Signor Antonio Misantone,
leggo sui giornali le sue dichiarazioni di meraviglia circa il tentato suicidio di uno studente del suo Istituto, parole con le quali, se correttamente riportate dalla stampa, non si sa mai..., si dichiara sconvolto perchè non si sa che gli
passa per la testa a questi ragazzi.
Non so lei in che mondo viva ma dubito fortemente che non le sia mai capitato di sentire una considerazione negativa (e sto usando un eufemismo) contro l'omosessualità, usata come insulto da molti e molte studenti e dunque, plausibilmente, anche dai suoi e dalle sue.
A frocio de mmerda viene detto per offendere, manifestando una avversione per le persone omosessuali che, una volta individuate o anche solo presunte tali, vengono investite da un ludibrio feroce e costante che passa dinanzi il silenzio della scuola e sicuramente di quello suo. Un ludibrio che mina l'autostima di ogni adolescente, specialmente di chi non ha possibilità di essere rappresentato da dei modelli positivi di comportamento nei quali potersi riconoscere e presentarsi al mondo, nella società e dunque anche a scuola come lei dovrebbe ben sapere se invece di essere un amministratore fosse un educatore.
Non si tratta di fragilità precedente del ragazzo come lei vigliaccamente insinua.
Se le dicessero di continuo che la sua affettività e la sua sessualità sono sbagliate, sono malate, sono immorali e vengono usate come viatico di offese e insulti, lei come si sentirebbe? Non diventerebbe anche lei fragile per la continua pressione esterna?
Non posso credere perciò che anche fosse il primo anno che lei lavora in una scuola, non sappia immaginarsi cosa passa nella testa di un adolescente che viene discriminato non solo nella sua scuola ma in tutta la società per il suo orientamento sessuale.
Spero per lei che le sue parole farisee siano state dettate dal tentativo di difendere il suo Istituto da un danno di immagine che lei in quanto preside manager è obbligato a paventare.
Mi auguro davvero che nella sua coscienza sappia provare più solidarietà per il ragazzo vittima di bullismo omofobico il cui gesto che è una richiesta estrema di aiuto lei vorrebbe mettere tra le parentesi di una imprevedibile ragazzata.
Se così non fosse, se lei davvero pensa che quel gesto rimane incomprensibile e imprevedibile allora, da cittadino italiano, da contribuente che le paga in parte lo stipendio, io chiedo fermamente le sue dimissioni perchè umanamente e professionalmente lei non è qualificato per lavorare in una scuola che ha bisogno di ben altra umanità nelle sue figure professionali, figuriamoci in quella di un preside.
Le sue parole costituiscono una vergogna per la carica che ricopre e disonorano una intera categoria di persone che meglio di lei sanno aiutare e difendere i ragazzi e le ragazze discriminate da una crudeltà intollerante e bovina che lei col suo cinismo ipocrita contribuisce a diffondere.
Si vergoni.
E cambi mestiere.
Alessandro Paesano.
giovedì 30 maggio 2013
Lettera aperta ad Antonio Misantone preside dell'Istituto tecnico nautico Colonna, dove un ragazzo sedicenne ha tentato il suicidio gettandosi da una finestra del terzo piano perchè stanco di essere vittima di bullismo omofobico dentro e fuori la scuola.
Contro l'omofobia c'è ancora tantissimo da fare. Sul disgustoso articolo di Grazia Longo su La Stampa di Torino
Leggo un delirante articolo della stampa che riporta con gravissime parole di discriminazione del tentato suicidio di un ragazzo minorenne di Roma preso di mira dal padre e dai compagni e compagne di scuola perchè gay.
Come dire Non sono bastati, non potevano bastare, la comprensione e l’amore della madre per vivere serenamente la propria cecità, tetraplegia... Insomma l'omosessualità è qualcosa di invalidante di per sé non per le pressioni sociali esterne.
E per questo viene bollato come frocio.
Bollare cioè contrassegnare con marchio d’infamia, additare al disprezzo, alla disapprovazione (fonte Treccani) .
Quindi essere considerati froci (non esserlo ma essere detti tali) è un marchio di infamia?
Possibile che Grazia Longo autrice (sic!) dell'articolo (sic!) non si renda conto della profonda, disgustosa omofobia delle parole che usa, delle considerazioni che fa?
Qualcuno spieghi a Longo che essere froci è la cosa più bella del mondo e che sono le discriminazioni degli altri, le sue comprese, a portare all'infelicità e al disagio non già la propria condizione di omosessualità.
Ah se aveva ragione Mao!!!
Non sono bastati, non potevano bastare, la comprensione e l’amore della madre per vivere serenamente la propria omosessualità.L'omosessualità va vissuta serenamente perchè oggettivamente è un problema.
Come dire Non sono bastati, non potevano bastare, la comprensione e l’amore della madre per vivere serenamente la propria cecità, tetraplegia... Insomma l'omosessualità è qualcosa di invalidante di per sé non per le pressioni sociali esterne.
Il padre, separato, non si è limitato agli insulti e alle botte: per convincerlo a «guarire» lo ha obbligato, invano, a momenti di intimità con la sua attuale fidanzata.Se questo fosse vero il padre sarebbe già in galera, no?
Dunque il ragazzo è considerato frocio non perchè gli piacciono i ragazzi come lui ma per i modi gentili ed effeminati.
Molti compagni di scuola lo hanno deriso e bollato come «frocio» per i suoi modi gentili ed effeminati.
E per questo viene bollato come frocio.
Bollare cioè contrassegnare con marchio d’infamia, additare al disprezzo, alla disapprovazione (fonte Treccani) .
Quindi essere considerati froci (non esserlo ma essere detti tali) è un marchio di infamia?
Possibile che Grazia Longo autrice (sic!) dell'articolo (sic!) non si renda conto della profonda, disgustosa omofobia delle parole che usa, delle considerazioni che fa?
Qualcuno spieghi a Longo che essere froci è la cosa più bella del mondo e che sono le discriminazioni degli altri, le sue comprese, a portare all'infelicità e al disagio non già la propria condizione di omosessualità.
Ah se aveva ragione Mao!!!
Le unioni gay di Galan: la pochezza del movimento l'inesistenza dell'informazione italiana.
Così l'Huffington Post riporta le parole di Galan, senatore Pdl che in settimana presenterà in parlamento una proposta di legge sulle unioni omoaffettive.
“Non si chiamano matrimoni come in Francia, ma è solo un fatto semantico. Sono previste forti analogie al matrimonio per quanto riguarda diritti e doveri, perché i gay devono essere cittadini come tutti”.
In un solo periodo Galan riesce a proporre una semplificazione della questione del matrimonio esteso anche alle coppie dello stesso sesso sbagliata e discriminatoria in linea con l'informazione italiana il movimento lgbt e anche i singoli e le singole blogger.
In Francia non è stato istituito un nuovo istituto giuridico è stato esteso quello già esistente anche alle coppie dello stesso sesso.
Quindi non si deve parlare più di matrimonio gay come continua a fare tutta la stampa (anche manifesto parla di matrimonio tra omosessuali che sarebbe come dire matrimonio tra extracomunitari, tra ebrei, tra neri, etc.) ma di matrimonio e basta.
Lo stesso matrimonio.
Siccome però una etichetta con su scritto mio è proprio nell'animo umano (e donnano) una volta capito che si tratta dello stesso matrimonio blogger e movimento hanno scelto il sempre inutile ma meno dannoso aggettivo egualitario.
Matrimonio egualitario, meno scorretto di matrimonio gay ma sempre scorretto.
L'unica forma corretta è matrimonio tra persone dello stesso sesso (e non importa l'orientamento sessuale delle medesime...).
Comunque.
Se le unioni che propone Galan hanno forti analogie col matrimonio vuol dire che non matrimonio non sono infatti sono una partnership dedicata, cioè esclusivamente concessa alle coppie dello stesso sesso (laddove non si richiede di specificare l'orientamento sessuale).
Dunque una sorta di unione civile per froci e lesbiche dalla quale le coppie etero (=di sesso diverso) sono escluse.
Qualche frocia misogina e querula dirà: beh ci discriminano tanto a noi una volta tanto anche un po' per loro. Bell'andazzo! Come se una discriminazione ne risarcisse un'altra...
Continua Galan: I gay devono essere cittadini come tutti.
I gay. Non le lesbiche, non le persone bisessuali.
E' strano come, mentre si ribadisce che siamo tutti cittadini e cittadine allo stesso modo, si pensa a istituire un istituto giuridico ad hoc "per noi".
Se io sono cittadino come Santanchè perchè lei ha il matrimonio e io un'altra legge?
Il punto è che non esistono diritti gay ma solo diritti negati ai gay (e lesbiche e bisex e transgender e queer e intersex) etichette che, qualunque significato abbiano, hanno serie conseguenze non perchè le persone sono diverse in base a loro ma perchè in base loro vengono discriminate.
Io non sono gay perchè sono diverso. Vengo considerato diverso perchè sono gay.
Se è vero che dobbiamo arrivare al diritto all'indifferenza e dunque a non dover specificare chi amo e con chi mi sposo devo poter accedere alle leggi e comportarmi in pubblico come fan tutti e tutte: dunque matrimonio (l'unico esistente) e pubbliche effusioni, nello stesso grado e cono lo stesso limite di decenza delle effusioni tra persone di sesso diverso.
Questa semplificazione menzognera di Galan andrebbe fatta notare, almeno tra le righe, e invece tutti, tutte e ognuno, ognuna, si adeguano a una liena di pensiero discriminatoria e terzosessista.
Così l'Huffington fa una domanda a Galan che contiene una mistificazione e una semplificazione fatte passare in silenzio.
Galan, la sua proposta si chiama “Gay and lesbian partnership”, ovvero “unioni omoaffettive”. Non era meglio chiamarla matrimonio?Da dove salta fuori la traduzione italiana di unioni omoaffettive da Gay and lesbian partnership è un mistero.
Partnership gay e lesbica è la traduzione più letterale possibile (perchè parntership non lo si traduce con unione...).
Il punto è un altro.
La partnership è un istituto giuridico diverso dal matrimonio che esiste in Inghilterra e in Germania (dove lo hanno usato Paola Concia e Ricarda Trautmann che non si sono sposate perchè in Germania l'estensione del matrimonio ancora non c'è) e ciò non ha impedito di arrivare all'estensione del matrimonio per legge.
Quindi è sbagliato, mendace e proditorio che il giornalista dell'Huffington chieda se non era meglio chiamarlo matrimonio.
Partnership e matrimonio sono due cose diverse.
Che si abbia almeno il coraggio delle proprie opinioni e si dica apertamente che si crede che piuttosto che non ottenere mai l'estensione del matrimonio è meglio creare un istituto ad hoc.
Lo voleva Cathy La Torre e chissà se lo vuole ancora.
Uno può essere d'accordo o meno ma almeno che non ci si inganni facendone solo una questione di nomi.
Non è una questione di forma ma di sostanza!
Galan, al quale fa comodo la domanda ricevuta, perchè ratifica come uguali i due istituti diversi invece di rispondere onestamente non lo possiamo chiamare matrimonio perchè è un'altra cosa, risponde una mezza verità.
Non è un fatto di nomi. I nomi sono diversi, ma la sostanza è simile.Simile, non uguale...
Come può vedere ci sono analoghi diritti e doveri del matrimonio previsto dal nostro codice civile. È, di fatto, la stessa cosa: abbiamo evitato di impiccarci all’aspetto più mediatico e di andare al dunque, prevedendo delle procedure semplificate. In questa fase è importante il principio. Mi ha fatto piacere, ad esempio, che una come Paola Concia, che non ha un approccio ideologico condivida la mia iniziativa.Infatti Paola si è accontentata della Partnership quando si è sposata in Germania con la sua compagna (perchè Trautmann non è giuridicamente sua moglie).
Va beh, direte, che t'aspetti dal gruppo L'Espresso, quello di Repubblica, quello dei giornalisti che non sanno nemmeno scrivere in Italiano?
Il movimento? Le associazioni? I e le blogger? Che dicono?
Darling Michele se la prende con l'aggettivo omoaffettivo perchè teme che in una unione omoaffettiva non ci si possa più inculare o succhiare il cazzo (leggete, leggete lui è solo un po' più allusivo di me...) ma dello scippo del matrimonio sostituito da una partnership non se ne accorge proprio.
Elfobruno che recentemente ha scritto
parli di matrimoni “omosessuali”, errore comune dal quale nessuno scappa – anch’io usavo la locuzione “matrimonio gay” – complici anche i media, a cominciare da quello che ha ospitato la tua lettera, e la loro sciatteria linguistica e culturale.ancora non si è pronunciato su Galan.
Il matrimonio, qualora dovesse aprirsi anche a gay e lesbiche in Italia, non muterebbe “natura” in relazione a chi vi dovesse accedere per coronare il suo progetto di vita. Sarebbe sempre e solo matrimonio. La differenza starebbe nel fatto che mentre adesso è riservato solo a una parte della popolazione – maggioritaria, ma non totale – qualora divenisse “per tutti e per tutte” sarebbe un diritto globale e quindi totalmente egualitario. Per questo si preferisce chiamarlo “matrimonio egualitario” in quei paesi dove è già stato approvato.
Roberto Russo su QueerBlog non si accorge che si tratta di un istituto giuridico diverso e si chiede
perché si continui a dire che tutti siamo uguali e poi, però, si presentano disegni di legge che parlano di “unioni omoaffettive” e non di “matrimonio”.come fosse una questione di nome e non di sostanza.
Che queste unioni affettive non abbiano nulla a che vedere nella sostanza e anche nel principio lo capisce Oliari, gay di destra che su Gay Lib scrive
Le Unioni omoaffettive, una risposta alternativa e rispettosa dei nostri valori per il programma di un centrodestra moderno ed europeo.Accordo tra due persone dello stesso sesso per regolare i rapporti personali e patrimoniali della loro vita in comune. Ecco come il ddl definisce le unioni omoaffettive.
Ben diversamente alla definizione di matrimonio dello Zingarelli (fonte ecnciclopedia Treccani
accordo fra un uomo e una donna stipulato alla presenza di un ufficiale dello stato civile o di un ministro di culto, con cui i soggetti contraenti si impegnano a instaurare e mantenere fra essi una comunanza di vita e di interessi" (i neretti sono miei)Comunanza di vita e interessi ecco quello che rende diverso il matrimonio dalle unioni regolano i rapporti personali e patrimoniali ma non dichiarano davanti al mondo davanti alla società coniugale che fanno famiglia.
Flavio Romani di Arcigay pur riconoscendo che la partnership non è il matrimonio continua a usare una terminologia confusa dicendo
A parte la grammatica (allargamento alle e non per) o il matrimonio è per le copie dello stesso sesso (qualunque ne sia l'orientamento sessuale) oppure si tratta di far accedere al matrimonio le persone omosessuali (e solo quelle, eh!) ma dati gli svarioni che il suo ufficio stampa gli scrive da quando si è insediato già un miracolo che non abbia parlato di matrimoni gay...
La proposta, al di là del brutto nome, non raggiunge evidentemente quel minimo comun denominatore di diritti e doveri che chiediamo, e che sta nella banalissimo accesso agli omosessuali al matrimonio civile. Solo l'allargamento al matrimonio civile per le coppie dello stesso sesso garantisce la piena parità. (fonte cinemagay)
Queste unioni omoaffettive sono discriminatorie, perchè previste solo per le coppie dello stesso sesso, perchè non consentono le adozioni e non sono il matrimonio.
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