lunedì 20 maggio 2019

Calvin Klein, il queer baiting, l'utenza internet lgbt e la stampa

Pare che l'ultimo spot di Calvin Klein abbia fatto indignare il pubblico lgbt della rete, quello stupido dei  bar, stando ai commenti riportati.
La stampa italiota riporta la notizia zoppicando sull'inglese ma in generale chi dovrebbe informare non va minimamente a fondo di quanto implicato  rimanendo sulla superficie di qualcosa che ha dei risvolti inquietanti e corporativisti.

Intanto lo spot.





Il video fa parte di una serie di spot della nuova campagna pubblicitaria della Kelvin Klein sulle note della canzone  Bad Guy della cantante Billie Eilish, nella campagna oltre a Billie compaiono, tra video e immagini – altri e altre testimonial (oggi si dice influencer)  il rapper A$AP Rocky,  Shawn Mendes, reduce dalla campagna precedente, l’attrice transgender Indya Moore, le modelle Kendall Jenner  Bella Hadid e la modella digitale Lil Miquela. Slogan (ma il termine è desueto) della campagna è  I Speak My Truth in #MyCalvins esprimo la mia verità in #MyCalvins che è anche un hashtag.

Nello spot in questione la modella sulla sinistra è  Bella Hadid, quella sulla destra è Lil Miquela un personaggio digitale (che la stampa nostrana chiama, chissà mai perché, robot (??!!?!), un personaggio virtuale, disegnato in cgi, presente su Instagram dal 2016  che conta oggi un milione e mezzo si followers.
Lil è modella e anche una cantante (le sue canzoni si trovano su Spotify).

L'idea dello spot, nel quale  si dice di come la vita consista nell'aprire le porte e creare nuovi sogni che non sapevi esistessero è di fare incontrare due icone femminili , uno reale, l'altro virtuale, e farli baciare.
Il superamento del  confine non sta nel bacio tra due donne (non è certo il primo bacio tra donne nella storia della pubblicità) ma nell'incontro tra una donna in carne e ossa e una virtuale.

Questo incontro epocale però non ha funzionato.

Sarà perché la bellezza artificiale di Lil è così evidentemente digitale, da avere un effetto controproducente come qualcuna ha fatto notare nei commenti su YouTube: ormai la bellezza organica e reale non ci basta più produciamo una bellezza artificiale che non invecchia e non ha i "difetti" delle persone organiche.
In più, aggiungo io, Lil non va pagata, vanno pagate le persone che la animano al computer ma lei non esiste.
La forza lavoro perfetta: pura immagine senza salario.

Il bacio tra queste due donne, una reale l'altra no, non esce dall'alveo dell'erotizzazione della donna a uso e consumo del maschio.
Questo  bacio tra donne  (e non  bacio lesbo come riportano in maniera orrenda la stampa di Torino)  serve a solleticare più l'immaginario collettivo etero maschile che quello femminile come fa anche un altro spot di Calvin Klein ne quale  Bella, da sola,  si sdraia su un cavallo mentre il claim dice I'm fiercely kind cioè sono ferocemente gentile.

Bene direte, allora si è fatto bene a protestare contro lo spot tanto da indurre Calvin Klein a chiedere scusa.

Beh, magari anche no.
Perché le proteste contro lo spot non sono state fatte dal versante della critica al maschilismo o al sessismo. Sono state fatte dal versante lgbtq.

Lo spot è cioè stato accusato di fare queer baiting.
Letteralmente esca per froci e lesbiche.

Molte persone lgbt si sono indignate perchè Lil è un personaggio non una vera persona ed era meglio che a baciare Bella fosse stata una vera lesbica.

 






Adesso questo commento è chiaro se avessero preso due donne bianche le avessero pitturate di nero e le avessero spacciate per afro americane: ci sono un sacco di donne afro americane che avrebbero potuto fare lo spot avrebbe senso da vendere.

Ma ciò che è chiaro con la pelle non lo è con l'orientamento sessuale.
Non c'è un modo per saperlo se non una dichiarazione della persona stessa. Non basta un bacio per fare di una persona una lesbica o un gay.
Anzi il fatto che il bacio tra due donne sia stato letto come il bacio di due donne lesbiche, il fatto  che ci si indigni che dato che una delle due  non esiste e l'altra è etero tolgono lavoro e rappresentanza alle vere lesbiche, è davvero un discorso reazionario, omofobo e disgustoso.

Quante persone si sarebbero lamentate se Lil avesse baciato un uomo? Quante avrebbero detto ci sono un sacco di donne etero che avrebbero potuto  fare lo spot?

Tra l'altro ci si dimentica che il messaggio dello spot  non era un discorso pro lesbiche ma voleva presentare due eccessi: l'incontro tra una donna vera e una virtuale e un bacio tra due donne non lesbiche che, pure, non trovano niente di male a darsi un bacio.

Io continuo a paventare una società dove gli unici baci autorizzati siano quelli tra persone omosessuali.
I baci sono baci chiunque li dia per qualunque motivo.

La critica queer bait, come si legge nell'urban dictionary, nasce dal presupposto, fondatissimo, che se si accenna all'omosessualità nei media senza che i due personaggi, non gli attori o le attrici che li interpretano, ma i personaggi, siano poi  davvero omosessuali cioè, fuori dal corporativismo, se a quel bacio non segue poi un vero interesse, sessuale o relazionale, tra di loro, allora si sta usando lo specchietto per le allodole.

In questa pubblicità  dove le due modelle non interpretano un personaggio ma sono se stesse (beh almeno una perché l'altra non esiste) o, meglio, dove personaggio e interprete coincidono (perché la Bella degli spot è personaggio pubblico non già la persona della vita privata) cambia davvero tanto se a darsi quel bacio sono due lesbiche o no?

Nello spot  non si sta alludendo al fatto che Bella e Lil siano in tresca mentre in realtà non lo sono, si sta mostrando che due donne, qualunque sia il loro orientamento sessuale, hanno tutto il diritto a baciarsi E NON C'E' NIENTE DI MALE.

Questo modo di vedere per scompartimenti stagni se sei donna e ti limoni con un'altra donna sei necessariamente lesbica o dovresti esserlo mi sembra davvero il peggiore esempio di dividi et impera.

Anche chi dice cose sensate poi aggiunge sciocchezze.



1 Smettetela di usare il lesbismo per vendere i vostri vestiti, Noi non siamo  un guarnimento per gli uomini,

2 Avrei dovuto essere io.





Metteteci me. Ecco. Quei fatidici 15 minuti di successo che ora con la rete sono allungati in un eterno presente dove la prima imbecille, il primo cretino possono parlare e dire il niente sotto vuoto spinto.


La risposta che, dopo questa enorme pressione di commenti insensati, ha rilasciato Calvin Klein è altrettanto sconfortante.


Capiamo e riconosciamo come avere qualcuna che si  identifica come eterosessuale coinvolta in un bacio dello stesso sesso possa essere percepito come queerbaiting. 

Quindi al cinema solamente attori e attrici gay possono  interpretare personaggi omosessuali? E,  viceversa attori e attrici gay non possono  interpretare personaggi etero?

Il queer baiting nasce per denunciare veri specchietti per le allodole.

In questo caso son più specchietti per allocche e allocchi.


venerdì 17 maggio 2019

L'omofobia secondo l'Unar e il sottosegretario Spadafora

Da ieri sul canale ufficiale dell'Unar di YouTube si può vedere il nuovo video istituzionale contro
l'omofobia.

  

Dopo aver definito alcune fobie (cheratofobia, paura per i capelli, hilofobia, paura per gli alberi, e cromatofobia, paura per i colori) nel video si introduce  la fobia più irrazionale di tutte, l'omofobia, definendola come paura  irrazionale dell'omosessualità  esortando ad aiutare a farla scomparire. Conclude lo spot il riferimento al 17 Maggio come giornata mondiale contro l'omofobia.

Sul canale youtube non ci sono informazioni su chi ha fatto lo spot.
Lo si presenta semplicemente come una campagna di comunicazione contro l'omofobia 2019. Per saperne qualcosa di più dobbiamo andare su Facebook dove, nella pagina del sottosegretario con delega sulle pari opportunità Vincenzo Spadafora, si legge:

Il 17 maggio ricorre la Giornata internazionale contro l’omobitransfobia. Proprio in questa data, 29 anni fa, l’OMS ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. In questo video, in onda da oggi sulle reti Rai e realizzato proprio da Rai Creativa (che ringrazio sentitamente), abbiamo provato a stimolare la discussione sulla irrazionalità dell’omofobia. Una paura che, insieme, dobbiamo riuscire a cancellare, per produrre un ulteriore avanzamento culturale e sociale.

Annoverando l'omofobia  tra le paure irrazionali si svuota di ogni significato politico la parola. L'omofobia, infatti, non denota una paura irrazionale ma una discriminazione.

Non lo diciamo noi.

Lo dice il libro  DisOrientamenti Discriminazione ed esclusione sociale delle persone LGBT a cura di  Carlo D’Ippoliti e Alexander Schuster pubblicato per l'Unar dai tipi della Armando editore, nel 2011,  nel quale  l'omofobia è definita come   discriminazione nei confronti delle persone omosessuali.

Nel libro, che potete consultare sul sito dell'Unar, a pag. 24, si spiega come

(...)  oggi si distingue l’omofobia dalle fobie comunemente intese, mettendone in luce la dimensione di pregiudizio in quanto: a) le emozioni accompagnate alla fobia sono la paura e l’ansia, mentre quelle iscritte al pregiudizio sono l’odio e la rabbia; b) le persone fobiche vivono la loro paura come irragionevole, mentre le persone con pregiudizi credono che la loro ostilità nei confronti di una certa categoria di persone sia giustificata e condivisibile.

Tutt'altro che legata alla paura irrazionale di una singola persona la discriminazione omofobica implica diversi livelli, come si legge a pagina 25 di DiSorinetamenti:

 a) un piano personale, che riguarda le concezioni individuali pregiudizievoli e stereotipiche nei confronti dell’omosessualità; b) un piano interpersonale, che implica la traduzione dei pregiudizi personali in comportamenti; c) un piano sociale, che si esprime attraverso la reiterazione di comunicazioni sociali improntate sulla continua riproposizione di stereotipi su gay e lesbiche; d) un piano istituzionale, che consiste nella discriminazione manifestata più o meno apertamente in istituzioni quali scuola, famiglia, Stato, Chiesa, ecc.

Una complessità dell'omofobia  che questa campagna semplifica e riduce alla sua prima  definizione, quella che diede George Weinberg, nel 1972: la paura delle persone eterosessuali  di trovarsi a stretto contatto con persone omosessuali e/o il disgusto per se stessi.

Eppure anche  Weinberg,  pur annoverando l'omofobia tra le fobie "classiche", ne riconosceva la portata sociale distruttiva e la tendenza a trasformarsi in violenza che  accomuna l'omofobia alla xenofobia non certo alle altre fobie citate nello spot in questione.