Alla presentazione della Festa (Una festa non un festival, precisa il suo papà Massimo Iacobelli, sua madre e madrina Cristiana Alicata, presente in sala, come ha ricordato Giovanni Minerba) Queering Roma l'assessore alla cultura Cecilia d'Elia racconta di aver provocatoriamente domandato a Massimo Iacobelli, quando aveva chiesto il contributo economico della Provincia, ma questo tipo di evento serve ancora?
La domanda più che provocatoria è retorica, la risposta essendo "sì" altrimenti la Provincia non avrebbe dato i soldi. "Sì" per dare visibilità a un certo tipo di film, sì per fare comunità in una città come Roma dove la cultura omosessuale è da sempre relegata all'angolo dalle istituzioni.
Al di là della qualità dei film visti ieri (metà di quelli programmati, visto che Queering prevede due programmi in contemporanea) davvero modesta - tranne Ang laro ng buhay ni Juan (The Game of Juan’s Life) - (Filippine, 2009) di Joselito Altarejos (DigiBeta, 71’, col.) - quel che mi ha colpito è l'atteggiamento degli uomini presenti in sala, i ragazzi e meno ragazzi del pubblico che sono venuti a vedere i film con un atteggiamento che la dice lunga sul grado di scarsa se non nulla educazione critica (e non solo). Tutti griffati, impaccati di soldi (non si parava che di viaggi e di case acquistate, tra un film e l'altro, sì, come al solito ho origliato), tutti con quei maledetti e costosissimi i-phone che continuavano a tenere accesi abbagliando gli spettatori vicini non solo per vedere l'ora ma per scrivere continui messaggi (come ha fatto un frocio cafone alla mia sinistra alle proiezioni delle 20 e 30) come dire non importa vedere i film l'importante è esserci...
I froci romani partecipano a Queering non per vedere i film ma per presenziare all'evento... Alla festa del cinema gay (scelta veltroniana e infelicissima del nome, ogni cosa frocia prende subito i connotati del divertimento) guardando a questi film come guardano alle cose loro propinate dalla tv sia questa la generalista rai e mediaset o i canali satellitari o quelli su internet, senza chiedersi il senso dei film, il senso della festa (perchè quei film e non altri tra quelli presentati al festival di Torino programma dal quale sono stati scelti) senza chiedersi perchè sono lì.
Gay effeminati tutti allo stesso modo, maleducati (come la coppia occhialuta alla mia destra che ha commentato ogni singola scena del film con delle osservazioni degne della migliore massaia...) insensibili e impermeabili alla cultura tout court figuriamoci a quella gay (qualunque cosa questo termine voglia dire...). Gay che non sono capaci di un giudizio critico autonomo se applaudono ancora l'ennesimo film (Children of God (Bahamas, 2009) di Kareem Mortimer (DigiBeta, 103’, col.) che presenta dei personaggi gay per poi farli morire ma il loro amore rimarrà per l'eternità (ancora?!?!?!?!) e che, in quanto a giudizio estetico, usano gli stessi criteri con cui decidono di acquistare una lampada vintage da 300 euro invece che una bella lo stesso ma di Ikea e quindi dozzinale a 30 euro (la crisi non colpisce i gay ma solo i ricchioni...).
Per cui caro Assessore da un certo punto di vista queste manifestazioni, feste o festival che dir si voglia, servono, servono tantissimo. Dall'altra però... perle ai porci!