Nell'episodio della serie tv americana The Mentalist andato in onda il 27 ottobre scorso (The Red Tatoo, quinto episodio della sesta stagione) si parla della relazione tra un allenatore e un giovane ragazzo che andava avanti da anni, da quanto il ragazzo era ancora minorenne.
Non vediamo la loro relazione non li vediamo nemmeno mai davvero insieme. Tutto è ricostruito nel finale dell'episodio da Patrick Jane il protagonista della serie.
La relazione tra il ragazzo e l'uomo è un espediente narrativo che sfrutta la sorpresa del pubblico (e degli altri investigatori\trici del telefilm) che non ha pensato subito al fatto che i due invece di essere amici o soci in affari potessero essere amanti.
Fin qui niente di male.
Sorprende però come una relazione nata in condizioni delicate, quando uno dei due era un minore, (Jane sottolinea che si trattava di una relazione consensuale da parte di entrambi) durata per anni, quindi basta su un sentimento e non sull'occasionale passione dei sensi sfoci così facilmente nell'omocidio.
Il ragazzo giovane, e ormai maggiorenne, sospettando che il suo fidanzato lo abbia rimpiazzato con qualcuno più giovane di lui (non lo porta con sé a delle gare sportive in trasferta) pensa bene di ricattarlo minacciandolo di far sapere della loro relazione quando lui era ancora minorenne.
Ricatto non perché il giovane vuole ancora avere una storia con lui ma per del vile denaro...
L'uomo ricattato che, pure, ha intessuto col ragazzo una relazione durata anni, cosa pensa di fare? Di ucciderlo a sangue freddo (nel flashback vediamo gli schizzi di sangue).
In questa narrazione non ci si preoccupa di spiegare come si è passati da un amore duraturo al ricatto e all'omicidio.
Le storie tra uomini non durano e se durano possono finire con il ricatto e l'omicidio così, senza soluzione di continuità.
Si fosse trattato di una relazione tra un uomo e una donna si sarebbe sentita la necessità di spiegare meglio il decorso della relazione amorosa.
Se la storia è tra due due uomini il torbido che evidentemente quella relazione porta con sé consustazialmente basta per giustificare lo scartamento dall'amore al ricatto e all'omicidio a sangue freddo. Ed ecco come si possono utilizzare dei personaggi gay per raccontare una storia esagerata fregandosene delle ripercussioni che questi personaggi pososno avere sull'immaginario collettivo mediatico contribuendo a uno stigma già di per sé feroce e mefitico.
Complimenti a Eoghan Mahony che ha firmato la sceneggiatura.
domenica 3 novembre 2013
Lettera aperta a Domenico Naso.
Leggo una sua lettera aperta pubblicata dal Fatto quotidiano nella quale lei critica il passaggi di un'altra lettera, scritta da Carlo Gabardini e pubblicata su Repubblica della quale lei riconosce la bellezza perché lancia un messaggio di speranza e di ottimismo a chi, gay
o bisessuale, vive la propria condizione con sofferenza, disagio e
dolore.
Ma è sbagliato, fortemente sbagliato, un passaggio: “Essere gay è bellissimo”. No, non lo è. Essere gay è normale, non bellissimo. Ed è questo il concetto che deve passare in un paese omofobo come l’Italia.Vorrei farle notare l'omonegatività del suo assunto: il disagio, la sofferenza o il dolore che provano le persone non etero non dipendono dalla propria condizione come pensa lei, bensì dalla pressione sociale dello stigma che fa percepire l'omosessualità come fa lei come una condizione (con un termine ottocentesco), come una minoranza (quando, lo diceva Kinsey più di 50 ani fa, siamo tutti e tutte diversamente bisex...), insomma come un problema oggettivo e non come una opzione di default della sfera sessual affettiva delle persone.
Se i gay, le lesbiche e le persone bisex soffrono è sempre a causa di qualcun altro (qualcun altra) non per una loro oggettiva condizione come lascia intendere lei con le sue infelici parole.
Le sfugge poi il senso politico della frase essere gay è bellissimo che è la reazione più che spontanea e legittima di chi risponde con orgoglio a chi pretende che l'omosessualità sia di per sé indice di un disordine morale inaccettabile (come pretende la chiesa) sia una malattia da curare (come è stato fatto anche in Italia ancora nel 1974 quando Giovanni Sanfratello il ragazzo di Aldo Braibanti venne sottoposto a elettrochoc e coma insulinici per curarlo dall'omosessualità).
Solo chi ignora quale sia il portato dell'omonegatività del nostro Paese può minimizzare con disinvoltura come fa lei su una reazione di orgoglio e di entusiasmo che nasce come risposta positiva allo stigma.
Quello che lei fa derivare da quella frase di orgoglio reattivo allo stigma è nella sua mente e non certo nella frase né nelle persone non etero.
Dire che essere gay è bellissimo non significa certo asserire la superiorità dell'omosessualità o la sua divinizzazione (?!) come pretende lei.
Accusare di equivoco narcisistico chi cerca di rimanere a fronte alta nonostante le ingiurie, le percosse, le aggressioni fisiche e verbali, le opinioni che descrivono l'omosessualità come malattia, depravazione, perversione morale, non solo è ingiusto ma è squisitamente omfobico.
Lei pretende che di fronte a una omofobia feroce non si possa reagire nemmeno dicendo che essere gay è bello.
Essere gay sarebbe normale ma così non è grazie anche a persone come lei che trovano fastidioso che se qualcuno ci dice che siamo malati noi reagiamo con il sorriso e diciamo non è una malattia è una cosa bellissima.
Nemmeno reagissimo violentemente e chiudessimo la bocca all'omofobo a suon di calci e pugni come gli omofobi fanno con noi.
Il suo pregiudizio è davvero intollerabile e dimostra ancora di più la necessità di affermare di fronte a una intolleranza che abita anche la mente di chi pretende di tollerarci che essere gay è bellissimo.
Se ne faccia una ragione, caro omofobo!
Ma è sbagliato, fortemente sbagliato, un passaggio: “Essere gay è bellissimo”. No, non lo è. Essere gay è normale, non bellissimo. Ed è questo il concetto che deve passare in un paese omofobo come l’Italia.Vorrei farle notare l'omonegatività del suo assunto: il disagio, la sofferenza o il dolore che provano le persone non etero non dipendono dalla propria condizione come pensa lei, bensì dalla pressione sociale dello stigma che fa percepire l'omosessualità come fa lei come una condizione (con un termine ottocentesco), come una minoranza (quando, lo diceva Kinsey più di 50 ani fa, siamo tutti e tutte diversamente bisex...), insomma come un problema oggettivo e non come una opzione di default della sfera sessual affettiva delle persone.
Se i gay, le lesbiche e le persone bisex soffrono è sempre a causa di qualcun altro (qualcun altra) non per una loro oggettiva condizione come lascia intendere lei con le sue infelici parole.
Le sfugge poi il senso politico della frase essere gay è bellissimo che è la reazione più che spontanea e legittima di chi risponde con orgoglio a chi pretende che l'omosessualità sia di per sé indice di un disordine morale inaccettabile (come pretende la chiesa) sia una malattia da curare (come è stato fatto anche in Italia ancora nel 1974 quando Giovanni Sanfratello il ragazzo di Aldo Braibanti venne sottoposto a elettrochoc e coma insulinici per curarlo dall'omosessualità).
Solo chi ignora quale sia il portato dell'omonegatività del nostro Paese può minimizzare con disinvoltura come fa lei su una reazione di orgoglio e di entusiasmo che nasce come risposta positiva allo stigma.
Quello che lei fa derivare da quella frase di orgoglio reattivo allo stigma è nella sua mente e non certo nella frase né nelle persone non etero.
Dire che essere gay è bellissimo non significa certo asserire la superiorità dell'omosessualità o la sua divinizzazione (?!) come pretende lei.
Accusare di equivoco narcisistico chi cerca di rimanere a fronte alta nonostante le ingiurie, le percosse, le aggressioni fisiche e verbali, le opinioni che descrivono l'omosessualità come malattia, depravazione, perversione morale, non solo è ingiusto ma è squisitamente omfobico.
Lei pretende che di fronte a una omofobia feroce non si possa reagire nemmeno dicendo che essere gay è bello.
Essere gay sarebbe normale ma così non è grazie anche a persone come lei che trovano fastidioso che se qualcuno ci dice che siamo malati noi reagiamo con il sorriso e diciamo non è una malattia è una cosa bellissima.
Nemmeno reagissimo violentemente e chiudessimo la bocca all'omofobo a suon di calci e pugni come gli omofobi fanno con noi.
Il suo pregiudizio è davvero intollerabile e dimostra ancora di più la necessità di affermare di fronte a una intolleranza che abita anche la mente di chi pretende di tollerarci che essere gay è bellissimo.
Se ne faccia una ragione, caro omofobo!
I funerali di Simone: la responsabilità per la sua morte è sempre altrove.
Giovedì 31 Ottobre si sono svolti i funerali di Simone, il ragazzo ventunenne che si è tolto la vita in segno di protesta per l'omofobia della società italiana che lo discriminava.
Funerali cattolici, in chiesa.
Quella chiesa che dell'omosessualità, nel suo catechismo, dice:
I neretti sono miei. Potete leggere il passo integrale in fondo al post.le relazioni omosessuali [sono] gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che "gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati".
Questo passo del Catechismo fa della chiesa uno degli agenti di creazione e propaganda dell'omofobia.
Tra le mani che hanno spinto Simone giù da quel terrazzo quelle delle chiesa sono le prime.
Non mi interessa sapere se Simone avrebbe gradito il funerale cattolico o no.
Ci sono moltissimi froci che schizofrenicamente vanno in chiesa o si sentono cattolici anche se la chiesa li tollera e solo se sono casti.
D'altronde i funerali servono ai vivi non certo ai morti, che non ci sono più.
Però predicare l'accoglienza e gridare contro la discriminazione proprio da una delle sedi della prima Agenzia che crea e diffonde omofobia ha in sé oltre che un che di macabro, di disgustoso, di profondamente ingiusto, anche un che di grottesco.
Pensate ai figli e alle figlie che affidiamo alle parrocchie, dove si organizzano corsi di danza, musica, arte (mentre lo Stato e le istituzioni laiche latitano) e dove viene insegnata loro la propaganda omofoba (misogina, misoneista, antidemocratica, patriarcale, etc etc), nemmeno perchè i genitori e le genitrici credono in quella propaganda ma perchè è tradizione.
Non bastano leggi contro l'omofobia.
C'è bisogno di un cambiamento culturale. E quello non lo compiono le leggi. Le leggi possono dare solo direttive generali.
La società la cambiano solo le persone.
E per cambiare davvero le cose dobbiamo impedire alla chiesa di fare danni.
Ma per farlo dovremmo chiudere tutte le parrocchie, tutti i centri cattolici, tutti questi covi di fanatici e fanatiche che mangiano il corpo e bevono il sangue del figlio del loro dio per guadagnarsi la vita eterna e intanto discriminano e istigano al suicidio.
Il funerale di Simone in chiesa non serve a Simone, serve alla chiesa per rifarsi una verginità di non omofobia.
Così il parroco omofobo (chiunque militi in una agenzia che ha nel suo catechismo delle parole di discriminazione per le persone omosessuali le accetta e ne diventa diffusore) hanno avuto il fegato di dire:
Pur con l'amore della sua famiglia Simone non è riuscito a superare le fatiche e le difficoltà della vita quotidiana, nonostante i suoi valori forti e i suoi principi. Pensiamo a quanto potesse stare male, a quanto forte fosse il suo disagio che nessuno è riuscito ad ascoltare e comprendere. (repubblica)Quello che il parroco si guarda bene dal dire che parte del disagio di Simone era provocato proprio dalla non accettazione della sua famiglia che viene invece presentata come famiglia amorevole.
Che il disagio era causato dalle parole dure di critica del catechismo della chiesa cattolica, o di quante e quanti relegano l'omosessualità a una questione privata della camera da letto da non ostentare o esibire.
Serve anche ai genitori di Simone per smarcarsi da quella cultura del silenzio cui avevano costretto il figlio che temeva le loro reazioni (non sappiamo con quanto fondamento) tanto da averlo indotto a non dichiararsi con loro.
Quanta differenza tra le parole del padre di Simone (che poi non sono sue ma quelle di una lettera di sua figlia Ilaria, sorella di Simone) e quelle della madre di Bobby Fischer...
Manca a questo padre (e alla sorella di Simone) l'onestà intellettuale di dire non sapevo che le convinzioni nelle quali ero stato cresciuto potessero discriminare al punto tale da non lasciare spazio alcuno per nessuna manovra che non fosse quella di uscire dall'agone e togliersi la vita.
L'onestà intellettuale di chi, avendo sbagliato per tutta la vita, si accorge degli errori commessi e chiede scusa.
Invece il padre di Simone, calpestandone la dignità umana si erge a genitore attivista, che ha sempre saputo, e combattuto a fianco del figlio contro lo stigma discriminante e si permette di dire Chi è bersaglio della società ha bisogno di avere fiducia in sè stesso e saper chiedere aiuto omettendo di dire che lui quell'aiuto al figlio non è stato capace di darlo, che lui era uno dei tanti anonimi ma ferocemente presenti autori della discriminazione, dello stigma.
Tutte le persone che sono convenute in chiesa erano lì per auto assolversi e declinare la propria responsabilità per la morte di Simone, una responsabilità che ci inchioda tutti e tutte, senza esclusione, ogni volta che non protestiamo per un titolo di giornale discriminatorio, ogni volta che non interveniamo quando frocio o lesbica vengono usate e considerate come parole offensive, ogni volta che una istituzione, una personalità politica, una persona in tv discrimina gli uomini e le donne in base al loro orientamento sessuale.
Le persone che erano in chiesa si sono autoassolte facendo di Simone un diverso che soffriva come ha scritto nella lettera* letta dal padre sua sorella Ilaria, delle parole infami (Sentirsi diversi non è bello per nessuno ma per fortuna ci sono persone accoglienti che danno conforto a chi è in difficoltà) che fanno di Simone non la vittima di una società feroce ma un'anima fragile, spaurita e diversa. Arrivando a mentire quando afferma che La tua famiglia non ti ha mai lasciato solo e ti ha appoggiato in tutte le scelte.
Ed ecco che i carnefici, le carnefici, diventano le persone che accolgono.
*C'era una volta un anatroccolo, dal corpo fragile, diverso dagli altri, perseguitato da tutti. L'anatroccolo vaga senza meta, debole e inferiore, è brutto ma buono e diventerà un cigno bellissimo. Un viaggio triste ma positivo, l'anatroccolo conserva la sua identità. Te la ricordi Simone, era la tua favola preferita. Sentirsi diversi non è bello per nessuno ma per fortuna ci sono persone accoglienti che danno conforto a chi è in difficoltà. Mi dicevi vado per la mia strada e sono fiero di me. Anche nei momenti in cui hai lottato in silenzio e con coraggio per affrontare la paura del mondo, sempre col sorriso e l'umiltà. Prima di aprire le porte contavi fino a 10 prima di uscire e andare a combattere contro le ingiustizie e incoerenze della gente. La tua famiglia non ti ha mai lasciato solo e ti ha appoggiato in tutte le scelte. Hanno detto e scritto che eri solo ma non è vero, sei stato tu a combattere proprio con la tua famiglia per la giustizia e la verità, quando ci hai raccontato della tua omosessualità. Il tuo sogno si stava realizzando. Ogni giorno ti vengo a trovare lì da dove ti sei lanciato nel vuoto. Ma si riempie il cuore a vedere che sei nell'animo di tutti, adulti e bambini. Chi pensa che eri un ragazzo fragile sbaglia: sei portavoce di un nucleo collettivo. Il messaggio è arrivato, Simone, ti posso assicurare, ci sei riuscito alla grande. Con questo gesto hai fatto capire che chi è in difficoltà ed è un bersaglio della società deve chiedere aiuto e trovarlo. Grazie per essere stato un bravo fratello e un grande figlio. Con i miei occhi lucidi prego per te. Ti vogliamo tanto bene». Un lungo applauso attraversa la chiesa di S.Giustino. Papà Fabio aggiunge, con straordinaria compostezza e dignità, nel dolore: «Lui sarà sempre la mia sentinella, e io sentinella per lui. Porterò il suo messaggio in tutto il mondo, lui mi darà la forza. (fonte il tempo)
Castità e omosessualità
2357 L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o
donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso
persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e
nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte
inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni
omosessuali come gravi depravazioni, 238 la Tradizione ha sempre
dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». 239 Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto
sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità
affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne
presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione,
oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova.
Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro
riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono
chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane,
a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono
incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità.
Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà
interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la
preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e
risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
(fonte Il catechismo della chiesa cattolica i neretti sono miei)
(fonte Il catechismo della chiesa cattolica i neretti sono miei)
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