In realtà di matrimonio si è parlato poco ma la serata è stata lo stesso molto interessante sia per gli argomenti presentati, sia per il comportamento, o la reazione degli astanti, e degli speaker.
La mancanza di senso storico
La serata è stata condotta da Simone Alliva giornalista e militante, secondo il classico standard delle serate fatte da una organizzazione aperte al pubblico: è il giornalista che introduce pone domande agli altri ospiti, stimola la conversazione.
Una interfaccia che funziona quando un gruppo ristretto si presenta a un pubblico eterogeneo come può essere quello di una festa dell'Unità o simili. Un po' curiosa come scelta se si presenta la serata in un circolo di cultura omosessuale ad un pubblico dunque più mirato e sensibile all'argomento.
L'atteggiamento psicologico di chi ha organizzato la serata è quello voi non ci conoscete scegliamo una interfaccia istituzionalmente, tradizionalmente alta.
Un po' troppo formale, insomma.
Certo se l'alternativa era il militante di associazione con scarsa capacità comunicativa sulla carta il giornalista è meglio ma possibile che non esiste una terza via?
Le domande che Alliva ha posto agli speaker erano interessanti anche se hanno tagliato fuori il matrimonio che doveva essere la questione principe.
Al posto suo io avrei chiesto a tutti Qual è lo stato delle cose sul matrimonio egualitario in Italia (meglio questa espressione che matrimonio gay)?
Chi ha partecipato ieri stava lì era anche per informarsi su questo come era spiegato nel comunicato.
Invece Alliva è partito da una non meno interessante domanda sul Pride. Il Pride come carnevalata ha ancora senso? E' una strategia comunicativa ancora efficace?
La risposta più interessante, almeno dal mio punto di vista, l'ha data Senio Bonini, giornalista di Rainwes24, anche lui giovane (ma meno di Alliva) e molto avvenente (sapendo di esserlo).
Senio ha detto che tra le immagini e i filmati di repertorio sui pride scarseggiano quelle che non contengano trans culi e tette. Senio parlava del database di Rainews24 ma posso aggiungere sicuro di non sbagliare che lo stesso vale per le altre testate e per le agenzie di servizio che forniscono immagini e filmati alle tv.
Chi fa quelle riprese, aggiungo io, sceglie di riprendere solamente questi elementi per connotare e denotare il pride come baracconata di pessimo gusto.
Non c'è solamente un pregiudizio ma anche una intenzionalità in un o una giornalista che, nel riferirsi a una donna trans, lo fanno al maschile sottolineando così il esso di partenza (cui li condannato eternamente a rimanere) e non quello d'arrivo.
Non è del mio avviso Senio Bonini, che, con un comportamento squisitamente da casta, giustifica il comportamento professionale dei colleghi e colleghe dicendo che si tratta di ignoranza.
Per Senio se un giornalista sbaglia la parola non esprime un giudizio ma solo ignoranza.
Ne nasce un battibecco con il sottoscritto che serpeggerà per il resto della serata...
Alliva parla giustamente di problema deontologico (cosa che fa inalberare Senio) e per corroborare il suo punto di vista cita un passo da L'apocalisse di Oriana Fallaci
Oriana Fallaci, Oriana Fallaci intervista sé stessa - L'Apocalisse Rizzoli, Milano 2004
Le risposte degli altri (vedi il vantaggio di un parterre di intervenuti tutti uomini? Non devi preoccuparti del sessismo della lingua: tutti non sta per uomini e donne ma solo per gli uomini visto che di donne nemmeno l'ombra...) sono state di routine.
Andrea Maccarrone ha difeso il pride lamentando la strumentalizzazione della carnevalata, mentre Valerio Mezzolani di Gay.net ha ricordato la natura festaiola della parata come legittima rivendicazione politica.
Nessuno che si sia sentito in dovere di ricordare l'origine storica del gay pride (che oggi, in una forma di rimozione omofobica, chiamano tutti pride e basta con la scusa che la parola gay escluda le altre categorie della sigla lgbtqi...) la reazione delle trans dello Stonewall di N.Y.C.....
D'altronde la mancanza di una percezione storica, e anche di una consapevolezza storica, manca a tutti gli astanti.
Manca ad Alliva che, riferendosi al documentario, si meraviglia di come nel 1992, quando in piazza della Scala a Milano vennero celebrate alcune unioni civili simboliche (riprese dal documentario di Antoio Mai Stand By Me, citato nel documentazio di Facente), non si usasse la parola matrimonio (Paolo Hutter nel documentario dirà "allora ci sembrava una parola conformista") e ne chiede d'onde ai presenti.
Andrea Maccarrone fa una lettura sociopsicologica anche interessante e dice che una volta le stesse persone omosessuali sentivano di non potere sposarsi di non potere avere figli, connotando questo sentimento nell'alveo dell'omofobia interiorizzata.
Lo interrompo e non lo faccio finire, ricordandogli del cambiamento culturale e politico che è successo negli ultimi 40 anni.
Di come Mario Mieli nel suo libro Elementi di critica omosessuale legga la richiesta del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso come un adeguarsi alla norma: Passare dalla nostra parte (...) Significa sposare il piacere tuo al mio senza vincolo castrante, senza matrimonio. Vuol dire godere senza Norma, senza legge.
(Mario Mieli Elementi di critica omosessuale Einaudi, Torino 1977 p.205)
Di come la Famiglia negli anni settanta era quella dello stato di famiglia mussoliniano del 42, quella criticata da David Cooper e analizzata da Laing.
Di come avendo un po' di prospettiva storica contestualizzare il diniego di 40 anni fa della famiglia spiega più che agevolmente perchè non si parlasse allora di matrimonio (di)mostrando come la gente, le persone, gli uomini e le donne, etero gay e bisex abbiano saputo costruire sulla propria pelle una nuova famiglia in maniera molto più rivoluzionaria di quando non pontificassero i vari (e le varie) no pasaran di allora...
Pochi gli interventi del pubblico oltre i miei.
Solo quando Senio Bonini, rispondendo a Daniele Vigliotti che, pur criticando la proposta di legge Galan sulla civil parntership, ne apprezza la presenza dell'inammissibilità dell'obiezione di coscienza, ricordandogli che non ci si può sottrarre dall'erogare un diritto, la sala gli ricorda i precedenti della 194...
Sarà la mia voglia di compartecipazione ma sono rimasto deluso dal fatto che dopo la proiezione del documentario (60 minuti di durata che potevano essere tranquillamente 45...) nessuno abbia sentito l'esigenza di intervenire, commentare, condividere e, perchè no?, criticare.
Era tardi, la gente già stava facendo salotto e gli speaker per primi, dal loro linguaggio del corpo, facevano capire che non erano interessati a proseguire la discussione.
Invece di cose da dire sul video documentario ce n'erano.
Vado in ordine sparso dei tanti spunti che il video offre.
1) la vocazione cattolica di fondo di tutte e tutti che vogliono un matrimonio cerimoniale dove la cerimonia ha sempre qualcosa di religioso e mai di laico (lo scambio delle fedi, vagheggiato da una coppia di donne, che nel matrimonio civile non sono obbligatorie; l'abito borghese, al comune ti puoi posare vestita e vestito come ti pare). Si ha l'impressione, sentendo gli intervistati e le intervistate, che l'esigenza del matrimonio sia più legata alla possibilità di accedere a uno status symbol borghese di normatività (vuoi vedere che c'aveva visto bene Mieli ?) piuttosto che dall'esigenza che la propria unione venga riconosciuta davanti la società come famiglia.
2) la mancanza assoluta nel documentario di una cornice storica di riferimento, legislativa, rivendicativa, che contestualizzi anche la campagna sostenuta da quore. Il video dà per scontato che tu sappia quali diritti il popolo lgbt ha (non ha).
3) L'uso incongruo delle interviste nelle quali si chiede a persone che non ne hanno la competenza di esprimersi su concetti delicati, legislativi, di diritto civile, di storia delle istituzioni.
Così le dichiarazioni di due coppie di persone dello stesso sesso che vivono insieme e non si limitano a testimoniare la discriminazione che lo stato compie nei loro confronti ma esprimono anche giudizi sul Vaticano e sul parlamento italiano senza averne la necessaria competenza sono giustapposte alle dichiarazioni di Anna Paola Concia (quando era ancora deputata) e di Don Gallo (che esprime opinioni a titolo personale essendo le sue idee, per quanto condivisibili, al di fuori della dottrina ufficiale della Chiesa...).
In questo il documentario indulge in una pratica attuata dai tg nazionali (tg4 in testa) che danno voce populisticamente al sentire comune senza sostenerlo da una competenza necessaria e imprescindibile.
Il provincialismo di tutte e di ognuno che non riesce a prescindere nemmeno in una lotta laica e democratica sull'estensione del matrimonio civile (l'unico ad avere una dimensione legale in Italia) di specificare, smarcarsi, confrontasi con il matrimonio religioso (la presenza asfittica di Don Gallo che è smepre un prete e dunque che c'azzecca in un documentario laico?).
4) Il sessismo radicato nella lingua italiana anche nel caso delle dirette interessate. Persino la coppia di donne accorda i participi al maschile.
Sessismo radicato anche nel linguaggio degli speaker presenti alla serata che, per esempio, usano tutti, più o meno disinvoltamente, l'articolo la davanti i nomi al femminile o usano smepre il maschile come termine neutro con valenza anche per il femminile (quando anche l'Accademia della Crusca ha ricordato che non esistendo in italiano il neutro un sostantivo maschile è e resta maschile e non sostituisce quello femminile...) .
Quando lo faccio notare a Senio Bonini, che ha appena detto la Boldrini Senio prima minimizza con il classico gesto della mano e poi, piccato perchè lo sto correggendo, mi risponde che anche io prima ho sbagliato a costruire una frase (ho detto menare ai poliziotti mentre, ricorda giustamente, menare è transitivo e dunque si dice menare i poliziotti complemento oggetto diretto) e mi prega dunque di correggermi.
La mia non era certo una correzione grammaticale (non mi permetterei mai) ma politica ed è sul quel piano che voglio mantenere la discussione.
Mentre dire ho menato ai poliziotti è un errore grammaticale (nemmeno troppo giustificato dall'uso dialettale dell'oggetto preposizionale cioè il complemento oggetto introdotto dalla preposizione "a" ho visto a tuo fratello), dire la Boldrini non è tecnicamente un errore ma una asimmetria di genere, perchè non si dice altrettanto il Berlusconi (a meno che non ci troviamo al nord...).
Che un giornalista voglia proporre ai colleghi e alle colleghe un uso meno discriminatorio della lingua quando ci si riferisce a questioni lgbt ma poi minimizza sull'uso sessista della lingua la dice lunga sulla arroganza dei giornalisti, anche quelli belli e che hanno fatto la scuola di giornalismo a Perugia come ci tiene a ricordare Senio...
D'altronde Senio si considera talmente il giornalista par excellence che
ogni volta che critico i giornalisti facendo qualche esempio dei loro orrori concettuali - quelli che lui pretende siano solo il frutto dell'ignoranza (lui che ha lavorato in sei diverse redazioni rai...) si sente chiamato in causa e mi accusa di starne facendo una questione personale.
Capito?
Io parlo male dei giornalisti e delle giornaliste e lui pensa che stia parlando male di lui.
Fossi un altro mi sarei alzato per menare a Senio... buon per lui noi froci siamo tutti mammolette.