ma tant'è.

Fare il test, poi, non vuol dire avvicinarsi alla malattia ma, si spera almeno, tenersene lontano!
Di nuovo, tant'è.
promettendo di limitare le situazioni che tipicamente generano ansia: l’attesa del risultato; la frustrazione di non verificare il proprio stato di salute con la giusta scadenza (almeno una volta ogni tre mesi con i moderni sistemi di analisi del sangue);
Non capisco a cosa si riferisca la frustrazione? Chi mi vieta di fare il test ogni 3 mesi, gratis, in ospedale?
le code in ospedale la mattina presto e a digiuno.
A digiuno è una bufala, perchè il test HIV (solo Hiv non da fare assieme ad altri test ematici) lo stato di digiuno è ininfluente.
Almeno così riporta il sito www.anlaidsonlus.it e comunque ognuno che ha fatto il test sa che il digiuno non è richiesto.
Ogni volta che lo faccio io allo Spallanzani non è richiesto. Ancora, tant'è. Il post continua con un altro dato errato.

Chi vorrà potrà acquistare ogni volta che vorrà OraQuick per 60 dollari, meno di 50 euro,
le cifre, come abbiamo visto,  sono 40 dollari negli USA e 70 euro in un sito italiano (solo per uno dei due test essendo l'altro non ancora in commercio in Europa).
e avere immediatamente la risposta che cerca.
Adesso visto che comunque se il test dovesse risultare positivo mi viene comunque richiesto  il test in ospedale, dove è gratuito, anonimo, né serve presentare ricetta medica, perchè dovrei spendere 40 dollari (o 70 euro per quello commercializzato in Italia) quando posso avere un risultato più affidabile e sicuro gratis?

Non si capisce...

Tra l'altro, come è scritto nelle istruzioni di  OralQuick che si possono caricare dal sito

*

Presentare il test fai da te come uno strumento di controllo attendibile è socialmente pericoloso perchè il test fatto in casa fuori da ogni controllo medico è meno attendibile di quello fatto in ospedale e se, comunque, si richiede un altro test in ospedale nel caso si risulti positivi, tutti i vantaggi del test vanno a farsi benedire.
Inoltre ricevere il risultato del test (soprattutto se positivo) da un medico è sempre meglio che riceverlo da soli in casa. 

Altro dato controverso l'attendibilità del test casalingo.

Il post del mieli riporta  che
Il risultato ha un’attendibilità del 93%, secondo la Food and Drug Administration.
Mentre un articolo pubblicato sul sito significancemagazine dà altri dati:

Researchers found that that 92% of people who are HIV positive received a positive test result. This is called the "sensitivity" of the test. They also found that 99.98% of people who were HIV negative received a negative test result. This is called the "specificity" of the test.
In terms of numbers, this means that about 2 in every 25 people who have HIV will receive a false negative test, and 2 in every 10,000 people without HIV will receive a false positive result**.


Dei vantaggi del test fatto in casa riportati nel post non vedo uno che sia un concreto motivo per preferirlo a quello in ospedale.
Non economico,
non per la precisione.
Nemmeno per la privacy visto che anche le persone minorenni possono fare il test da soli mentre negli States il test è venduto a persone che hanno almeno 17 anni...

Anche l'effetto finestra è lo stesso dei test fatti in ospedale, quindi...


Insomma mi sembra che l'unica novità di questo test sia consumistica.

Prima lo potevi fare solo in ospedale ora lo puoi fare a casa.

Se sei ricco e hai dai 40 dollari ai 70 euro da buttare via, tra un controllo e l'altro in ospedale, puoi pure fare questo test tanto per essere rassicurato in the between ma questo testo non sostituisce l'accuratezza e la serietà di quello in ospedale... 

Il post del Mario mieli parla di tutto questo? Si e no. Parla di polemiche (cioè non di problemi veri e concreti ma esagerati e gonfiati ad arte per uno scopo...) e dice che
L’entrata in commercio del test non è però esente da polemiche.Oltre agli indubbi benefici ci sono anche aspetti negativi di cui tenere conto, ad iniziare dal suo eventuale abuso come, ad esempio, su un posto di lavoro prima dell’assunzione o da parte delle compagnie assicurative.
E non so a cosa si riferisca visto che - almeno in Italia - nessuno può imporre il test e che non può essere somministrato a tua insaputa in maniera illegale visto che o ti devono pungere un dito o ficcare un tampone in bocca...
Per non parlare della percezione del rischio che secondo gli operatori potrebbe calare con un accesso così semplificato alla procedura di verifica del proprio stato di salute.
Secondo gli operatori. E secondo l'autore del post? Secondo il Mario Mieli che è un operatore nella città di Roma?


Ecco un post allineato all'inaccuratezza dell'informazione italiana...

Comperate il test, tra un I-Phone e un viaggio gayfriendly alle Bahamas...

Tanto -  si sa - i gay i soldi ce li hanno...




per quelli di voi che non leggono l'inglese

*Un risultato positivo con questo test non significa che
     si è sicuramente infetti da HIV, ma piuttosto che un
     ulteriore test dovrebbe essere fatto in un ospedale.

     Un risultato negativo con questo test non significa che non si
     è sicuramente non infetti da HIV, in particolare quando
     l'esposizione al virus può essere avvenuta nei precedenti 3 mesi.

     Se il test è negativo e ci si impegna in attività che mettono
     è a rischio di HIV su base regolare, è necessario verificare regolarmente.

     Questo prodotto non deve essere utilizzato per prendere decisioni su
     comportamenti che possono aumentare il rischio di una esposizione all'HIV.


**
I ricercatori hanno scoperto che il 92% di persone che sono sieropositive ha ricevuto un risultato positivo. Questo è chiamato "sensibilità" del test.
Hanno anche scoperto che
il 99,98% delle persone che sono HIV negative hanno ricevuto un risultato negativo del test. Questo è chiamato "specificità" del test.

In termini di numeri, questo significa che circa 2 ogni 25 persone che hanno l'HIV riceverà un falso negativo, e 2 in ogni 10.000 persone senza HIV riceverà un falso positivo.

Coming out day. Che sia un giorno di autoemancipazione e non di autoaccettazione.

Il Coming Out Day si è tenuto per la prima volta negli USA l'11 ottobre 1988 l'idea di celebrare il coming out con un giorno ad esso dedicato fu di Robert Eichberg, psicologo del New Mexico, e Jean O'Leary, politico ed attivista LGBT di Los Angeles, durante il workshop The Experience and National Gay Rights Advocates, scegliendo come data simbolica quella della seconda marcia nazionale su Washington per i diritti delle lesbiche e dei gay tenutasi l'11 ottobre 1987. Del 1990 ha iniziato a dare il suo importante contributo alla celebrazione del Coming Out Day la Human Rights Campaign.
Dal 1995 Candace Gingrich è la portavoce del Coming Out Day.Il Coming Out Day è celebrato, oltre che negli USA, anche in Australia, Canada, Croazia, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Svizzera e Regno Unito*.

Coming out è la versione breve dell'espressione inglese coming out of the closet (“uscire dal ripostiglio” o “dall’armadio a muro”) cioè ammettere apertamente di essere gay, (ma, in inglese può anche significare più generalmente ammettere apertamente qualcosa che prima si teneva segreto.

Il coming out ha una forte valenza politica perchè dà visibilità a un orientamento sessuale che la società eterosessista vorrebbe relegato nella sola camera da letto.

Quante volte ci siamo sentit* dire: ma perchè lo ostentate? Non mi interessa cosa fate in camera da letto.
Il problema naturalmente non è quello che facciamo in camera da letto.
Perchè nel privato delle proprie abitazioni due cittadini adulti e consenzienti possono fare quello che vogliono, se non violano la legge, e l'omosessualità (o la sodomia) non sono vietate in Italia.

La visibilità che manca non è sessuale ma morale, esistenziale.

Un ragazzo o una ragazza omosessuali devono poter avere la stessa possibilità delle persone etero di manifestare non già le proprie preferenze sessuali, ma la propria affettività, la propria affinità spirituale per le perone dello stesso sesso con le quali fanno sesso, sì, ma, anche, amano, provano affetto per, sono coinvolte emotivamente e spiritualmente.

Lo stigma pesantissimo che si traduce non solo in manifestazioni di  pubblico ludibrio ma arrivano all'aggressione verbale e fisica (così violenta da portare anche alla morte) induce le persone omosessuali a rimanere nascoste, non dichiarate, velate, non tanto e non solo per paura del giudizio altrui, per quello che pensa la gente di loro ma per sottrarsi a battute, aggressioni, sputi, calci, coltellate, carcere, processi, impiccagione (fuori dall'Italia ma pur sempre su questo Pianeta).

La valenza politica del coming out è dunque evidente e va spiegata solo a chi non ha mai vissuto sulla propria pelle lo stigma sociale.

Purtroppo al al coming out è collegata invece una retorica dell'accettazione che si dimentica della pressione sociale e sottolinea come 
Il Coming out (...) è (...) frutto di un percorso di crescita, di accettazione personale
come scrive Tizana Biondi sul sito Stonewall, spiegando come

Prima di arrivare al coming out pubblico bisogna passare da quello che viene definito coming out interiore, ovvero quello della completa accettazione della propria omosessualità. Questo percorso che per molti può durare mesi o anni, per altri può non completarsi mai, a causa di vari condizionamenti familiari, sociali e soprattutto religiosi.



L'autoaccettazione è un concetto che mi pesa e mi angoscia.
Perchè dice, implicitamente, che l'omosessualità è un fardello da accettare di per sé.

Pensate un po' se i neri o le donne, quando hanno fatto la loro lotta di autoemancipazione avessero detto come neri e come donne  dobbiamo accettarci! Accettarci?
Loro scendevano in piazza per denunciare una discriminazione non per chiedere accettazione.

Se lo stigma è sociale devo avere il coraggio di dire e mostrarmi per quello che sono.

Se non mi accetto è per delle pressioni sociali esterne non perchè, oggettivamente, l'omosessualità sia una menomazione cui rassegnarsi.


Non ci si deve accettare si deve imparare a vivere in un mondo che stigmatizza.

Quel che si deve accettare sono casomai le conseguenze dello stigma  che non devo impedirci di vivere per quello che siamo alla luce del sole.
Non la propria condizione. La discriminazione, che non deve essere un deterrente e che, anzi , va denunciata  e combattuta. Il significato politico del coming out è tutto qui.


Siamo sicuri che quando si palra di autoaccettazione  invece che autoemancipazione   si voglia dire questo?

Che quando su Spetteguless si scrive
(un giorno per prender coraggio e gettare in terra la maschera che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo indossato. (...)  Per prendere forza e coraggio, ed urlare al mondo ‘sono gay’. Perché checché se ne dica l’accettazione è tutto, personale ed altrui, e mai come domani quella tanto attesa sensazione di libertà potrebbe esser finalmente vostra.
Io temo di no.

Credo che per un tic cattolico tutte e tutti pensiamo all'omosessualità come un accidente che ci è capitato e che prima accettiamo meglio è.

Altrettanto deleteria è la retorica del raccontarsi, che trovo davvero disgustosa.

Le persone etero hanno forse mai dovuto confessare la loro inclinazione?

E perchè mai lo dovrei fare io?

Il coming out non significa dire sono gay.

Io a mia madre non ho mai detto mamma sono gay.

Le ho detto: mamma questo è Paolo. Il mio fidanzato.

Capite la differenza?

Non dico di essere gay. Vivo la mia vita affettiva e sessuale normalmente come la vivono le persone etero senza ostentare né nascondere. 


La visibilità è una risposta politica a chi ci vorrebbe invisibili.


La testimonianza vale lo stesso. E' politica quando racconti dello stigma che subisci non quando confessi ai tuoi una cosa perfettamente normale.

E se i genitori ti cacciano di casa lo possono fare per tanti altri motivi non solo per lo stigma omofobico.

Se tuo padre vuole che tu faccia il medico ma tu vuoi fare il cantatutore e quando glielo dici ti risponde allora non ti mantengo più a nessuno verrebbe in mente di dire quando hai scoerto di essere ...cantautore, come l'hai detto ai tuoi.


Questa retorica del coming out è squisitamente omofobica e va rifiutata.

Se parlo della mia omosessualità è per denunciare lo stigma sociale, il mancato riconoscimento di alcuni diritti, non perchè voglio mostrare  tutti che non mi vergogno ad avere una mano in meno o un occhio in più.

Cave canem.

Non sto criticando chi si vergogna o chi non si accetta. Non sto nemmeno dicendo che non ci sono gay e lesbcihe che non si accettano o si vergognano.

Per loro ho il massimo rispetto e comprensione.
  Io critico la militanza che invece di mostrare a queste persone con i propri discorsi e la propria accoglienza che non c'è niente di cui vergognarsi e che non ci si deve accettare ma ci si deve autoemancipare che non vuol dire affatto accettarsi ma sottrarsi allo stigma di cui si è vittime che è tutt'altra cosa, indulgono cattolicamente all'accettazione.




*fonte Wikipedia

Post frivolo 2: ragazzi che mi piacciono delle pubblicità

Stavolta sono due.
Carini entrambi. Ma la cosa che mi innamora sono le espressioni del viso che fanno quando dissimulano di aver vinto un premio...

Quelle però potete coglierle solo guardando il video...













 

Ed ecco lo spot.

martedì 9 ottobre 2012

Il moralismo del militante lgbt: su un post di Mattia Surroz

Leggo su Quore, il sito lgbt torinese, un post nel quale Mattia Surroz scrive un'invettiva contro chi, nei siti di rimorchio, non mette foto del viso.
Surroz parla 
[di] chat, che siano siti web dedicati a favorire incontri e conoscenze piuttosto che applicazioni per smartphone è irrilevante. 
Cioè, aggiungo io tanto per essere chiari,  di siti dove incontri gente per scopare.

 Per Mattia si tratta di
una precisa tipologia di omosessuale (...) [che] nel proprio profilo non mostra nessuna foto del viso (...). 
La rabbia scaturisce da quella che considero una scorrettezza di fondo (...): “per quale motivo dovrei rispondere ai complimenti di qualcuno di cui non conosco neppure i connotati?”.
Per me  il viso costituisce almeno l'80% dell'attrattiva sessuale di un ragazzo, o di un uomo, se non vedo il viso le parti anatomiche mi sono del tutto indifferenti.
A me non piace il cazzo, spiego loro quando chiedo foto del viso, mi piace il cazzo di.
Se mi piace il viso del ...proprietario  mi piacciono anche gli attributi, non viceversa.
Invece per molti gay quel che conta sono le dimensioni e il viso è secondario.

De Gustibus, per carità.

Anche se in questo atteggiamento posso notare una certa autoreferenzialità del cazzo (e delle sue dimensioni) andiamo tutti su quei siti per scopare e ognuno scopa con chi vuole e come vuole (maggiorenni e consenzienti beninteso).

Surroz si arrabbia per ben altri motivi.
(...) non mostrarsi è una scorrettezza, (...) ma è [anche] sintomo di un problema profondo.
Sono giunto alla conclusione che chi si nasconde ha sicuramente un problema da risolvere, e i casi non sono poi molti.
Iniziando una casistica che tradisce, secondo me, un atteggiamento moralista.
Pochi, immagino, non si mostrano perché si considerano brutti o poco avvenenti.
Strana considerazione visto che sei in un sito di incontri e, prima o poi, ti vedranno.  Mi sembra più una battuta cattiva per criticare chi non ci mette la faccia ma altre parti del corpo, le uniche davvero importanti per molti frequentatori di questi siti...
Altri, molto più numerosi, non si mostrano perché cercano in segreto scappatelle fuori dalla loro relazione.
Altri ancora, una percentuale inquietantemente rilevante, nonché una sotto-categoria della precedente, riguarda uomini, a detta loro eterosessuali, fidanzati, sposati, spesso padri.
Gli ultimi, e anche questi sono moltissimi,  invece  cercano incontri clandestini, chiedono massima riservatezza per preservare il segreto della loro omosessualità, non essendo dichiarati.
Sfugge a Surroz che molti possono decidere di non mettere foto per motivi di privacy che non riguardano l'orientamento sessuale ma il fatto che stanno cercando qualcuno con cui scopare.

Infatti lo stesso identico comportamento esiste anche nei siti etero dove ci sono uomini che cercano donne e che non mettono la faccia.
La faccia la mostrano in privato, in webcam, o inviandoti una foto via mail, come anche gli uomini dei siti di rimorchio gay.


Non capisco poi  (cioè lo capisco benissimo) cosa voglia insinuare la specificazione a detta loro eterosessuali, fidanzati, sposati, spesso padri.
 
Evidentemente per Surroz se un uomo fa sesso con un altro uomo non può essere eterosessuale ma solamente gay.
Di più se si definisce etero e poi fa sesso anche con uomini è un gay represso, che si nasconde.

Eppure la psicanalisi  distingue il comportamento sessuale (=con chi fai sesso) dall'identità sessuale (=in quale orientamento sessuale ti identifichi).

In ogni caso un padre di famiglia sposato (o convivente...) non è necessariamente omosessuale può anche essere bisex.

Cioè è un uomo che ha un comportamento sessuale bisex ma ha una identità sessuale etero (o bisex).
Per la psicanalisi non c'è nulla di patologico o di negativo in questo.
Per Surroz sì.

Una medaglia con due facce: la prima rappresentata dalla viltà di chi non si è  preso la responsabilità di quello che è, che ha trovato soluzioni alternative, che spesso si trova a rovinar la vita a se stesso e a chi gli vuole bene; la seconda da chi invece lo ha fatto e deve necessariamente lavorare anche per tutti gli altri, e lottare contro un sistema alimentato da bigottismo, retaggi culturali  e religiosi.
Dunque per Surroz se un uomo sposato con una donna (purtroppo in Italia di questa specificazione non c'è bisogno ma fossimo in altri Paesi sì) fa sesso con alti uomini è necessariamente un omosessuale che vive quello che è in maniera clandestina, e rovina anche la vita a chi gli vuole bene.

Peggio per Surroz questi uomini sono

stronzi che si limitano a cercare sesso occasionale e poi tornano alle loro tristi vite di menzogne e omissioni.
Vorrei chiedere a Surroz cosa fanno gli altri uomini, quelli che, come il sottoscritto, ci mettono la faccia. Che forse noi non cerchiamo sesso occasionale?

Allora non è il sesso occasionale a dirimere la questione.

Nè il fatto che si faccia sesso occasionale anche se si ha una storia fissa.

Perchè non mi sembra che a Surroz abbia qualcosa da ridire sul tradimento di per sé.


Un uomo sposato con una donna che fa sesso occasionale con partner dell'altro sesso non fa lo stesso male alla moglie che gli vuole bene. Perchè non gli nasconde la sua vera natura, che è gay, incompatibile con quella etero che finge solo di volere...

Ma Surroz che ne sa?

Le scappatelle dell'uomo sposato vanno bene solo quando restano nell'alveo dell'eterosessualità.

Altrimenti devi scegliere una delle due sponde.  O resti con la moglie e hai figli o sei gay. Niente opzione bisex... Tertium non datur.


Mi sembra che Surroz confonda la paura di fare coming out con la paura che venga scoperto che tradisce.

Mi sembra un modo troppo semplificatorio e unilaterale di vedere la faccenda.

Da un lato siamo tutti o gay o etero (la bisessualità non esiste). Dall'altro se non mettiamo la faccia siamo tutti o brutti o abbiamo paura di dire che siamo gay.

In questa vocazione classificatoria io ci vedo un  paternalismo moralista che giudica il comportamento del prossimo.

Anche fosse vero quel che dice Surroz, io tratterei questi padri di famiglia (ma per Surroz possono essere anche ragazzi che non avevano il coraggio di vivere sotto la luce del sole) con più rispetto, perchè sono vittime dello stigma e dell'omonegatività che vanno bel al di là del sistema alimentato da bigottismo, retaggi culturali  e religiosi come pretende Surroz e riguardano invece la società intera, la televisione e tutti gli altri media, le leggi dello Stato, i luoghi pubblici, scuole e posti di lavoro, luoghi di intrattenimento dove le persone omosessuali vengono derise aggredite e uccise.

Non tutti abbiamo la forza, la determinatezza, il coraggio o i mezzi materiali  e morali di vivere alla luce del sole e i motivi per cui non riusciamo a farlo celano sempre un disagio che va compreso prima che giudicato.

Trovo ridicolo poi che si sollevi questa questione non già per una iniziativa pubblica (una manifestazione, un  sit in) ma in un sito dove si va per scopare!

A questo militante che cataloga tutti i bisex come froci repressi e poi li accusa di non contribuire alla lotta ricordo che sta discriminando dei bisex o magari anche omosessuali nascosti ma che con questa intransigenza frocia (cioè isterica) non aiuta né loro, che si rintuzzeranno nel loro nascondiglio ancora di più, né la causa.

Perchè se la visibilità è sicuramente un forte strumento politico non si può mai accusare di remare contro chi per motivi di stigma non fa coming out.

Surroz farebbe bene a ricordare che ognuno ha diritto di rimanere velato fin quanto lo reputa necessario. E che è altamente discriminatorio aggiungere anche lo stigma della non visibilità a chi proprio per lo stigma non è visibile.

A meno che chi non è visibile non parli male dell'omosessualità e poi abbia un comportamento omosessuale nel qual caso esiste l'outing.

Ma nascondersi, o semplicemente tradire la moglie invece che con un'altra donna con un uomo non vuol dire parlare male dell'omosessualità.

Questa Gestapo della militanza mi sembra talmente antidemocratica da darmi quasi più fastidio delle ecolalie dei vari Giovanardi di turno.


L'intransigenza frocia è figlia del moralismo cattolico e va rispedita al mittente con calma ma convinta fermezza.


Post frivolo: ragazzi che mi piacciono nelle pubblicità.

Ecco il mio primo post froc, checc, pedof... ehm, frivolo, nel quale non bado affatto alla contenuto ma solo alla forma.

Insomma anche io indulgo al frivolo e parlo dei ragazzi delle pubblicità che mi piacciono...-

Ehm... Già. Tutto qua.

Cominciamo con lui. Giovanissimo, quasi da gettone telefonico (richiamami tra due anni) ma quando fa quel sorriso ti disarma... e ti fa sognare.







Ed ecco lo spot.

lunedì 8 ottobre 2012

Identità di genere fluida: la prepotenza degli stereotipi sull'articolo Che male c’è se un bambino si veste da femmina? di Ruth Padawer

Basta il titolo dell'articolo-fiume di Ruth Padawer per rimanere perplessi.

Cosa vuol dire infatti che un bambino si veste da femmina?

Se non bastasse è sufficiente leggere quello che i genitori di Alex, un bambino che va ancora all'asilo, dicono di lui:
Alex ha sempre avuto un’identità di genere fluida, e al momento si identifica con passione sia con i calciatori e i supereroi, sia con le principesse e le ballerine (per non parlare degli unicorni, dei dinosauri e dei lustrini colorati)

Vediamo di capirci qualcosa.  Quando si parla di identificazione non si intende una identificazione letterale (Alex non vuole essere un dinosauro). Si parla di ruoli. Ruolo del calciatore e ruolo della principessa. Ruoli codificati secondo rigidi stereotipi di genere che non permettono di coniugare il ruolo della principessa al maschile senza scalfire l'immagine di una maschilità virile (mascolinità).


Non nego che ci siano uomini e donne che vogliono essere percepiti, qualunque ne sia il motivo, come appartenenti all'altro sesso, a discapito di quello biologico che non sentono proprio.
Però ogni volta che un uomo o una donna, anche in età infantile deroga dai rigidi stereotipi di genere viene subito ascritto nella sfera se non già del transgenderismo in quella della fluidità di genere.
Siamo così rigidi con le parole e con gli stereotipi di genere che le parole veicolano da modificare le persone e la loro identità di genere pur di mantenere gli stereotipi di genere che vengono percepiti come dati una volta per tutti e non determinati storicamente.


Sebbene i genitori di Alex siano consapevoli che
Quando aveva quattro anni, Alex diceva di essere “un bambino e una bambina”, ma nei due anni successivi si è reso conto di essere semplicemente un bambino al quale ogni tanto piace indossare abiti femminili e fare giochi da bambina.
Invece di riconoscere che non ci sono giochi da bambini e  giochi da bambina per mantenere questa distinzione arrivano a teorizzare una fluidità di genere, i cui assunti epistemologici sono gli stessi che 40 anni fa pensavano portavano a vedere le persone omosessuali come invertite per via dell'attrazione erotico sentimentale per le persone del sesso sbagliato. Adesso si ripete lo stesso pregiudizio nei comportamenti.

Alex avrebbe una identità di genere fluida perchè 
Certi giorni, quando è a casa, mette un vestito, si dipinge le unghie e gioca con le bambole. Altri giorni si scatena, lancia i giocattoli e finge di essere l’Uomo Ragno.
dunque quello che fa Alex un bambino dall'identità di genere fluida non è il suo desiderio di esser percepito come bambino o bambina che cambia di giorno in giorno o di momento in momento ma il fatto di adottare comportamenti che sono socialmente ascritti ai due sessi. Adottandoli entrambi  però non mette in discussione lo stereotipo di genere ma deve essere normalizzato per non toccare quelli e diventa lui fluido.

L'articolo parte da una assunto ottocentesco e non lo mette in discussione si limita a spezzare una lancia in favore di queste persone diverse facendo una enorme confusione tra ruoli di genere stereotipati, identità di genere e orientamento sessuale..
La letteratura medica della fine dell’ottocento descriveva le donne “invertite” come tremendamente schiette, “negate per il ricamo” e con “un’inclinazione e una predilezione per le scienze”. I maschi “invertiti”, invece, sdegnavano gli sport all’aperto. A metà del novecento i medici tentavano “terapie correttive” per eliminare i comportamenti di genere atipici. Il loro scopo era di impedire che i bambini diventassero omosessuali o transessuali, termine che si usa per definire le persone che sentono di essere nate nel corpo sbagliato.
Oggi molti genitori e medici rifiutano le terapie correttive, perciò questa è la prima generazione che consente ai bambini di giocare e di vestirsi in modi che prima erano riservati alle bambine, di vivere in quello che uno psicologo ha definito “uno spazio intermedio” tra i comportamenti tradizionali dei maschi e delle femmine.
Questi genitori si sono fatti coraggio appoggiandosi a una comunità online sempre più numerosa di persone che la pensano come loro e hanno figli maschi che amano i diademi e gli zainetti rosa. Perfino le persone transessuali mantengono la tradizionale distinzione tra i generi: sono nate di un sesso ma appartengono all’altro. I genitori dei bambini che si trovano in quello spazio intermedio sostengono invece che esiste uno spettro dei generi, e non due categorie contrapposte, nelle quali nella vita reale non rientra esattamente nessun uomo e nessuna donna.
(...)
Il fatto che ci sia ancora un forte disaccordo tra gli psicologi sull’opportunità di soffocare i comportamenti anomali o di incoraggiarli, rende ancora più difficile fare una scelta.
Quasi tutti i genitori che consentono ai figli di vivere nello “spazio intermedio” erano persone aperte anche prima di avere un bambino rosa, pronti a difendere i diritti dei gay e l’uguaglianza delle donne e a mettere in discussione il confine tradizionale tra virilità e femminilità. Ma quando i loro bambini violano le norme convenzionali, anche loro rimangono disorientati. Com’è possibile che il modo di giocare di mio figlio, una cosa di solito così piacevole da guardare, mi metta tanto a disagio? E perché mi preoccupa il fatto che voglia indossare un vestito da femmina?
Ora questi genitori e questi psicologi  quanti danni possono fare questi bambini? Per non parlare del termine sessista e maschilista bambini rosa.

L'articolo stesso infatti sembra considerare anormali non le donne che si mascolinizzano ma gli uomini che si femminilizzano.

Naturalmente, se Alex fosse stato una bambina che a volte si veste e gioca come un maschio non sarebbe stato necessario mandare un’email ai genitori dei compagni. Nessuno avrebbe battuto ciglio davanti a una bambina a cui piace giocare a palla o portare la maglietta dell’Uomo Ragno.
Naturlamente?

Ma qui di cosa si parla di pregiudizi nei genitori o di dati oggettivi L'anormalità sta nell'occhio di chi guarda o in questi bambini rosa?
L'autrice dell'articolo non sembra avere dubbi:


Le ricerche sui bambini che non si conformano al loro genere sono relativamente poche, quindi è impossibile sapere quanti sono quelli che escono da quei confini, o addirittura quali sono questi confini. Secondo alcuni studi, dal 2 al 7 per cento dei maschi al di sotto dei 12 anni mostra regolarmente comportamenti che travalicano l’identità di genere, anche se molto pochi vorrebbero veramente essere femmine. È difficile capire cosa significa questo per il loro futuro. A dieci anni la maggior parte dei “bambini rosa” smette di comportarsi in modo non convenzionale perché crescendo non prova più quel desiderio o lo ha sublimato. Gli studi su quello che succede in età adulta ai ragazzi che da piccoli violavano le norme di genere hanno tutti qualche limite metodologico, ma lasciano intendere che, sebbene molti omosessuali non siano mai stati bambini rosa, dal 60 all’80 per cento dei bambini rosa prima o poi diventa gay.
Capite il marasma concettuale di queste persone?
Gli altri diventano eterosessuali oppure donne, con l’aiuto degli ormoni e a volte della chirurgia. I comportamenti delle bambine non conformi al loro sesso, invece, non vengono quasi mai studiati, anche perché le deviazioni dalla femminilità tradizionale sono molto più diffuse e accettate.
A nessuno viene in mente che il movimento femminista e di auto-emancipazione delle donne ha distrutto molti stereotipi di genere mentre gli uomini non hanno saputo fare altrettanto (e il movimento omosessuale maschile  si è limitato a rivendicare il diritto di vestirsi o atteggiarsi da donna senza però intaccare gli stereotipi di genere maschili, anzi, rafforzandoli.


I commenti a questo articolo sono tutti positivi e pieni di ammirazione.
Vi prego ditemi che anche voi avete gli stessi dubbi miei, o anche altri dubbi.
Non lasciatemi da solo.

Dite la vostra!!!

venerdì 5 ottobre 2012

Se questo è un quotidiano: l'articolo aberante e omofobo di Avvenire. Il fondamentalismo cattolico contro ogni famiglia che non sia still-intact, two-parent heterosexual married family.



Ecco la tabella che accompagna uno degli articoli più discriminatori mai pubblicati da un quotidiano nazionale. Si tratta dell'articolo Adozioni ai gay? Figli disturbati  il cui sottotitolo aggiunge I pediatri dicono meglio famiglie normali

La discriminazione non sta nell'aver riportato i risultati di una ricerca nella quale si afferma che i figli (e le figlie, omesse per becero maschilismo estensivo) delle coppie omosessuali hanno più problemi di quelli delle coppie etero, ma già nel modo in cui la notizia viene riportata.

Quel famiglie normali che lascia intendere (senza spiegare il perchè) che quelle dello stesso sesso non lo siano.
Oppure le virgolette caporali alla parola figli di coppie omosessuali. Un giudizio implicito ma evidente che sottolinea come quelli delle coppie gay non siano veri figli.
Questo perchè l'articolo (ma non la ricerca cui ci si riferisce) fa finta di ignorare che uomini e donne omosessuali possano avere dei figli biologici avuti da precedenti relazioni etero o avuti  (all'estero, visto che in Italia è loro vietato due volte, in quanto coppie omosessuali e in quanto fecondazione eterologa) grazie alla fecondazione assistita o, nel caso di uomini grazie a una madre surrogata, e parlano solamente dei figli adottivi.

Anche la ricerca  cui si riferiscono How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the New Family Structures Study
pubblicata da Mark Regnerus sulla rivista Social Science Research Volume 41, Issue 4, July 2012, Pages 752–770 nell'affrontare le conseguenze sulla prole non distingue tanto o solo tra coppie etero e coppie gay ma tra  still-intact, two-parent heterosexual married fam-
ilies famiglie ancora intatte con due genitori eterosessuali e sposati e tutto il resto.

Non che la ricerca sia omofobica nel modo di vedere le famiglie omogentioriali ma la discriminazione e il rifiuto della legittimità di queste famiglie fa pari con il rifiuto delle famiglie eterosessuali con due genitori non sposati con genitori separati o divorziati con un partner che non è il genitore o la genitrice biologic* della prole o famiglie con un solo genitore\genitrice.

Questo è un elemento che a chi ha un occhio sensibile alla causa lgbt potrebbe sfuggire e che invece deve semrpe rimanere chiarissimo. L'attacco fondamentalista della chiesa e delle persone cattoliche parte e termina da qui dalla difesa dell'unica famiglia riconosciuta come tale quella  still-intact, two-parent heterosexual married family.

Non a caso Bagnasco lo scorso 24 settembre, nella prolusione in apertura dei lavori dell'assemblea permanente della CEI toccando vari nodi politici del Paese a un certo punto afferma che le unioni di fatto non riguardano in realtà le coppie etero perchè 
è paradossale voler regolare pubblicisticamente un rapporto quando gli interessati si sottraggono in genere allo schema istituzionale già a disposizione. In realtà, al di là delle parole, ci si vuol assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri.
In realtà la questione riguarda  le copie dello stesso sesso (cui Bagnasco si riferisce senza mai davvero nominarle, che già il nominarle è una forma di legittimazione):
il riconoscimento di determinate situazioni o pratiche, non è mai neutrale: pur se non obbliga alcuno, è fortemente condizionante tutti. (...)
Quando si vuole ridefinire la famiglia esclusivamente come una rete di amore – dove c’è amore c’è famiglia, si dice –, disancorata dal dato oggettivo della natura umana – un uomo e una donna – e dalla universale esperienza di essa, la società deve chiedersi seriamente a che cosa porterebbe tale riduzione, a quali nuclei plurimi e compositi: non solo sul versante numerico, ma anche su quello affettivo ed educativo, strutturante cioè la persona. La società, come già si profila in altri Paesi, andrebbe al collasso. Perché non si vuole vedere? Non si vuole riconoscere le conseguenze nefaste di queste apparenti “avanguardie”?
Sarebbe interessante vedere i passi comuni della prolusione di Bagnasco con il documento del pdl a sostegno della famiglia pubblicata a inizio dove si ripete addirittura la considerazione che le coppie di fatto non le vuole nessuno perchè là dove ci sono vengono disattese e sono poco richieste. Un falso ideologico che meriterebbe la galera a Bagnasco così come l'ha meritata a Sallusti.

Un registro amministrativo comunale non ha spessore né valenza nazionale dunque non è un vero istituto giuridico.







Non mi interessa entrare nei dettagli della ricerca di Mark Regnerus. Per approfondire le sue offese a sceintifiche potete leggere un bel post che l'UAAR gli ha dedicato.

Quel che mi preme in questi attacchi all'omogeniotrialità e non dimenticarsi mai di guardare il quadro complessivo di non lasciare fuori le famiglie di fatto etero che esistono e sono discriminate nonostante possano sposarsi (anche se non sempre) anche loro, non perchè vengono sacrificate per attaccare le famiglie omo-genitoriali ma perchè l'unica famiglia che il cattolicesimo riconosce è quella  still-intact, two-parent heterosexual married family.

La radice patriarcale di ogni stigma sta tutta qui.


mercoledì 3 ottobre 2012

Le parole di Luisa Muraro sull'omogenitorialità maschile difendono un discutibile primato biologico femminile e discriminano comunque gli uomini.

Leggo solo oggi un articolo di  Luisa Muraro, femminista storica, fondatrice della Libreria delle donne di Milano, tra le fondatrici della comunità di filosofe femministe Diotima.

L'articolo, pubblicato su Metro, uno dei giornali a distribuzione gratuita della Capitale, è stato ripreso dalla stampa e sul web, ne parlano Marina Terragno su Io Donna (che si dice in sintonia con Muraro) e Laura Eduati su gli Altri online.

Cosa dice Muraro ?
Che ha dei dubbi sulle adozioni per le coppie di uomini perchè quando due uomini, adottando un bambino invece di ricorrere a una madre surrogata, escludono le donne dalla procreazione e si sostituiscono a loro nell'atto procreativo, rifacendosi a qualche atavica maschile invidia procreativa.

Muraro prende spunto dalle dichiarazioni di Pisapia, sindaco di Milano, che avrebbe affermato Meglio avere genitori omosessuali che non averne affatto notando che in questa affermazione ci sono due semplificazioni.

Avere dei genitori non è sempre meglio del non averli, dice e ribadisce, a ragione, la necessità dei controlli sugli aspiranti genitori adottivi, ma non sulle aspiranti genitrici, portando degli esempi per giustificare la necessità del controllo agghiaccianti in quanto a semplificazione.
Scrive Muraro  per esempio: sono adatti alla paternità i politici di professione, gli artisti?

Non si capisce in base a quale elemento una professione di per sé dovrebbe rendere un genitore inadatto.

En passant noto come nella nostra società si facciano controlli sui genitori e sulle genitrici  adottiv*, ripeto, legittimi e necessari,  mentre a nessuno venga in mente di controllare chi fa figli invece di adottarli.
Gli stessi artisti e politici di professione che Muraro prende come possibile esempio di inadeguatezza per le adozioni possono fare figli tranquillamente senza che nessuno dica loro niente...

Insomma quel che sembra essere dirimente qui non è la adeguatezza del genitore ma il fatto che il genitore sia adottivo. E, soprattutto, che sia uomo.

Dice Muraro:
Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente sterili.
La pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondere l'antica invidia verso la fecondità femminile.
I neretti sono nel testo.

Queste affermazioni così come sono scritte non hanno significato alcuno.

Quando Muraro parla di sterilità e di fecondità dicendo che le coppie maschili sono sterili dice una mezza verità.

In realtà tutte le coppie omosessuali (=dello stesso sesso) sono sterili nel senso che tra di loro due donne come due uomini non posso procreare.

Singolarmente prese però le donne e gli uomini che compongono una coppia non sono sterili.

In realtà quando Muraro dice che le coppie coppie maschili sono naturalmente sterili
si riferisce al fatto che gli uomini non restano incinta. Io ho sempre pensato che ascrivere alle donne una quidditas che le distingue dagli uomini perchè le donne fanno figli sia un modo maschilista e patriarcale di vedere il femminile.

Così come il pensiero che le donne sono spontaneamente più propense alla genitorialità degli uomini sia uno stereotipo di genere.
Ma non a caso Muraro fa esempi di controllo e adeguatezza all'adozione solamente agli uomini...

Muraro non sta parlando in realtà di adeguatezza della persona ma di adeguatezza di genere.

Il fatto che la gestazione della prole avvenga nel corpo della donna e non in quello paterno non rende le donne genitrici naturali e gli uomini no. Eppure è questo che Muraro intende quando che le donne feconde e gli uomini naturalmente sterili.

Quindi obiettare che nessuno dei due sessi, da solo, può procreare e che le donne senza gli uomini, nonostante le capacità gestatorie sterili quanto o sono gli uomini senza donne non centra il punto de discorso di Muraro.

Quello che Muraro mette in discussione è la voglia di paternità degli uomini senza una donna.
Perché, teme Muraro, questa esclusione della dona è un modo degli uomini per riappropriarsi di una supremazia sulle donne. E questo timore le porta a scrivere:
La pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondere l'antica invidia verso la fecondità femminile.
Infatti Muraro poi si chiede perchè gli uomini
non voglio[no] chiedere a una donna il dono di diventare padre? Perché voglio[no] fare la madre [loro] ?
Una volta le donne, per essere madri, dovevano avere accanto, un uomo, il maschio, padre dei suoi figli.
E la lotta di emancipazione e autodeterminazione femminile, grazie anche al divorzio e all'aborto, ha sottratto la donna alla subordinazione maschile e le ha fatto guadanare il diritto a essere madre anche senza un uomo accanto.
Credo sia questo quello che Muraro intende quando scrive:
Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. 
Muraro parla di coppie ma il suo discorso vale benissimo anche per le singole persone. Anzi quando afferma   che le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante si riferisce alle donne che crescono la prole da sole, senza un uomo accanto, non già le donne che crescono i figli con un'altra donna cosa che, mi sembra, sia tutt'altro che socialmente accettata.
E' accettato che una donna sia madre senza un uomo accanto, sono accettate cioè quelle che una volta maschilisticamente si chiamavano ragazze madri.

Muraro dimentica che, anche se in percentuali minime, esistono anche i ragazzi padri. 

Mi sembra però che Muraro per esprimere un timore comprensibile (e anche condivisibile) scelga l'esempio sbagliato.

I bambini nascono sempre da una madre, anche quelli adottati.

Quindi anche quando un uomo o due uomini in coppia  adottano un bambino o una bambina stanno chiedendo a una donna (la madre di quell'infante) il dono della paternità.

Trovo più efficace come esempio per esternare questo timore che un uomo o una coppia di uomini chiedano a una donna di fare la madre surrogata cioè di fecondarla (in vitro) (come non vedere un  simbolico rifiuto sessuale della donna in questo procedimento...?)  per poi esautorare la madre da ogni diritto sull'infante (per la donna sarebbe come darlo in adozione)  ascrivendone a sé la potestà in quanto padre, o padri, single o in coppia poco conta.

Qui io vedo una donna usata e poi esclusa dalla maternità.

Meno in uno o due uomini che adottano un bambino già nato.

Esattamente il contrario di quello che Muraro pretende che gli uomini facciano.

Non capisco i motivi che portano Muraro a fare questo esempio. Mi piacerebbe avere occasione di chiederglielo.

Posso azzardare qualche ipotesi, prendendomi tutta la responsabilità di attribuirle pensieri che sono  e rimangono miei.

Credo che per Muraro sia normale che una donna faccia dei figli da sola prima ancora che per qualunque motivo soggettivo perchè oggettivamente è lei a curarsi della gestazione (mentre l'uomo no, cosa questa, e son completamente d'accordo, che toglie al padre qualunque voce in capitolo per tutto quello che riguarda la gestione della gestazione del nascituro o nascitura, decisione che riguarda sempre e solo il corpo delle donne).

Muraro invece non percepisce il fato che un uomo possa voler crescere un figlio da solo (o in coppia con un altro uomo) come cosa altrettanto naturale.
Forse perché per Muraro il desiderio di una donna di fare figli non nasce già dalla sua personalità, ma perchè è scritto nella sua biologica. Ogni donna può se vuole può rimanere incinta e questo fa di loro delle madri.

L'uomo per avere una prole ha bisogno di una donna. Con l'adozione Muraro teme che l'uomo possa bypasare questo bisogno.

Dunque per la filosofa Muraro più che per la femminista, le capacità gestatorie della donna diventano una questione ontologica.
La maternità non è un desiderio. La donna è madre non per volontà ma per potenzialità o, meglio, è quella il suo fine, la sua ultima ragione di esistenza.

Il diritto dunque non deriva da un desiderio (quello di diventare madre o di non diventare madre, magari abortendo) deriva da una finalità ontologica con la quale le donne nascono. Una metafisica teleologica davvero fuori tempo massimo.

Le donne non sono obbligate a seguirla ma il loro diritto è scritto in questa finalità biologica.
Non a caso Muraro pur riconoscendo il desiderio filiale degli uomini dice che il desiderio anche quando è legittimo non dà adito automaticamente a un diritto, proprio perchè l'uomo non è biologicamente fatto per portare avanti la gravidanza: 
E non riduciamo il problema a una questione di diritti. A questo mondo i desideri, compresi quelli giusti, non si traducono automaticamente in diritti.
L'attacco di Muraro  all'omogenitorialità maschile non è dunque contro l'omosessualità, ma contro l'emancipazione genitoriale maschile tout-court. 
Muraro teme un'esautorazione della donna anche in quell'unico campo che, ontologicamente, le spetta per diritto biologico.

Ma se una donna se vuole deve poter fare un figlio da sola senza un uomo accanto anche a un uomo deve poter essere riconosciuto lo stesso diritto, anche se non è l'uomo a partorire.

Ogni altra posizione è una discriminazione nei confronti degli uomini e per quanto conosca bene il rischio di sollevare questa obbiezione in un mondo maschilista come il nostro dove le donne sono tanto più discriminate degli uomini, una ingiustizia non può mai giustificarne un'altra. Una discriminazione resta tale.

Mi piacerebbe parlarne con Muraro, sempre, naturalmente, che abbia visto giusto.

martedì 2 ottobre 2012

Arte omosessuale o semplicemente arte? Alcune domande prendendo spunto da un post del Mario Mieli.

Leggo un post molto stimolante sul sito del Mario Mieli a firma di Francesco Paolo Del Re sull'arte gay, nel quale si sfiorano molte questioni diverse.

Essere gay ci accomuna in quanto discriminati non in quanto fatti allo stesso modo non più di quanto essere etero accomuni due persone altrimenti Gandhi e Hitler dovrebbero essere uguali perchè entrambi etero...

Allora che senso ha parlare di cultura, o di arte, gay?

Se con cultura etero ci si riferisce negativamente all'eterosessismo con cultura gay ci si riferisce a un punto di vista che sia contro l'eterosessismo, contro il patriarcato,  poco importa gli strumenti che le persone omosessuali hanno usato per ribaltare, criticare, sottrarsi al patriarcato (penso a certi discorsi camp e queer che scimmiottano un femminino esagerato e distorto dall'immaginario maschile e maschilista cui ogni uomo, gay o etero, trova difficile sottrarsi).

Un'espressione dal significato politico dunque

Dagli anni 80 in poi cultura gay ha acquisito anche un significato diverso indicando e individuando  comportamenti anche consumistici di giovani omosessuali che frequentano determinati locali, sessualmente promiscui, che fanno uso di droghe e alcool e sigarette, vestono in un determinato modo, prediligono certi marchi, si conformano a una fisicità  del corpo asciutto magro e palestrato. I gay descritti in tanti film e in una serie tv come Queer As Folk USA.

Forse, in questo caso, più che di cultura, bisognerebbe parlare di sottocultura nel senso che questi comportamenti individuano una minoranza e nemmeno nella sua interezza.
Secondo questi standard infatti io non sarei gay perchè non sono magro, non fumo, non vado in discoteca, non vesto griffato, eccetera...

Nel caso dell'arte cosa indica l'aggettivo gay?

Quando due anni fa ho collaborato col festival di cinema omosessuale OMOVIES di Napoli ho organizzato una tavola rotonda nella quale ci siamo chiesti cosa significasse cinema gay e lesbico, e se c'era davvero bisogno di fare un festival di cinema omosessuale.

La domanda era retorica naturalmente e la risposta politica. C'è bisogno di festival gay e lesbici per dare visibilità a film altrimenti poco visti.

La definzione è politica per due motivi diversi.
 
1) E' politica perchè la visibilità è una questione pubblica, socialem che riguarda tutti e tute non solamente le persone lgbtqi.

2) E' politica perchè la distinzione omosessuale è strumentale. Ci si distingue cioè introno all'orientamento sessuale per denunciare e abbattere lo stigma.
Ma il fine ultimo è quello di essere indifferenti, in quanto omosessuali, alla società.

La visibilità è una questione di lotta e denuncia non una questione di per sé.

Siamo visibili perchè ci vorrebbero invisibili.

Ma il fine ultimo è sempre lo spot dell'ILGA portoghese: diritto all'indifferenza

Mi rendo conto che molt* non saranno d'accordo. Infatti non sto dicendo che questo sia l'unico modo di vedere le cose.
Sto dicendo che questo modo è il mio.

Se non fosse per lo stigma e l'invisibilità in cui mi costringono io non mi sento definito dalla categoria omosessuale e basta.
Sono prima di tutto un uomo, poi un uomo di sinistra, un laico (preferisco questa definizione ad ateo, anche se non credo) e poi, sì, mi piacciono anche i ragazzi.

Ma torniamo al post del Mieli.

Cosa si intende per artista omosessuale?

Un gay o una lesbica che fanno arte o delle persona che fanno arte gay?

E che significa, casomai, arte gay? Arte lesbica?

E' il contenuto delle opere o un certo modo di guardare al mondo? 
O il pubblico a cui si rivolge? E perchè mai un nudo maschile o un nudo femminile devono rivolgersi esclusivamente a un pubblico gay?
Le persone etero non possono essere  altrettanto interessate?
E al di là del mio orientamento sessuale, anche se sono gay, non posso apprezzare un quadro come l'origine del mondo di Courbet?


La definizione arte gay  credo oscilli almeno fra 3 definizioni diverse, un biografica, una estetica e una di pubblico.

Cioè un quadro è gay perchè fatto da un gay, perchè parla di gay o perchè si rivilge ai gay?
Oppure un nudo maschile di Michelangelo è gay e uno di Mantegna no?
 

Non sono domande retoriche.

Io non ho una risposta. E mi piacerebbe sentire le vostre, di risposte.


Io però resto perplesso quando leggo arte gay.
Cosa si intende? Cosa si vuole indicare?

Nel film Howl in una lunga intervista  (autentica, rilasciata al Times e mai pubblicata) Allen Ginsberg parla della verità della poesia (tutti parliamo con sincerità anche di cazzi e di culi ai nostri amici, perchè smettiamo di essere così schietti quando parliamo alla nostra musa?) e della sua vita (ognuno deve parlare di quel che gli piace dice nell'intervista se sei un feticista del piede, parlerai dei piedi, se ti piace la borsa parlerai degli alti e dei bassi degli indici)
Parlare di omosessualità dice ancora intervista spezza molti confini e permette di parlare di tutto.


Mi sembra allora che defininire la fotografa Elisabeth Ohlson una artista gay come fanno in molti (compreso Francesco Paolo del Re) sia restrittivo.
Preferisco la definizione di wikipedia
Elisabeth Ohlson (born 1961) is a Swedish photographer and an artist.

[stessa categoria, poco importa il suo orientamento sessuale]:

In her works she often photographs representatives of sexual minorities.

Ohlson in quanto artista e in quanto lesbica non in quanto artista lesbica non si dedica esclusivamente al lesbismo ma guarda al mondo  da un punto di vista che non è esclusivamente lesbico.

Ed eccoc he troiamo alla definizione politica di gay come di perosne discriminate che denunciano la discriminazione.


Se la distinzione arte lgbt ha un senso ha un senso politico ma non estetico.

Il Leslie Lohman Museum of Gay and Lesbian Art di New York ha come mission quella di:
to exhibit, preserve, and foster the creation of LGBTQ art and artists, past and present, which speak directly to the LGBTQ experience including erotic, political, romantic, and social imagery.

We embrace this rich creative history by informing, inspiring, entertaining and challenging all who enter our doors.
Esibire, preservare e sostenere  la creazione dell'arte lgbtq e degli artisti del passato e del presente per informare ispirare e intrattenere e pore delle sfide a tutte le perosne che entrano nel nsotro museo.

Non un arte per gay dunque ma per tutti.

Peccato che nella mission non si definiscano nè LGBTQ art nè LGBTQ artists.
 
Forse allora l'arte gay è figlia di quella stessa sottocultura che pensa a film gay musica gay locali gay vestiti gay e comportamenti sociali gay per le persone omosessuali?

Di nuovo, non lo so.

Però mi sembrano domande non peregrine le mie...

Guardate questa foto.


E' una foto di Clay Johnson Ducks in a Row, 1994 che ho preso dal sito del  museo di New York di arte gay  e lesbica.

Questa foto vi sembra una foto gay? L'artista che l'ha fatta deve essere per forza gay?
In cosa cambia il io rapporto col quadro sapendo se chi l'ha fatto è gay o meno?

Provo a riformulare questa domanda. Perchè questo quadro sta in un museo gay

Gilbert Lewis (1945 - )
Swimmer, 1984


e questo sta al Louvre?

GIOVANE SEDUTO (1835 - 1836)
Hippolyte Flandrin (1809 - 1864)






A metà del suo post Francesco Paolo cambia sensibilmente rotta e parla d'altro, di ben altro.
Nessuno riesce a colmare, in fondo, il vuoto lasciato da istituzioni pubbliche o private che non mostrano nessun interesse a riflettere pubblicamente sul tema delle identità mutanti e dei generi in costruzione.
Ecco. Identità mutanti e generi in costruzione per me  sono arte queer non arte gay.

Anche se sono omosessuale sono certo del mio genere (maschile) e della mia identità sessuale.
Anzi il fatto che si colleghi la modifica dell'identità di genere e di quella sessuale con l'omosessualità di soli mi impermalosisce perchè mi sembra sempre, ma magari sbaglio, un residuo dell'equivoco epistemologico, come lo chiamo io, di quando si distingueva identità di genere con orientamento sessuale.

Anche se sono gay non necessariamente voglio mettere in discussione il mio essere maschio qualunque cosa questo voglia dire né che senta il mio genere mutante o mutevole...


E poi arriva una terza questione altrettanto importante. Quando Francesco Paolo lascia intendere, mi sembra di capire, che di arte omosessuale possono parlare solamente quelli che hanno le mani in pasta.


Anche qui non so csa pensare.

Allora in quanto uomo non posso parlare di femminismo? O in quanto bianco non posso parlare di razzismo?

Di nuovo sono domande vere per le quali cerco una rispsota, la vostra risposta.

Allora che ne pensate?
Dite la vostra, please!


domenica 23 settembre 2012

Lettera aperta ad Alex Corlazzoli a propostio del suo articolo sul fatto quotidiano Maestro, mia mamma si chiama Nichi

Le scrivo in relazione al suo articolo Maestro, mia mamma si chiama Nichi pubblicato sul Fatto quotidiano del 22 settembre u.s.

Trovo le sue affermazioni discriminatorie e in completa malafede perchè lei, nell'argomentare perchè  le persone omosessuali non possono parte da delle considerazioni generiche che non applica ad altri tipi di di famiglia.

Da che mondo è mondo il bambino ha bisogno della figura della madre e del padre, della donna e dell’uomo
Secondo lei dunque non dovrebbero esistere il divorzio né le famiglie monogenitoriali.

Il bambino che è rimasto per nove mesi nel ventre materno e ha vissuto l’esperienza del legame fisico con la madre attraverso l’allattamento, continua nei suoi primi anni di vita a riconoscere anche nella fisicità della madre un senso di protezione che un uomo non può dare.
Dunque lei è contrario solo alla omogenitorialità maschile.

Le donne, anche se sono lesbiche, possono dunque allevare prole?

Allora non è l'orientamento sessuale il discrimine  ma piuttosto il genere maschile.
E’ un fattore senza dubbio anche fisiologico e fisico. Il papà è invece, colui che dà sicurezza, è la figura che ci ha rassicurato quando abbiamo preso in mano per la prima volta la bicicletta.
Il maschio, lei dice, ha un ruolo succedaneo a quello della donna per quando riguarda l'allevare la prole.


Una definizione dei ruoli paterno e materno fondati sul più reazionario e maschilista degli stereotipi di genere, fermo agli anni 50 del secolo scorso.

Magari lei è di quelli che insegna ancora alla sua classe che le femminucce devono vestire di rosa e i maschietti di celeste...

Sembra invece più equamente contrario all'omoegenitorialità di entrambi i sessi quando tira fuori dal cilindro della psicopedagogia (Secondo quale pensiero? Di quale studioso? In quale testo? Scritto in quale epoca?) che essendovi un processo di identificazione nei genitori, una coppia omosessuale (e non, come scrive lei,  di omosessuali perchè ci sono coppie dello stesso sesso che hanno avuto figli da precedenti relazioni etero) alla sua prole non può fornirla.
 
Di nuovo lo stesso vale sia per le famiglie divorziate, sia per quelle di coniugi vedovi/e, sia per le tante donne che crescono su la prole da sole e anche gli uomini.
Perchè la famiglia non è più quella fascista patriarcale dove l'uomo lavora  e la donna alleva la prole. Quella non esiste più da almeno 40 anni. 

Se non vuole credere a me si informi sul sito dell'Istat dove sono riportati i numeri e la tipologie di queste nuove famiglie.
Ecco il link.
http://www.istat.it/it/archivio/38613

In ogni caso lei sembra dimenticare che le bambine e i bambini, qualunque sia la famiglia in cui crescono, non vivono separati dal resto del mondo.

Anzi oggi i la prole esce dall'alveo familiare in tenerissima età (ha presenti gli asili nido?)  dove incontrano l'universo mondo: altre bambine e bambini, altre genitrici e genitori, maestre e maestri, donne e uomini eterosessuali,  omosessuali e, pensi un po'!,  anche bisex per cui l'identificazione può avvenire (come avviene) in altri ambienti. Anche a scuola, dove magari bambine e bambini possono avere la sfortuna di incontrare un maestro reazionario e antico come lei.


Che lei sia in cattiva fede lo deduco da un ammiccamento implicito che fa quando adduce all'Organizzazione Mondiale della Sanità - che ha stabilito nel 1994 (vede quanto lei è antico?) che l'omosessualità è una normale variante dell'affettiva e della sessualità umane - dei dati statistici da riferire casomai dall'Istat in base ai quali lei calcola (per un ristrettissimo difetto al 5 %) la popolazione italiana di persone omosessuali affermando che in una classe di venti adolescenti, un ragazzo o una ragazza ha la probabilità, dal punto di vista statistico, di essere omosessuale ben diversamente dall'Istat che fornisce tutt'altri dati. (cfr. http://www.istat.it/it/files/2012/05/report-omofobia_6giugno.pdf?title=Popolazione+omosessuale+nella+societ%C3%A0+-+17%2Fmag%2F2012+-+Testo+integrale.pdf).

Ma fa niente. Lei è un maestro e non uno statistico.

Quello che trovo davvero irricevibile e che offende l'intelligenza delle sue lettrici e dei suoi lettori oltre che le famiglie omogenitoriali e la loro prole, sono le sue affermazioni sulle coppie maschili omogenitoriali che lei trasforma in macchiette grottesche.

Tuttavia da insegnante provo a immaginarmi un bambino di 6 – 7 anni che spiega ai compagni che lui ha una mamma maschio.
Non posso credere che lei sia talmente deficiente (nel significato letterale del termine, che le mancano cioè alcune conoscenze delle quali deficita) da poter davvero e in onestà pensare che in una coppia di due uomini ci sia una mamma.

In una coppia di due uomini il bambino avrà due papà.

Pensi che l'Olanda, in una trasmissione televisiva per bambini che possiamo paragonare al nostro Zecchino D'oro già nel 2005 (vede ancora quanto lei è antico?) fa cantare a un bambino di 11 anni che lui ha due papà e non come dice discriminatoriamente lei una mamma maschio.

Il programma si chiama Kinderen voor Kinderen (t.l. Bambini per bambini) della televisione pubblica VARA, la canzone è Twee Vaders (t.l. Due padri) e può vedere il video e leggere il testo tradotto andando a questo link http://www.garasunokamen.ilcannocchiale.it/print/1309434.html

I suoi cliché sono così dogmatici  e retrogradi che lei non riesce a metterli in discussione e adeguare i suoi strumenti linguistici alla mutata realtà sociale.

Mi chiedo se lei insegni alla sua classe ancora il sistema tolemaico invece di quello copernicano...

La  sua considerazione successiva poi è un capolavoro di malvagità perchè lei con una battuta sola riesce a offendere uomini gay e donne (tutte) attribuendo all'infanzia un pensiero che è suo e, per fortuna, solamente suo
Ho provato a pensare al figlio di un omosessuale
le donne mai, eh?
che quando disegna la sua famiglia a differenza degli altri raffigura la mamma con la barba. E ancora ho pensato a come vivrebbero questa nuova dimensione gli altri bambini. 
 Un papà non potrà mai essere una mamma maschio, o una mamma con la barba.

La invito a chiederlo direttamente ai figli delle tante coppie omogenitoriali che esistono già in Italia, se ne faccia una ragione.

Parli con loro le spiegheranno che avere due papà o due mamme non li induce nella confusione in cui cade lei tra identità e orientamento sessuale.
Basta rivolgersi alla sede dell'associazione Genitori Rainbow (http://www.genitorirainbow.it/) o Famiglie Arcobaleno (http://www.famigliearcobaleno.org/) più vicina alla sua città, non so quale sia, forse un eremo isolato in qualche parte dell'Artide dove tutto arriva 30 40 anni dopo...

Chieda a quei bambini e quelle bambine come si vive con due mamme o due papà. Non chieda loro cosa provano a vivere con una mamma con la barba però perchè nella migliore delle ipotesi le ridono in faccia. Nella peggiore...

Le sue affermazioni sono così disgustosamente discriminatorie...
La necessità da parte delle coppie gay di adottare dei bambini mi sembra decisamente una scelta per soddisfare una propria esigenza, per colmare una mancanza.
che lei omette che le coppie omosessuali i bambini non si limitano ad adottarli ma li fanno, anche, che lei lo voglia o no.

La mancanza che colmano è la stessa di ogni essere umano che vuole mettere su famiglia con la persona che ama.
Anche se sono dello stesso sesso.
I bambini e le bambine ci arrivano.
Lei no.

Io sono ben conscio che in democrazia le idee vanno rispettate anche quando sono sensibilmente diverse dalle proprie, ma le sue considerazioni discriminatorie sono delle menzogne così evidenti dietro le quali si nasconde un pensiero retrogrado, patriarcale, pregiudiziale e discriminatorio che non può avere patria in nessuna democrazia avanzata.




sabato 22 settembre 2012

La stucchevole, acida, triste misoginia delle froce: su alcuni commenti nella rete sull'ultimo disco di Amanda Lear.


Dovevo andarla a vedere al Village, Amanda, ma l'ingresso a pagamento mi ha fatto desistere.
Così ho scaricato dalla rete il suo ultimo disco I Don't Like Disco e poi, visto che la copia da me scaricata era priva di booklet, ho cercato informazioni in giro, cioè sulla rete.
Sono così incappato in alcune recensioni al disco che sono, in realtà, una gara tra froce inacidite e invidiose delle donne (ché altrimenti, nella loro mente maschilista e distorta, sì che avrebbero preso tutti i cazzi che non sono riuscite ad avere nella loro vita, mi verrebbe da aggiungere di merda, ma poi mi sgridate perché uso parolacce e divento maschilista) a chi sparla meglio di Amanda Lear e del suo ultimo disco.
Non mi si fraintenda. Tutto è criticabile basta averne cognizione di causa.

Invece quali sono i motivi per cui il disco non è piaciuto?

Amanda ha compiuto SETTANTADUE anni.
72.
Un po’ troppi per sbatterti ancora in pista? Assolutamente SI, tanto che questo I Don’t Like Disco rischia di trasformarsi nel canto dance di uno splendido cigno incapace di accettare quell’età che inesorabilmente, per lei come per tutti noi, tristemente avanza.
Questo pensiero profondo e intelligente è di Dr.Apocalypse sul sito Spetteguless.
Cos'altro dice il nostro?
Sul disco nulla. Su di Amanda
Un nuovo album, in vendita su iTunes a partire dal prossimo 9 gennaio, e due singoli di lancio da presentare in tv. Perché Amanda Lear sarà pure stata scandalosamente sfanculata dalla tv nostrana, ma in Francia viene ancora considerata per quello che è: un mito, un’icona, una fica, che dipinge, canta, scrive e crea ‘arte’, anche se invecchiata. Perché che voi ci crediate o no la musa di Dalì è nata nel lontano 1939.
Dunque l'arte è non è invecchiata perchè è arte che si faceva una volta, ma perchè è vecchia chi la fa.

Va beh, direte, da un sito che si chiama Spetteguless, che ti aspetti? Nulla oltre la volgare insinuazione (sarà pure stata scandalosamente sfanculata dalla tv nostrana) e il vuoto pneumatico (dell'articolo scritto da Dr.Apocalypse, beninteso,  non già della sua mente...).

Altro giudizio tranchant e autoreferenziale (lo dico io e non devo certo spiegarvi il perchè) è quello di che se la cava con due righe due
Oltre il come back (sic!) di Madonna, nel 2012, ci sarà anche quello di Amanda Lear con il suo nuovo album I Don't Like Disco che uscirà nei primissimi giorni di gennaio. Che culo, eh?
Il singolo di debutto, omonimo al disco, è già uscito online ed è di un trash pazzesco - non che le altre canzoni dell'album siano da meno, ci mancherebbe, basta ascoltare le preview per capire che oltre la voce da furetto castrato non c'è altro.
Tra l'altro Amanda ha una voce profonda quindi casomai è una voce maschile non da uomo castrato (che è alta...). Se proprio devi offendere (più che criticare) almeno fallo con cognizione di causa.  Va beh. Fiato sprecato.

Purtroppo ci sono anche post molto più dettagliati nel quale però i principio è lo stesso: giudizi tranchant non motivati, considerazioni ridicole e che non vanno al di là dell'ombelico di chi le ha fatte.
Vediamo.
L'autore, anonimo, di Cadavresquis Cadavrexquis non lesina con le parole nel recensire l'ultimo disco di Amanda ma non lesina nemmeno nelle considerazioni misogine, piene di odio perchè Amanda è vecchia ed è donna.

Ora non so quanto si possa prendere sul serio Amanda Lear come cantante, anche se un paio di anni fa persino lei è riuscita a sfornare un disco, Brief Encounters, che lasciava intravedere quello che sarebbe potuta diventare se non avesse sparpagliato i suoi già scarsi talenti musicali in mille altri rivoli. (...)
Il nostro non conosce l'ironia se commenta il titolo del disco così:
Il titolo dell'album è involontariamente comico: "I Don't Like Disco", per dieci pezzi che sono l'epitome della musica da discoteca, è una excusatio non petita, come se, alla moglie che trova il marito a letto con un altro uomo, lui replicasse: "Ma io non sono omosessuale".
E ecco che, a rischio di sembrare mia sorella che me lo rinfaccia sempre, il nsotro non resiste alla tentazione di parlar dei froci quando non c'entrano nulla con l'osservazione che sta facendo. Caro anonimo, l'ironia non abita dalle tue parti? Di quale excusatio vai cianciando? Non ti ha sfiorato il cervello che una delle icone della disco music abbia voluto fare un titolo ironico? Tralascio le accuse ad Amanda di mentire

Nelle note che accompagnano il libretto, poi, Amanda spiega per l'ennesima volta che trentacinque anni fa ha cominciato a fare discomusic quasi per caso, istigata dalla sua casa discografica tedesca, ma che mai e poi mai avrebbe immaginato che ne avrebbe dovuti fare sette o otto di fila (e la signora mente sapendo di mentire, perché Diamonds for Breakfast e Incognito, gli ultimi due prodotti da Anthony Monn - che della Lear cantante è stato il vero demiurgo -, già non erano più pura discomusic).
dove non si capisce il nostro cosa voglia dimostrare...  e andiamo alla critica al disco in generale dove, da vero professionista, e con alte considerazioni, il nsotro dice
Ora Amanda Lear non è mai stata una gran cantante. A dire il vero non è mai stata nemmeno particolarmente intonata, ma aveva (ha) questa voce particolare che funziona bene se accetta il ruolo di diseuse più che di cantante (per non parlare poi dei disastri che combina quando vuole assumere un tono "confidenziale", come avviene anche qui in un passaggio di What a Surprise, dove suona come una gallina arrochita in procinto di essere strangolata).
Ora, la gallina, come il furetto castrato, ha una voce alta non certo bassa, com'è quella di Amanda, quindi queste metafore servono non già a criticare la voce di Amanda (che è sempre stata quella, sai che novità criticarne oggi la scarsa consistenza canora...) ma ad offendere direttamente lei, la cantane e la donna. M
Ma è nell'analizzare le canzoni che il nsotro supera se stesso (se stessa?)
Quando invece sono i francesi a produrla, la voce finisce in cantina, sovrastata da un'abbondanza di arrangiamenti. E' quello che avviene anche in questo I Don't Like Disco.
Ma le canzoni, come sono le canzoni? Be', a un primo ascolto molte sono difficilmente distinguibili l'una dall'altra. C'è persino un "autoplagio", nel senso che l'attacco di Windsor's Dance è pericolosamente simile a Chinese Walk, ma poco importa, dato che l'autore è lo stesso, Marin (du Halgouet), che ha composto il grosso delle musiche dell'album.
E' proprio vero che la bellezza (o la bruttezza) sta negli occhi di chi guarda. Una stessa linea melodica caratterizza due brani diversi dello stesso album e per il nostro questo è autoplagio  (?!) per me è un'eleganza della produzione... Chi l'ha detto che due canzoni non possono cominciare allo stesso modo, soprattutto in un album disco?
Ci sono pezzi involontariamente comici, come - per l'appunto - Windsor's Dance, in cui Amanda rievoca la sua adolescenza e giovinezza in Inghilterra ("Wide and green the British land / Wide and free my early youth / Wide and free I ran away / Lips on lips I kissed the boys"), e aggiunge una dichiarazione d'amore a questo paese ("I love England, I love England"): dev'essere un'opera di fantasia, perché si stenta a credere che una con quell'accento lì quando parla inglese sia davvero cresciuta in Inghilterra.
E dov'è la comicità? Tra l'altro non mi risulta che Amanda sia cresciuta in Inghilterra e il nostro confonde l'interprete con la donna. Chi l'ha detto che Amanda stia parlando di sé?
La cosa più debole mi pare You're Mad, che suona un po' come un pezzo di dance romena di dieci anni fa.
Ecco, la profondità di questo giudizio dà la misura dell'umanità dell'autore di questo post. Chi l'ha detto che gay vuol dire gaio? Acido. Invidioso. Cattivo. Infelice. Ecco degli aggettivi molto più consoni al tono di questo post.

Il nostro poi ha qualche confusione lessicale sul significato della parola fan
L'album contiene poi anche i pezzi con cui, nei mesi scorsi, è stata creata l'attesa tra i fans
Amanda avrà anche una cattiva pronuncia dell'inglese ma il nsotro non conosce proprio l'italiano...
della Lear (dei poveri disperati, tra cui mi annovererei anch'io, se non fosse che io ho ben presente
ho ben presenti?
i limiti dell'"icona" e non vado in deliquio quando la sento, ma mi piace anche perché mi piace sfotterla un po').
Dunque i fan di Amanda sono dei poveri disperati lui sarebbe un fan ma ha ben presente i limiti dell'icona, non va in deliquio quando la sente e le piace perchè la sfotte. 

Ma sti cazzi no?
Merda ho detto cazzo.
Cristo ho detto merda.
Bestemmiona ho detto Cristo quanto sono volgare e maschilista!!!

Maschilista è il nostro, quando si sente di specificare l'assortimento sessuale di una ben solo quando è al femminile...
(...) soprattutto, La bete et la belle. Quest'ultima è indubbiamente il brano migliore di tutto l'album: scritta insieme a Louise Prey (della band electropunk femminile Ping Pong Bitches) e a Joe Moskow (della band indiepop di Sheffield Reverend and the Makers: non che io li conoscessi prima, ma mi sono documentato).
Come fan di Amanda Lear il nostro non lesina gli insulti
"Questo sarà l'ultimo album della Lear".
E poi il maschilista sono io perchè in un post ho bestemmiato. Ma porca paletta!
Ormai è troppo vecchia - mi dico -, non ne farà altri.
E' troppo vecchia... Beh mio caro non so che età  tu abbia ma ti auguro di arrivare a 72 anni in splendida forma come Amanda...
E invece ogni volta mi frega. Dubito che con questo I Don't Like Disco si conquisterà nuovi fan (ormai, per la Lear "cantante", noi siamo ammiratori residuali,
Noi chi? Tu ammiratore ? Ma chi vuoi prendere per il culo???
 sorta di dinosauri sopravvissuti da un'era antecedente), ma è come per certi vizi: una volta che li hai, fatichi a liberartene.

Ho smesso di cercare su internet, ma chissà in quanto altri post per sport si è offesa Amanda e la sua voce, la sua età, o quant'altro.
Intanto di Amanda Lear si continuerà a parlare negli anni a venire, mentre questi post sono già spariti nell'oblio se non fosse per il mio tardivo recupero (il disco è uscito a gennaio e i post hanno più o meno quella data).

Però che fatica dover lottare per tutelare i diritti anche di queste iene maschiliste, froce misogine con le quali non ho nulla ma davvero nulla in comune.

Come uomo e come gay mi vergogno di loro.

E ora car* lurker a voi il giudizio sul disco...