venerdì 24 agosto 2012

GenderDocu Film Fest 2012 prima serata


La serata di apertura della terza edizione del GenderDocu Film Fest ha presentato tre documentari, due corti e un mediometraggio, che centrano pienamente la tematica di quest'anno del festival, il corpo inteso come istanza politica, unica Istanza che, ha giustamente ricordato Giona A. Nazzaro direttore e ideatore del festival, il quale ha selezionato i sette documentari di quest'anno assieme a  Filippo Ulivieri, sembra avere ancora una possibilità di espressione in un paese politicamente bloccato come l'Italia.

Scompaginando orari e scaletta rispetto quella proposta dalla brochure questa terza edizione è stata inaugurata dal corto Spiral transition (Usa, 2010) di Ewan Duarte, in prima italiana, nel quale la giovane Rachel Duarte ci racconta della sua transizione di sesso da femmina a maschio, raccontata dal punto di vista di sua madre, le emozioni della quale sono espresse anche da alcuni suoi quadri che le vediamo dipingere, nei quali cerca di cristallizzare il ricordo di sua figlia Rachel che per lei viene a morire nel momento in cui sua figlia transita verso l'identità maschile di Ewan.
Non un documentario sull'aspetto clinico della transizione (sappiamo solo che Rachel prende degli ormoni maschili, che la sua voce si abbasserà permanentemente) ma, piuttosto, sull'aspetto emotivo della madre di chi transita, che pur se lamenta la morte della figlia,  non rifiuta affatto l'approdo maschile cui Rachel giunge, cioè Ewan, accogliendolo anzi a braccia aperte, ma dando voce e spazio alla sua reazione emotiva, giusta o sbagliata che sia.
Per conto suo Ewan dice che Rachel non morirà e che farà sempre parte di sé, perchè il suo percorso di transizione non è lineare ma spiraliforme.

Vincitore di innumerevoli premi negli oltre 50 festival lgbtqi cui ha partecipato in tutto il mondo Spiral Transition ha il grande pregio di parlare di una transizione f to m mostrando come non ci siano solo donne trans ma anche uomini trans,  presentandosi, al contempo, come un documentario che dice molto e non dice quasi nulla.

Dice molto a chi, addentro alla questione trans\transgender, sa riconsocere le nuove istanze di chi oggi transita e sa che per quanto approdi a un nuovo sesso il sesso biologico da cui comincia la transizione farà sempre parte di te, con un approccio meno dualistico alla transizione che, in sempre molti più casi, può anche non implicare la riassegnazione chirurgica di sesso.
E' forse il caso di ricordare come tutte le leggi che consentono il cambio di sesso lo fanno riconoscendo nel transessualismo una patologia (disforia di genere, problema di identità sessuale)  e che nel riconoscere il diritto alla transizione, sia legale si medicalmente assistita, pretendono la riassegnazione chirurgica del sesso per registrare il cambiamento di sesso nei documenti di identità.
Oggi le persone trans e transgender richiedono invece non solo la depatologizzazione ma anche il diritto a cambiare identità sessuale senza che la riassegnazione chirurgica sia conditio sine qua non.

Dice poco perchè nessuno di questi aspetti viene davvero affrontato nei sei minuti di filmato che preferisce indugiare selle immagini dei quadri della madre di Rachel\Ewan o su spirali disegnate da pietre nel suolo... 

Ci chiediamo cosa dica davvero questo corto a chi, digiuno di questioni transgender, si affaccia alla questione per la prima volta...


Poi è stata la volta di I'm Just Anneke (USA, 2011) di  Jonathan Skurnik nel quale ci viene presentata la dodicenne Anneke che, restia ad omologarsi agli stereotipi di genere, viene percepita dalla società che la circonda come una tom boy, una ragazza che sembra un ragazzo. 
Per questo suo non volersi adeguare allo stereotipo di genere femminile (portare i capelli lunghi, indossare la gonna, voler giocare con le bambole) Anneke ha sofferto, ci racconta la madre, di forti depressioni già all'età di 4 anni, depressione che è stata curata con gli omega 3 e con il prozac!

Con uno slittamento semantico che il corto dà per scontata, proprio come fanno i genitori di Anneke i suoi medici curanti e Anneke stessa, la giovane è sottoposta, a 12 anni, a un trattamento ormonale per fermare la crescita puberale in modo da permetterle di raggiungere una età più matura per decidere se rimanere di sesso femminile o avviare la procedura di transizione verso il sesso maschile.

I'm Just Anneke  è il primo di una serie di quattro corti chiamata The Youth and Gender Media Project per educare le comunità scolastiche al transgenderismo e alla gioventù dal genere sessuale non conforme (gender nonconforming youth) come si legge nelle note di presentazione del film nel sito del festival Media that Matters.

Il corto indica uno dei punti nodali più controversi e d'avanguardia in tutta la ricerca sul transgenderismo che cade, secondo il mio modesto parere,  in un errore epistemolgico epocale e pericolosissimo.


Nel sito del   The Youth and Gender Media Project si legge che Aneke è una ragazza di 12 anni dal genere fluido (a gender fluid twelve–year–old girl) che prende degli ormoni per ritardare la pubertà così può decidere, quando cresce, se vuole essere maschio, femmina, o qualcosa nel mezzo.

A parte il fatto che trovo maschilista che tra le tre possibili scelte la prima presentata sia quella maschile, quando biologicamente Anneke è una femmina e  dunque l'opzione più naturale sarebbe quella del sesso biologico in cui è nata, e a parte la discutibile e non meglio specificata terza via del qualcosa nel mezzo, il corto mette in campo sotto la stessa luce questioni di natura completamente diversa.

Anneke rifiuta di portare la gonna e vestiti femminili (in inglese dress), di giocare con giocattoli femminili o portare i capelli lunghi reputati anch'essi femminili.

Questi sono stereotipi di genere ai quali vanno aggiunte certe caratteristiche comportamentali di carattere, di temperamento e di attitudine verso certe capacità con le quali di solito attribuiamo qualità intrinseche ai due sessi che pretendiamo innate e congenite mentre invece sono solo e sempre determinate dalla società (so che molti non la pensano così ma non c'è modo di dimostrare una innatezza biologica di un comportamento sessuato perchè nessuno è immune al sistema antropologico di valori e di stereotipi attraverso i quali ci muoviamo percepiamo e interpretiamo il mondo).

Se Anneke non vuole indossare la gonna o vestire colori pastello è per questo forse meno femmina? O femmina in maniera diversa?

Certamente no anche se così può essere percepita dalla società tanto da indurla, come pare le sia davvero successo, alla depressione (nel corto ci viene detto che soffre di depressione per questa sua inadeguatezza di genere ma chissà se la vera causa è questa...).

Come può il non omologarsi a uno stereotipo culturale tradursi in una questione biologica?

Invece di intervenire sulla società smontando questo pregiudizio sessista, col quale si investono uomini e donne di ruoli pre-determinati e non paritari (io sono l'uomo e i pantaloni in casa li porto io) si compie un salto epistemologico, che il corto dà per scontato e che meriterebbe almeno una qualche spiegazione.

Basta il rifiuto di indossare la gonna per fare di Anneke una transgeder?  


A quanto pare per Jonathan Skurnik sì.

Quando dopo la proiezione gli ho chiesto lumi proprio su questo punto Skurnik mi ha risposto dicendo che da bambino giocava con i giocattoli per maschi e  quelli per femmine ma che poi si reso conto di non poterlo più fare.


Mi sembra, e stasera, nel seminario che terrà alle 20, prima della proiezione dei due documentari previsti in scaletta, cercherò di verificare meglio questa mia impressione, che invece di mettere in discussione il significato sessista (e ridicolo) di giocattoli per maschi e giocattoli per femmine si creda che questi concetti abbiano un loro significato a prescindere dall'essere umano (e donnano) e invece di percepirli come stereotipi da de-costruire si preferisca mettere le persone che non si omologano ad essi nella categoria del gender nonconforming youth. 

Sono loro ad avere un problema. Così facendo però non solo non si mettono in discussione certi stereotipi culturali ma anzi li si radicalizza e universalizza arrivando addirittura a creare una categoria a sé per chi, qualunque ne sia il motivo, non vuole omologarsi a questi stereotipi, arrivando addirittura a dare ad Anneke degli ormoni per bloccare la crescita puberale in modo da farla arrivare a una età più matura per decidere a quale sesso appartenere o rimanere nella, un po' da freak, del qualcosa in mezzo.

Qualunque cosa significhi essere maschio o essere femmina la discriminante ultima, quella insormontabile, o, al contrario, quella da cui non si può non paritre è proprio quella biologica del corpo sessuato.
Tertium non datur.

Il tertium è dato solo da quelle persone che, sentendo il proprio corpo biologicamente sessuato inadeguato alla propria percezione di sé, decidono di modificarlo parzialmente o integralmente per adeguarlo alla propria percezione di sé.
Io posso voler essere percepita come donna anche se ho il pene e ho la barba se questo è il sesso che meglio mi esprime e non è detto che per essere riconosciuta come donna debba per forza farmi asportare chirurgicamente il pene, o togliere i follicoli piliferi con l'elettrocoagulazione...

Ma posso anche voler portare la gonna e continuare a essere percepito come maschio.

L'automatismo nel leggere il sottrarsi allo stereotipo di genere come difformità di genere e dunque di farla gravitare attorno al transgenderismo che viene definito come identità di genere fluida spacciandolo per un rifiuto alla logica binaria dei sessi, mi ricorda troppo da vicino, mutatis mutandis, gli errori epistemologici che si compivano negli anni 50 del secolo scorso (e prima ancora) quando si cercava di ascrivere l'orientamento  sessuale gay e lesbico a un terzo sessismo inesistente.

Di più, mi pare pura follia nazista.

Nel sito si legge che

 I film [della serie] introducono dei nuovi concetti radicali per gran parte del pubblico a cominciare dall'idea che un giovane bambino  (o bambina, in inglese child vale per entrambi i sessi) possa essere transgender e avere la capacità di combattere contro la pressione di conformarsi a un paradigma di genere binario fino al nuovo e ancora molto raro uso di ormoni per ritardare la pubertà*. 
A me sembra che esprimere il rifiuto ad adeguarsi agli stereotipi di genere sia un po poco per ascrivere questi giovani children al transgederismo o a volersi sottrarre  alla logica binaria del paradigma di genere.

Mi sembra che invece di riconoscere che ci possono essere diversi paradigmi di  femminilità il binarismo paradigmatico apparentemente cacciato dalla porta rientri dalla finestra nel momento in cui invece di allargare i concetti di maschile e femminile si crea una terza categoria he contempla i casi ad essi difformi.

Anneke è e resta una ragazzina qualunque cosa la puritana società americana ipernormalizzante pretenda che lei sia.
Nel corto la madre a un certo punto affronta la questione dicendo che, in fondo, sua figlia è solo una che non si vuole omologare.
Basta questo a farne una appartenente alla gender nonconforming youth?


Anneke stessa mentre, dolorante, riceve la sua dose di medicinali per arrestarle la pubertà, dice alla videocamera che pensa di voler restare come è CIOE' UNA FEMMINA anche se non vuole indossare la gonna.

Spero dopo il seminario di stasera di avere le idee più chiare...

Grazie alla rete posso proporvi l'intero cortometraggio, in inglese... Per vederlo cliccate qui.

Per voi che non capite l'inglese... peggio per voi! Non è mai troppo tardi studiarlo.


Poi è la volta del mediometraggio Les carpes remontent les fleuves avec courage et persévérance (Francia, 2011) di  Florence Mary che racconta in 60 minuti, che potevano benissimo essere sforbiciati a 45/50, le vicissitudini di una coppia di ragazze alle prese con la gravidanza. 

Parco di dettagli medici, burocratici e degli annessi problemi di salute, il documentario si sofferma sul rapporto tra le due donne, una documentarista l'altra aspirante mamma, il rapporto con le rispettive famiglie e qualche riferimento all'orizzonte contemporaneo francese nel quale emerge tutt'altro che quell'esempio di civiltà che molti pretendono nel paese dove ci sono i pacs.

La fecondazione assistita eterologa non è  consentita. L'adozione non è consentita alle coppie pacsate (ma lo è ai single) e la felicitò media dei giovani e delle giovani omosessuali è striminzita tanto che, viene detto durante un gay pride ripreso nel documentario, negli ultimi 10 anni i suicidi tra giovani omosessuali sono raddoppiati rispetto quelli tra giovani etero.

Splendide le reazioni dei genitori delle due donne e quello dei vari nipoti della aspirante mamma che è l'ultima di 5 tra fratelli e sorelle i nipoti della quale basiscono del divieto di adozione, o del divieto di fecondazione assistita.

Dopo sette tentativi di fecondazione non in vitro falliti in Olanda vanno a Bruxelles per la fecondazione in vitro che riesce al primo tentativo giusto in tempo per non rientrare nel successivo rifiuto di accettare coppie straniere dato il problema dei donatori di sperma sempre di più avversato a livello nazionale (Francia) ed europeo.
Un bel documentario, con qualche lungaggine e formalmente non proprio ben girato o montato 8soprattutto nella prima parte) ma che h affronta l'argomento con l'immediatezza della vita vera di due persone che si amano e che volgono crescere insieme un figlio.

E se a farlo sono due donne invece di un uomo e di una donna dobbiamo ricalibrare il nsotro immaginario collettivo, anche quello di noi militanti omosessuali altrimenti rischiamo di cadere in domande ingenue come quella che Giona A. Nazzaro ha fatto a Florence Marypresneta al Village alla quale ha chiesto se la nascita del bambino (sì, alla fine il bebè arriva ed è un maschietto) ha cambiato il rapporto tra lei ela sua compagna.
Si fosse trattato di un umo e una donna Giona avrebbe fatto la stessa domanda?

Infine mentre gli ultimi danno il voto con le faccine da ritagliare dalle brochure e da consegnare all'organizzazione che gira in platea è la volta della performance di
Julien Touati N'importe où je repose ma tête un assolo di danza su testi di Charles Bukowski, Edouard Limonov e Allen Ginsberg che ha poco della danza e molto della performance che non colpisce né per l'originalità della coreografia né per la forza dell'esecuzione, un po' come il documentario Kathakali,col quale aveva partecipato alla scorsa dedizione del festival vincendo, immeritatamente, il premio della giuria.




 *  The films introduce radical new concepts for many audiences, from the very idea that a young child can be transgender and have the wherewithal to fight against the pressures to conform to a binary gender paradigm, to the new and still very rare use of hormone blockers to delay puberty. 
 .

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