martedì 22 giugno 2010
Lo spot del Roma Pride 2010
Lo abbiamo visto tutti. Tutti (o quasi) lo abbiamo criticato. Ci siamo basiti dello spot ma, a pensarci bene, non avremmo dovuto.
Non possiamo liquidare lo spot in questione con la parola "brutto" perché questo giudizio estetico fa pensare al montaggio, alla fotografia, alla recitazione, tutti elementi che, pure, sono stati criticati.
In realtà tutti elementi secondari rispetto quello che lo spot dice e mostra.
Anzi, a dirla tutta, forse se qualcosa si può salvare dello spot è proprio la parte visiva, quella timida soggettiva iniziale che, mentre il bellimbusto fa le flessioni, ci permette di vedere, alternatamente, le immagini dai due monitor (tv e lettore dvd portatile).
Al di là dei difetti estetici la parola "brutto" sembra riferirsi ai contenuti e alla "visione delle cose" cui lo spot sottende. Da più parti si è detto che lo spot è "fuori dal mondo", pieno di cliché. Ma è proprio così?
A una seconda visione lo spot del Roma Pride 2010 sembra politicamente e antropologicamente parlando molto interessante, niente affatto fuori dal mondo e anzi una chiara emanazione di un modo di essere, di pensare e di stare al mondo, quindi di fare politica.
Riprendendo la dichiarazione di Mauro Cioffari, all'incontro Tabula Rasa di sabato scorso alla libreria Gabi, che il movimento di rivendicazioni di gay e lesbiche non può che essere di sinistra, questo video dimostra come invece esista un altro modo di fare rivendicazione, molto lontano da quella di sinistra, sia quella riformista che quella antagonista.Un modo che può non vederci d'accordo (e infatti è così) ma che non possiamo liquidare semplicemente dicendo "è brutto". Brutto o no lo spot è veicolo di idee e ideologia che dobbiamo analizzare con dei termini meno di pancia.
Lo spot immortala un gay nel suo appartamento, ritraendolo nella sua vita privata, non durante il lavoro, né durante altre attività sociali (frequentazione di amici, di amanti, di ambienti, gay o meno): l'intimità dell'appartamento in cui vive il protagonista. Una intimità gatta di solitudine: il soggetto è da solo, non impegnato in alcuna attività casalinga che lo possa connotare socialmente: lontano dall'informazione, non vediamo né quotidiani o riviste, né internet nonostante il net-book usato per vedere Will & Grace; lontano dalla cultura: non vediamo libri, tranne uno sul divano, ma è chiuso, e uno d'arte della (sotto)cultura gay Pierre & Gilles (ce l'ho anche io...).
Un appartamento chiuso, senza finestre che lo colleghino all'esterno. Non è importante che il protagonista dello spot si unisca agli altri ma che partecipi in quanto singolo.
Una monade gay che ha bisogno di dettagli esterni per essere identificato immediatamente come tale. Non è vero infatti che lo spot è pieno dei soliti luoghi comuni come dicono i detrattori.
Il ragazzo non schecca, non si traveste (con tutto il rispetto per chi lo fa, sto solo analizzando il luogo comune che vuole tutti i ragazzi gay vestano da donna e il feticismo non è di esclusivo appannaggio gay), non ascolta la Carrà, non balla, non canta (anzi la musica non c'è proprio), NON PARLA.
Per essere identificato come gay è circondato da alcuni simboli (la bandiera queer) e da alcuni marcatori culturali: le due rielaborazioni (non originali) di Warhol, la pila di dvd che il ragazzo ha davanti a sé, tra i quali oltre a Will & Grace, ci sono Lost, Nip & Tuck, Lady Oscar, mobili di Ikea, e la cura del proprio corpo il giovane fa le flessioni e si depila il petto (con le strisce pensate per le gambe...!).. Unico elemento diverso il capello lungo.
Non uno spettatore consapevole, solo un consumatore solerte che guarda, distratto, ben tre schermi accesi (di cui uno, a un certo punto, non manda alcuna immagine, ma un puntinato in bianco e nero delle tv di una volta, mentre oggi, col digitale, l'assenza di segnale rende lo schermo nero come fosse spento*) oltre un quarto monitor (la tv vintage alle sue spalle) spento.
Un gay che non sembra avere una vita sviluppata sul piano personale, non un individuo, ma "uno dei tanti", uno della massa.
Uno dei tanti per i quali "essere gay" non significa una vocazione all'attivismo o una sensibilità particolare a tutte le oppressioni (come vorrebbe Mauro, che vede in ogni gay uno di sinistra), ma che vive la sessualità come un aspetto della propria personalità (in realtà molto standardizzata) non preponderante o particolarmente significativo.
Uno di quei gay che, poco importa se votano a destra o a sinistra, non partecipano al movimento, non vengono alle fiaccolate, non vengono forse nemmeno ai pride dei quali sono i primi detrattori, perché nei pride ci sono le donnicciuole che ballano e loro non si identificano con quel cliché (non capendone l'uso pubblico e il rovesciamento eversivo del suo originale significato maschilista).
Uno di quei gay che si sentono liberi tra le pareti domestiche di casa propria che vivono in solitudine, perché disimpegnati non solamente nella causa gay ma nella vita.
Lo spot del Roma Pride 2010 si rivolge proprio a loro.
Non perché, da sinistra, conosce quegli atteggiamenti e, criticandoli, cerca di suscitare una reazione di emancipazione nei soggetti cui si rivolge, invogliandoli a una com-partecipazione alla vita della città (cioè alla politica) ma perché, fondamentalmente, lo spot (chi lo ha fatto, il mittente attraverso il quale parla) appartiene a quello stesso mondo.
Un mondo di consumatori, che si sentono liberi perché vanno al Gay Village, bevono una birra gay alla Gay Street, e se, rientrando la sera dal Coming, vengono aggrediti, hanno anche una Gay Help Line (la cui pubblicità sottolinea solo i problemi che i gay può avere nel privato ("a scuola mi prendono in giro" "non riesco a dire ai miei che sono gay" CHE FARE?) mai quelli che può avere come soggetto politico ("il Vaticano dice che sono moralmente disordinato", "il sindaco della mia città non mi riconosce diritti"... CHE FARE?).
Un gay perfettamente inserito nella società omofoba che si accontenta di sopravvivere in un ghetto vuoto di cultura perché a lui gli interessa il consumo, non la cultura (cioè lo spirito critico).
Già. Lui. Nello spot prima ancora che le lesbiche, mancano proprio le donne.
Non ci sono donne perché le donne, per gli uomini non sono soggetti politici, ma solo oggetti sessuali, e non essendoci per i gay nemmeno quell'appeal per i gay, le donne spariscono definitivamente. Lo spot non esorta le donne a scendere in piazza e manifestare al pride perchè è interessato agli uomini (altrimenti che spot gay sarebbe?).
Le uniche donne nello spot provengono dalla televisione e sono presenti nella intimità della casa come i Lari della cultura latina.
Donne simpatiche, donne mamma, donne che si prendono cura dell'uomo (poco importa se gay o etero) ma che sono altrove, nel mondo ideale della tv, o perse, fuori, nel mondo concreto, quello che non entra mai nella vita del protagonista di questo spot, proprio come il modo reale rimane chiuso fuori dalla vita di tanti gay.
Nemmeno Platinette si salva da questo immaginario maschilista e sessista.
Singolare personaggio televisivo Platinette, ha sdoganato il travestitismo svuotandolo da ogni elemento eversivo, rendendolo consono a un programma televisivo berlusconiano e da prima serata.Un travestitismo che non è più espressione di un diverso modo di sentire la propria identità (culturale) di genere, ma una riappropriazione nemmeno tanto simbolica del femminino da parte degli uomini che si sostituiscono alle donne tout-court, uomini che amano altri uomini in tutti sensi, a letto e fuori dal letto. (forse vista da questo punto di vita, il separatismo femminista, se non politicamente giustificabile, diventa almeno umanamente più comprensibile).
Un'autoreferenzialità che trova la sua massima espressione nell'esaltazione del singolo, del gay solitario solitudine necessaria per sostenere una libertà talmente libertaria che gestita in ambito pubblico cozzerebbe irrimediabilmente con la libertà altrui.
Un mondo di soli uomini e di uomini soli dove il pelo di fica viene finalmente sostituito dal "pelo di un gay che tira più di un carro del pride".
Si parla tanto di destra "diversa" dal fascismo anche in Italia.
Ecco, quella destra è rappresentata in questo spot, sia nel soggetto descritto, sia nelle modalità con cui il soggetto viene rappresentato.
Scarsa partecipazione alla cosa pubblica lasciata ai professionisti della politica (d'altronde cosa possiamo fare noi? e, dopo tutto, delegare è comodo...), tranne l'appuntamento annuale al pride (al quale si va con la t shirt perché a torso nudo sarebbe troppo e la sera, mi raccomando, tutti a ballare!!!) per il resto ci sono le associazioni a pensare per te. E il resto dell'anno niente cultura politica, ma solo ghetto gay e casa propria.
Uno spot adatto alle associazioni di destra, come quelle che hanno organizzato il pride romano di quest'anno (Arcigay Roma, pur provenendo da sinistra si riconosce evidentemente negli stessi "valori"), che confondono la cultura col mercato e il consumo dei suoi prodotti, mentre la cultura intesa come partecipazione non è nemmeno presa in considerazione. Una cultura fatta di utenti e non di cittadini, dove chi analizza, chi critca, rompe le scatole e pecca di essere, lui sì, individualista (o "comunista" come dice Berlsuconi).
Dopo il film e le danze (bevendo e fumando) dal Village si ritorna a casa e lì si resta. Niente vita condivisa, tra soggetti diversi ugualmente oppressi, la visibilità conta fino a un certo punto perché si può dare nell'occhio e attirare le ire di qualche omofobo... Ma niente paura se capita non rivolgerti alla polizia "che di gay non sa niente" rivolgiti alla Gay Help Line...
C'è chi non condivide questo modo di vita. Anche io non lo condivido,
perché, da sinistra ne vedo vizi, pericoli, e miseria culturale, e, perché no, spirituale.
Ma non si può pretendere, come fa Mauro, che queste persone prima di essere gay siano di destra perché (dice Mauro) se fossero "davvero gay" la loro protesta sarebbe di sinistra.
I gay di destra sono gay quanto lo sono io anche se siamo persone profondamente diverse. Perché di per sè l'orientamento sessuale non fa politica.
E' la persona che fa politica, mentre "essere gay" non mi definisce, ma mi limita.
Per cui, parafrasandolo, per fare politica come la intende Mauro non c'è bisogno di essere gay e lesbiche.
Probabilmente con queste persone non c'è modo di lavorare insieme a sinistra perché loro si sentono già arrivate, e come i fisici di fine ottocento, pensano che ci siano da risolvere solo un paio di cose (i matrimoni o, meglio, l'istituto equivalente), mentre noi di sinistra sappiamo che la rivoluzione è ancora tutta da fare, che sta avvenendo, non in Italia ma tutt'intorno, e che, come è successo con Einstein, col nostro fare politico, cambieremo il mondo per sempre.
Però non mi sento vicino a quelli che da sinistra si sentono antagonisti già solo nel dire che chi ha fatto questo spot è" fuori dal mondo", mentre dovrebbe riconoscere invece che questo spot individua metà dei gay (come metà degli italiani), se non di più, tutti quelli che non si riconoscono nella libertà come partecipazione ma nella libertà come disimpegno.
Gay coi quali marciamo insieme al pride ma che difficilmente incontriamo in altre occasioni nel mondo esterno, insieme agli altri (donne, etero, migranti) quando, tutti insieme, cerchiamo di cambiare il mondo.
Io andrò al pride perché non ho problemi "politici" a marciare con questi gay "di destra", non ho problemi a costituire con loro un unico corpo politico che, almeno nel pride, si rende visibile, numeroso, orgoglioso e unito.
Chi divide, chi diserta, chi non va perché "o me o te", perché preferisce rimanere coi suoi simili non è non è poi così veramente "di sinistra" perché questi gay di destra, sono anche loro oppressi, anche se appartengono a un'altra casta dalla quale quelli di sinistra sentono di dover rimanere separati, cioè da soli.
Ma a "starsene da soli" si fa solo una cosa di destra.
* All'izio, quando vediamo le immagini di Amici le vediamo da uno schermo che sembra di quelli moderni, piatti, in 16/9. Dopo il ragazzo si mette a vedere Will & Gracemoderno sul net-book sembrerebbe alla sinistra del primo schermo. Ala fine tutti e tre gli schermi sono riuniti sullo stesso mobile ma il primo schermo, quello tv, non è quello dell'inizio, ma un vecchio tv in b\n.
AGGIORNAMENTO
Dopo aver pubblicato questo post vedo sulla rete questo spot della Gay Help Line... che aggiungo come conferma di quel che vado dicendo qui.
Secondo la Gay Help Linei il problema non è il mondo che ti uccide, che non riconosce i tuoi diritti, che ti dice che sei moralmente disordinato. I problema sono i tuoi ai quali non riesci a dirlo. Sempre il privato mai il pubblico...
Chi mi dice che una pubblicità così non è fatta per non dare fastidio alle istituzioni che sono quelle che finanziano la Gayhelpline?
Questo invece è lo spot cui mi riferivo nel post
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2 commenti:
sono commosso!
Santo cielo quanta paccotiglia sei riuscito a scovare! Ma le conclusionisono sempre le stesse: oggi la scena gay nell'Europa occidentale è principalmente consumistica. In Italia, oltre che consumistica, è totalmente integrata allo Stato, che offre sgravi fiscali ad arcigay e altre organizzazioni per gestire saune, darkrooms e sex clubs a fini di lucro, tutto con l'unico scopo di togliere i froci dalle strade e ficcarli in comodi ghetti. Il peggio della scena gay occidentale, il peggio di quella orientale, dove si vive nell'ombra, ma almeno si batte in strada.
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