Da un lato ci sono gli organizzatori, vecchi e nuovi, di questo o quello schieramento politico.
Dall'altra c'è la comunità, i ragazzi e le ragazze, etero e queer, che si vivono il pride incarnandone la sua eterogeneità di festa gaia E di rivendicazione del proprio orgoglio, di non vergognarsi a farsi vedere per quel che si è. Un popolo di giovanissimi che hanno il coraggio e la fortuna a 16 anni di scendere in piazza col proprio ragazzo, la propria ragazza, per dire "sono gay" e "ci sono".
Il coraggio di metterci la faccia, di abbracciare una identità standardizzata come quella gay pur di vivere alla luce del sole il proprio orientamento sessuale.
La fortuna di poterlo fare, perchè prima del 1994 di Pride a Roma non se ne facevano e l'unica visibilità che i gay e le lesbiche avevano era quella privata dei locali non certo quella pubblica di un Pride.
Ma a quale prezzo? Quello di diventare gay e lesbiche, di uniformarsi a un modello culturale che nulla ha a che fare con l'orientamento sessuale ma con il mercato e la società dei consumi.
Comunque sia il Roma Pride 2010 ha dimostrato che un popolo queer che c'è e marcia unito e festoso, nonostante le divisioni masochiste del movimento, che nulla hanno a che fare con i diritti del popolo che pretendono di rappresentare, limitandosi a rispecchiare la salute politica di questo Paese, incapace di vedere la gente, il popolo, insomma i froci le lesbiche e gli amici etero che hanno marciato al pride romano,
Un popolo queer che ha bisogno di stimoli, di aggregazione, di incoraggiamento, di sollecitazioni, perchè internet ci ha atomizzati rendendoci tutti delle monadi individualistiche, dove cliccare sul pulsante "parteciperò" di un invito su Facebook ci fa illudere di contare qualcosa, di contribuire al cambiamento della società, mentre non si contribuisce a nulla, si celebra solo il rito di una partecipazione sociale virtuale, irrilevante, marginale. Così pur essendo tanti (non così pochi come vorrebbero i detrattori ma nemmeno quel fiume di gente che pretendono gli organizzatori) non si rendono conto che possono aggregarsi, organizzarsi, unirsi per destituire tutti i professionisti della politica GLBTIQ che, per come si stanno comportando, devono essere spazzati via da una pernacchia colossale.
Quello che si legge su facebook e sulle varie mailing-list in questi giorni è osceno, infantile, politicamente ingiustificabile e, soprattutto, miope. Invece di fare una seria analisi politica di quel che sta succededo ci si misura il cazzo giocando a chi ce l'ha più lungo (e vincono senz'altro le trans che sono ricercate proprio per quello).
Così mentre quel che resta del movimento gay, invece di raccogliere i cocci, si rimbalza colpe e sconfitte, il popolo queer ha fatto quel che ha potuto, ha detto ci sono, impiegami, guidami, stimolami. Ma non c'era nessuno ad ascoltarlo.
Le differenze antropologiche, prima ancora che politiche, degli organizzatori del pride 2010 sono evidenti ma l'agone politico che si sta consumando da domenica su facebook dimostra la completa cecità di chi si interessa alle persone solo nel loro aspetto numerico e pervicacemente cerca di costringere il pride a un flop o ad una vittoria snocciolando numeri in una battaglia adolescenziale sulla quantità che la dice lunga sulla sanità mentale di tutte e tutti.
Si sanità mentale. Perché mentre sul campo emerge in tutta la sua dirompenza la vera novità di questo pride (dove novità non vuol dire necessariamente cosa positiva) nuovi gestori e vecchi gestori continuano a parlarsi senza comunicare usando lessico e modalità di rappresentazione del mondo reale tra di loro incompatibili.
1) La sinistra continua sciaguratamente credere di poter campare di rendita per una egemonia culturale e politica che non ha più da almeno 20 anni, cioè da prima che in Italia si svolgessero i Pride.
20 anni in cui la sinistra non ha fatto che sedimentarsi in due poli opposti, quello sciagurato e pavido che dalla Bolognina ha portato al Pd e quello di chi, volendo rimanere duro e puro, si è fatto sbattere fuori dal parlamento (Sel in testa) o si è arroccato su posizioni nostalgiche finto antagoniste para fascistoidi (nelle forme se non nei contenuti) dove ci sono icone intoccabili (dal Che a Castro) e dove la più importante eredità del marxismo, il materialismo storico, viene ignorato e vilipeso da una vulgata dogmatica e religiosa del marxismo, dove il movimento è il fine e non il mezzo, tanto Marx non lo legge nessuno perchè è troppo difficile e la preparazione intellettuale di tutto il movimento antagonista non supera la terza media inferiore. (Ricordate Pasolini? Gli Italiani? Un popolo di analfabeti la borghesia più ignorante d'Europa).
2) La destra finalmente (per lei) può dire di essere fascista (la destra liberale in Italia non esiste, o meglio, c'è ma si chiama PD) senza vergognarsi, senza sentirsi una merda, e senza essere ammazzata dai compagni di 40 anni fa, quando passeggiare per certe strade di Roma (parlo della città che conosco) col quotidiano sbagliato sotto braccio, di destra come di sinistra, poteva costarti la vita e infatti tanti compagni come tanti fascisti sono morti ammazzati.
Una destra fascista culturalmente necrofila, tutta concentrata sul passato mussoliniano, che non ha idee sul presente (basta leggere le proposte di CasaPound dove si rispolvera pure la ginnastica del duce...) lo dimostrano, meglio ancora che il governo centrale, le amministrazioni locali (Alemanno e la gestione disastrosa di Roma).
Una destra italiana che non solo non sa cosa sia la cultura ma la ha in odio proprio come la aveva in odio Goebbels.
Così nel nostro paese sono le amministrazioni locali di sinistra a portare avanti quella che nel resto d'Europa è la politica della destra, quella liberale, pro mercato e pro imprenditori, quella che crea tanti consumatori, e non si cura dei diritti dei cittadini (non diritto al consumo ma alla critica), come fa la sinistra nel resto d'Europa, anche quella socialdemocratica, la cui verve intellettuale per la nostra sinistra antagonista è una meta lontanissima da raggiungere.
Con strumenti di lettura così spuntati sia a destra che a sinistra nessuno ha visto quel che, chi ha ancora un proprio cervello non colonizzato, ha potuto constatare ieri.
A) Ci sono giovani e giovanissimi che scendono in piazza, e non sono nemmeno i gay disimpegnati cui si è rivolto lo spot ufficiale del Pride. Sono cittadine e cittadini italiani che ancora non votano per ragioni anagrafiche ma che sanno qual è il loro posto nella politica nella vita pubblica della città, ragazzi e ragazze che studiano con profitto (a differenza dei somari della sinistra antagonista che, con la scusa la cultura borghese va rifiutata, sono ignoranti come capre e infatti si parcheggiano all'universalità per 15 anni) che sanno discettare di storia e di politica, e che sano cosa sono i diritti e di quanto siano disattesi dallo Stato italiano. Sono cittadini che per caso sono anche persone omosessuali e che scendono in strada non come gay e lesbiche ma come cittadini e cittadine normali.
Sì normali.
Quell'aggettivo pronunciato da Esther Acione sul camion/palco a fine pride che ha scandalizzato molti moralisti di sinistra (i più pericolosi e ipocriti perchè patriarcali e misogini quanto quelli di destra ma con la presunzione di avere ragione perchè di sinistra) che non hanno capito che il movimento europeo sta andando verso quella direzione (il diritto all'indifferenza dello spot dell'ILGA in Portogallo).
Siamo tutti normali, apparteniamo tutti allo stesso canone universale del genere umano.
Il popolo queer di oggi i giovanissimi di oggi sanno stare al mondo senza slogan e senza occhiali ideologici vetusti e pieni di storiche incrostazioni ormai talmente stratificate che conviene gettar via quegli occhiali piuttosto che star li a decidere quali stratificazioni tenere e quali ripulire.
Bisogna essere laici anche con gli strumenti politici coi quali si analizza la realtà. Sono strumenti, possono essere cambiati, gettati, ricostruiti, ma mai idolatrati o considerati il verbo. Da questo punto di vista non c'è tanta differenza tra credenti e laici e questo spiega l'insostenibile commistione tra cattolici e laici all'interno del pd...
B) Mentre gli organizzatori continuano ad accusarsi dalle opposte sponde di uno schieramento politico il Roma pride 2010 ha dimostrato che siamo tutt* colonizzat* dagli standard televisivi.
Delia Vaccarella ha presentato il Pride come fosse in uno studio televisivo: tempi contingentati, presentazione altisonante degli astanti (è qui con noi l'attrice fantastica...), spettacolarizzazione dell'estrazione del numero invece di perdere tutto quel tempo a dare i numeri, (letteralmente) non si poteva far parlare di più parlare d'altro?
Una colonizzazione che è evidente anche negli slogan pubblicitari che ormai si sovrappongono ai discorsi sul palco ("noi valiamo") e fuori dal palco: bastava sentire le idiozie che quel ragazzo gay vestito da alieno rigurgitava sui manifestanti dal carro dell'Arcigay: allusioni sessuali, citazioni mal riportate di slogan pubblicitari, cazzo e culo. Il tutto nell'indifferenza dei manifestanti che non si curavano di loro (come delle trans, favolose, redarguite da Vladimir per essere troppo spogliate) visti come elementi irriducibili di un folklore ormai canonizzato.
Una televisizzazione della nostra vita, totale, sopraffacente, inarrestabile, inevitabile, in una parola, FATALE.
E mentre Sorrentino e Cioffari (perdonatemi faccio i vostri nomi ma potrei farne mille altri) si rinfacciano numeri ed eredità del pride, il cancro che ci pervade ha occupato anche l'ultimo buco di culo disponibile, le teste, i cervelli essendo già morti da un pezzo.
C) Così mentre si cerca di spostare il popolo queer a destra o a sinistra, non si capisce che è finalmente emersa la più insidiosa contraddizione che c'è in tutto il movimento gay dell'ultima ondata, quella si Stonewall, che non è affatto la prima, come qualcuno troppo giovane e privo di memoria storica, pretende che sia.
Bisogna ripensare radicalmente tutto il bagaglio culturale del movimento gay e lesbico a partire dall'accoppiata col transessualismo e il transgederismo che nulla hanno a che vedere con la questione dell'orientamento sessuale e andrebbero distinte invece che accomunate, continuando a insinuare un equivoco epistemologico che deriva dal patriarcato in cui viviamo e che fa di un gay e di una lesbica femmine e uomini mancati.
Finché non chiariamo prima di tutto a noi stesse/i che due ragazzi/e che vanno in giro per mano non sono necessariamente gay o lesbiche e non hanno per questo un ammanco di maschilità o di femminilità non usciamo ancora dal cliché del vizietto di Molinaro (uno dei film più deleteri della storia del cinema a tematica) e ci illudiamo di fare autoironia quando siamo noi stessi i primi a credere che se ci piace il cazzo allora siamo un po' femmine.
Il movimento di rivendicazione queer ha puntato tutto sul consumismo. Sul mercato. La (sotto)cultura gay ha creato festival di film a tematica omosessuale, ridicoli e deleteri non solamente perchè creano ghetti ma perchè contribuiscono a mantenere intatti quei cliché, mutuati dall'immaginario collettivo etero, che vogliono un gay checca e una lesbica camionista, che vogliono un gay sensibile, esperto di moda e di arte, raffinato e gentile senza mettere in discussione lo stereotipo del maschio anzi, continuando a confermarlo.
Ha creato locali nei quali praticare un consumo sessuale sganciato da qualunque componente affettiva e dove le campagne di prevenzione che dovrebbero essere le stesse per le coppie etero vengono percepite come precipue del mondo omosessuale. (L'hiv purtroppo, o per fortuna, quando entra in un culo non si chiede mai se è quello di un uomo o di una donna...).
Ha creato capi di vestiario, palestre, bar, alberghi, agenzie di viaggio, crociere, una retorica del corpo e del suo annientamento: tabacco, alcool (Gay Village docet), Popper e altre sostanze chimiche che quel corpo tanto esibito lo distruggono, un corpo mutuato anch'esso dall'immaginario virile machista-fascista per cui i primi omofobi sono quei gay che criticano gli etero che si spinzettano insinuando subito dubbi sulla loro verginità anale. Come se il culo lo avessero (o lo usassero) solamente i gay...
Una (sotto)cultura gay che ha separato lesbiche e gay le prime per motivi contingenti (il femminismo e il separatismo) i secondi perchè le danne hanno la fica e ai gay la fica fa schifo.
Una (sotto)cultura gay che nei primi anni novanta convinceva le major discografiche a pubblicare compilation di musica classica il cui unico fattore accomunante tra autori di estrazione musicale diversissima era l'orientamento sessuale (e allora?!?!).
Una (sotto)cultura gay che ha colonizzato tutte le divisomi già esistenti sul mercato con le proprie istanze senza mettere in discussione nulla.
Una sotto cultura meschina, pettegola, con un'immagine del femminile distorta e misogina, che ha condotto a questi supermacho con la voce di Haidi griffati, che non sanno parlare altro che di consumo, di viaggi gay, di riviste gay, di case gay, amici gay, vite gay.
Essere gay non è più un orientamento sessuale è una modalità di consumo, nel quale anche il sesso è una forma di consumo (mi piace il cazzo) staccato dalla persona) e dove la sfera affettiva è un disastro e si rifà ai modelli borghesi del matrimonio e della famiglia perché sono gli unici che trova.
Per tacere di tutte le teorie transgender che hanno dimenticato la differenza tra concreto e simbolico e invece di cancellare i cliché vogliono dar loro un corpo (embodiment).
Per cui non dobbiamo meravigliarci tanto se persone di altre generazioni come Paolo Poli non si riconoscono in questa (sotto)cultura e la rifuggono come perniciosa.
l'essere gay e le lesbiche (mi perdoneranno se ne parlo di meno ma da maschietto lascio a qualche donna di parlare di cose che conosce senz'altro meglio di me) cui oggi la (sotto)cultura del movimento costringe le persone omosessuali a conformarsi non è affatto un discorso di sinistra, ma transpolitco.
Questo non vuol dire affatto azzerare le differenze di questi punti di vista inconciliabili.
Mentre la destra pensa che in questo alveo si possa vivere bene la sinistra quella vera soffoca in questo ambiente ma stenta a rinunciare a questi pochissimi privilegi (sic!) per tema che possa tornare a non avere nulla.
Ma il gay della (sotto)cultura del movimento è e rimane un modello da destra liberale, quella che, appunto, favorisce il consumo, e cresce i cittadini come consumatori.
Una destra però che sa che anche i consumatori hanno diritti perchè se non sei giuridicamente tutelato spendi meno. Ecco spiegato l'insorgere negli ultimi 15 anni in vari paesi europei di leggi sempre più a sostegno delle persone omosessuali. Leggi che non spostano di un millimetro la nostra società maschilista e sessista ma che hanno ampliato il privilegio includendo una categoria che ormai conta perchè è una bella fetta di mercato. Questo a destra come a sinistra in Europa lo si è capito. In italia no.
D'altronde in Italia il capitalismo è sempre stato anomalo, assistito dallo Stato che ha sempre privilegiato i padroni e mai i consumatori per questo i nostri politici non capiscono perchè mai si debbano dare i privilegi di casta degli etero anche alle persone omosessuali.
Ma non mi si venga a dire che queste conquiste sono di sinistra o che hanno davvero cambiato i rapporti di potere nella società, o che hanno intaccato di un millesimo il patriarcato, la misoginia, il sessismo. I gay continuano a dare della pompinara alla prima donna che vogliono offendere e quando li redarguisci ti rispondono ma è vero Carfagna i pompini li ha fatti veramente gente di sinistra, non di destra...
Queste contraddizioni sono finalmente venute alla luce, ed è da qui che dobbiamo ripartire per ridimere la questione.
Se gli organizzatori di destra hanno chiamato al Pride i gay del disimpegno quelli hanno disertato il Pride come i gay di sinistra gli unici ch'erano presenti sono stati i giovanissimi e le giovanissime le nuove generazioni, omologatissime ai cliché del gay femmina e della lesbica maschio (mentre sul camion adibito a palco il trans è vestito rigorosamente da maschietto e la trans rigorosamente da femminuccia) ma ancora abbastanza giovani da essere vivi, che hanno riempito il pride, facendolo molto più numeroso di quanti si auguravano fosse un flop (sciacalli, carogne) ma meno numeroso di quanti credevano in un bagno plebiscitario di folla (carogne, sciacalli).
Così mentre il Pride era mal organizzato e peggio condotto (non venga mai più dato un microfono a Vaccarella) il popolo queer lo ha sostenuto, lo ha fatto una cosa sua, infischiandosene dei litigi da checche (colpa tua, no tua, no tuaaaa) del movimento e dicendo noi ci siamo.
E mentre la sinistra antagonista dà del fascista a chi ha cercato (riuscendoci) di arginare la deriva a destra del pride di Marrazzo e Battaglia ci si permette il lusso di non raccogliere il testimone dei tanti giovani che al pride nonostante tutto c'erano.
2 commenti:
Bella e corposa riflessione. Impegnativa anche, e soprattutto foriera di una serie di temi su cui si dovrebbe riflettere... Sono d'accordo un po' su tutto. Meno Alessandro sulla visione del consumatore gay. Mi spiego: non so fino a che punto il capitalismo sia criticabile nei suoi effetti imprevisti. Vedi il fatto che nei paesi a capitalismo avanzato ( e qui taglio con l'accetta e banalizzo) si stia arrivando ad una situazione per me interessante sulla questione dei diritti rispetto all'orientamento sessuale... Non so neanche fino a che punto (sebbene sia intrigante come spunto ed abbia le sue verità) la questione del gay sia interpretabile esclusivamente in termini di 'consumo'. O meglio cos'è il consumo? Comunque sono per un allargamento della tua discussione e degli spunti intelligenti che porti. Un abbraccio. gendibal
Il consumo vuol dire instradare uno stile di vita per comprare dei beni o usufruire di servizi.
Ora è indubbio che il mercato negli ultimi 15-20 anni ha scoperto il trend gay. Questo modello gay coinvolge anche la sfera del comportamento sessuale, relegando il corpo a una merce da consumare, proprio come nel caso dell'eterosessualità.
Il guaio è che i diritti che lo stato capitalista riconosce ai gay e alle lesbiche non servono a rendere quel cittadino o quella cittadina più liberi ma consumatori migliori...
e su questo punto, sintetizzando al massimo, che si spendono le differenze tra la destra 8che non crede altro) e la sinistra8che chiede una liberazione e totale auto emancipazione.
Naturalmente il discorso ha anche implicazioni sociali, antropologiche e storiche, ma quelle, marxianamente parlando, sono sovrastrutture, la radice concreta rimane quella economica che, da sola, frogia, o influenza, anche le altre.
E' ovvio che un discorso di tale portata necessita di ben altri spazi di riflessione...
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