Giuseppina Valido, insegnante di una scuola media di Palermo, il 28 gennaio 2006, durante la ricreazione, trova un suo alunno in lacrime. Scopre che un altro alunno della classe, assieme a un altro ragazzo, gli hanno impedito di entrare nel bagno dei maschi dandogli della femminuccia e del gay. Il ragazzo è continuamente preso in giro per la sua presunta effeminatezza, tant'è che a scuola lo chiamano Jonathan come il concorrente del grande fratello (di allora).
L'alunno bullo ha già il registro pieno di note. La prof. decide di coinvolgere allora tutta la classe. Racconta quanto avvenuto. Fa ragionare tutti sull'assurdità del gesto del bullo. Spiega a tutti che il giudizio espresso dal bullo parte da una mancanza di informazioni. Da una deficienza. La prof. spiega l'origine etimologica e il vero significato della parola. Poi fa scrivere sul diario del bullo per 100 volte la frase "sono un deficiente" precedendo la punizione da una nota di suo pugno nella quale invita il padre a presentarsi a scuola.
Il padre non si fa vivo. Poi quando la prof torna a scuola dopo alcuni giorni presi per malattia, l'alunno punito le mostra il diario dove, sotto la punizione, c'è una comunicazione scritta dal padre del ragazzo: Mio figlio sarà deficiente ma le è una c... (non so quale sia la parola)1. La prof si risente, fa presente la cosa alla classe, chiede a ogni alunno di scrivere cosa pensa dell'accaduto. Poi manda a chiamare il padre del ragazzo per l'insulto fatto mandare tramite il figlio. Per tutta risposta l'uomo denuncia la professoressa dicendo che, in seguito alla punizione, il figlio, traumatizzato, è dovuto andare in terapia piscologica.
Passa un anno. La prof viene processata secondo rito abbreviato (un rito speciale caratterizzato dal fatto che con esso si evita il dibattimento e la decisione viene presa nell'udienza preliminare).
La sentenza del Gup (Giudice dll'Udienza Preliminare) Piergiorgio Morosini è esemplare. Non solo la assolve dalle accuse di abuso dei mezzi di correzione e disciplina e lesioni (per insussistenza dei fatti) ma le riconosce di aver applicato una buona strategia pedagogica (potete leggere le lunghe e articolate motivazioni della sentenza cliccando qui).
Passano gli anni. Il padre va in appello dove il pm chiede una condanna a 14 giorni di reclusione. La terza sezione della corte di appello, presieduta da Gaetano La Barbera, condanna la prof, che intanto è andata in pensione, a un anno di carcere con la condizionale.
La sentenza non è stata ancora pubblicata e dunque non se ne conoscono le motivazioni.
Però posso dire che la sentenza rispetto il "reato" è abnorme: se la prof deve farsi un anno di galera per aver fatto scrivere al ragazzo 100 volte "io sono un deficiente" noi tutti meriteremmo 10 anni e non un anno di galera come disse la sora Angelina nel film di Zampa del lontano 48...
Quel che più mi dà fastidio in questa faccenda è che oggi si parla solo della punizione, ma non del percorso pedagogico che l'ha preceduta.
Oggi, come al solito, tutti si millantato esperti di didattica e pedagogia.
Così Massimo Lorello sulle pagine palermitane di repubblica online si permette di scrivere:
Le orecchie d’asino sono roba ottocentesca, certo. E la punizione scelta dalla professoressa Giuseppa Valido le richiama abbastanza. Fare scrivere a un alunno “sono un deficiente” è un errore, anzi un reato. Oggi i metodi educativi sono un’altra cosa rispetto all’Ottocento. Ma davanti a un atto di bullismo, davanti a tre ragazzini che impediscono a un compagno di andare in bagno “accusandolo” di essere una femminuccia, un gay, qual è il provvedimento più efficace da prendere? C’era un preside al liceo Garibaldi di Palermo che non censurava l’indisciplina degli alunni più violenti. Preferiva enfatizzare la stupidità delle loro azioni. Buon per lui che nessuno gli ha fatto causa.
Lorello dimentica di far presente che la prof ha discusso in classe spiegando le origini della parola e il suo vero significato. Ma tant'è.
Poi c'è il professor Mereghetti che, sul sito il sussidiario scrive un articolo a dir poco sconcertante:
Un’insegnante, Giuseppa Valido, è stata condannata ad un anno di reclusione perché ha fatto scrivere per cento volte ad un suo studente “sono un deficiente”. Il fatto risale al 2006. Non ci interessa qui ripercorrere la vicenda giudiziaria della docente, che decise di stigmatizzare un atto di bullismo, né discutere il provvedimento del gup, che aveva assolto l’imputata prima che la terza sezione della corte d’appello emettesse la sentenza di condanna. Di questo hanno già parlato i mezzi di informazione. Però che la magistratura sia costretta ad occuparsi di episodi come questo non è un gran bel segno, ma ancor più triste è che nella scuola italiana accadano cose di questo tipo. È il segno di una decadenza dell’educazione che purtroppo segna la vita di troppe realtà scolastiche, l’idea che tanti insegnanti hanno di poter piegare a se stessi i loro studenti.Ho scritto un commento sul sito, non so se verrà pubblicato e se il Prof. mi risponderà ma trovo davvero insopportabile questo concionare su principi astratti senza prendere minimamente in considerazione i diritti del più debole.
C’è nel provvedimento preso dall’insegnante condannata un errore di fondo, l’imposizione di un giudizio negativo sul suo studente, fino a farglielo scrivere e riscrivere. Non è solo assurdo dal punto umano, è una grave resa educativa. Oggi molti insegnanti, senza arrivare ai livelli denunciati, portano in classe la loro debolezza educativa e pensano di risolverla con regole e punizioni. C’è una esasperazione delle norme comportamentali come non mai, il tutto nell’illusione di poter generare negli studenti un processo di apprendimento attraverso ferree regole di comportamento. Niente di più sbagliato, l’educazione non è questione di regole né questione di imposizioni, l’educazione è questione di fascino e di libertà.
Un insegnante dovrebbe chiedersi che cosa ha di interessante da proporre ai suoi studenti ed entrare ogni mattina con la forza di ciò che lo appassiona, così un insegnante dovrebbe cominciare a guardare i suoi studenti, uno ad uno, con una simpatia totale, fino a vedere non che sono deficienti, ma che hanno una loro originale e unica sensibilità. Non sono le classi che devono cambiare né le generazioni, sono gli insegnanti che di fronte alle situazioni pur difficili sono chiamati a decidere se affidarsi alle regole o ad uno sguardo vero, quello che sa vedere in ogni studente, anche nel peggiore, un fattore positivo. È da lì che l’educazione può ripartire e raggiungere livelli di apertura e di passione impensabili. Ci vuole un insegnante capace di scoprire in ogni studente la sua positività, quel fattore che lo lancia nella vita.
L’insegnante condannata, al posto di far scrivere per cento volte “sono deficiente” al suo alunno, avrebbe dovuto fargli scrivere una volta sola un breve profilo delle doti positive che vede in lui. E poi giocare la sua sfida sulla positività di quel ragazzo. Che nella scuola entri uno sguardo nuovo, questo è il problema serio dell’educazione oggi. Non sarà la sentenza di un tribunale a risolverlo, né il ricorso a norme più ferree. Urgono invece insegnanti che si mettano alla ricerca del positivo presente in ogni studente e che sfidino la libertà a riconoscerlo.
Insegnanti che divengano alleati del cuore di ogni studente, più di quello che gli stessi studenti riescano.
Ecco il mio commento
Professor Mereghetti il suo articolo mi pare astratto e incompleto.Vedremo che mi risponderà il ...moderno pedagogo...
Lei parla di guardare la positività di un ragazzino che ha impedito a un suo compagno di classe di entrare nel bagno dei ragazzi perchè gay e quindi "femmina".
La professoressa ha parlato in classe dell'accaduto, ha cioè collettivizzato l'aggressione verbale e fisica, facendo ragionare tutti su quanto successo. Tanto che un secondo ragazzo coinvolto nel fatto chiese scusa al ragazzino offeso. Ma non il bulletto che pensava di avere ragione.
Ora se uno pensa che se uno è gay allora è femmina è deficiente, non nel significato traslato ma in quello letterale, come la professoressa aveva ben spiegato in classe.
Si vada a leggere la sentenza del gup che cita anche il parere di ben tre psicopedagogisti che sul ragazzo hanno più competenza di me e di lei avendoci parlato e avendolo conosciuto.
Quel che trovo inaccettabile del suo articolo è che lei difende l'aggressore in base a nobili e astratti e generici principi ma non spende nemmeno una parola sull'aggredito. Siamo al paradosso. Vuoi vedere che il vero colpevole ora è il ragazzo aggredito?
Palermo cronaca invece riporta una notizia FALSA.
Infatti dice:
Condannata ad un anno dalla terza sezione della corte d'appello, Giuseppina Valido, 59 anni anni insegnante di lettere in pensione. All'epoca dei fatti l'insegnante adottò nei confronti del ragazzino protagonista di un episodio di bullismo un provvedimento disciplinare particolare, gli fece scrivere per cento volta sul quaderno "sono deficiente". Questo perchè insieme a due coetanei aveva impedito ad un compagno di classe di entrare nel gabinetto.Omettendo le ragioni del gesto: Tu non puoi entrare nel bagno dei maschi. Sei gay. Sei femmina
La vittimaLa vittima è il bullo non il ragazzino cui è stato dato del gay perchè non sufficientemente virile.
di questo episodio, secondo quanto ha riferito il padre, è rimasto traumatizzato, faticava a prendere sonno, e dovette ricorrere all'ausilio di uno psicologo.Quindi basta la parola del padre, che vale di più di quella della professoressa.
In realtà però
Dalle indicazioni dello psicologo dott. Giovanni Caltanissetta, della psico-pedagogista dott. Pellegrino Elisa e della dott.ssa Parasiniti non può ricavarsi la prova che lo specifico intervento educativo e disciplinare adottato dalla Valido sul XX, tenuto conto delle particolari circostanze di fatto che lo precedevano e della situazione concreta in cui si andava ad inserire, avesse cagionato un danno morale o il pericolo di un danno morale per quest’ultimo.Gli stessi “disturbi comportamentali” del XX, segnalati dalla dott.ssa Parasiniti con il certificato del 10.2.2006, nulla indicano in ordine ai fattori eziologici, alla loro entità e alle terapie praticate o praticabili, rimanendo in una genericità tale da ritenere che in realtà il giovane Xx fosse, come tanti altri ragazzi della sua età, semplicemente affaticato o preoccupato da una particolare situazione in ambito scolastico .Peraltro la estrema genericità di tale formula si salda con l’indicazione contenuta a pagina 2 dell’esposto del padre del giovane XX, che smentirebbe in radice la riconducibilità di quella condizione del minore con la condotta della Valido, dal momento che evidenzia la personale percezione della stranezza dei comportamenti del figlio a partire dal 24 gennaio 2006 ossia quattro giorni prima del fatto in contestazione, verificatosi senza alcun dubbio in data 28 gennaio 2006.A ciò si aggiunga che dopo l’episodio di cui in contestazione, avvenuto il 28 gennaio 2006, il XX continua a frequentare la classe per oltre dieci giorni senza manifestare particolari disagi o atteggiamenti meritevoli di attenzione da parte dei responsabili dell’istituto sotto il profilo della serenità del minore, come si evince dalla documentazione in atti, ciò deponendo per l’infondatezza circa l’esistenza di un danno morale per il minore derivante dalla condotta dell’imputata di cui in rubrica.
Così si legge nella senza del 2007 del Gup (fonte già citata). Un bravo giornalista se ne sarebbe dovuto informare, non così l'autore della notizia su Palermo cronaca, che nemmeno si perita di firmare il pezzo.
Potrei fare tanti altri esempi ma mi sembra ababstanza per dimostrare come ognuno sulla rete apre bocca e gitta fori fiato.
Il resto lo leggete sui quotidiani. Le rimostranze delle associazioni gay, nel desolante panorama di un paese di lobotomizzati...
1) per questa ricostruzione mi sono basato sull'articolo di allora del Corriere della Sera
3 commenti:
Quello che in tutta questa assurda storia nessuno di quelli che citi si degna di dire è cosa altro avrebbe dovuto fare la Prof (tirar fuori il buono, se permetti, manco lo considero come esempio!). A quanto pare tutti sanno quel che non si sarebbe dovuto fare ma nessuno ci illumina sui giusti metodi. Cosa di per se già significativa direi.
Un altro dato, poi, mi sembra evidente e poco considerato (lo scrissi già all'epoca dei fatti): che insegnamento trarrà il ragazzino dalla battaglia del padre, oltre che dal suo primo insulto alla prof, in questa vicenda?
Visto che si vuole tanto fare i moderni nei metodi pedagogici perché non si analizzano anche i riflessi dell'insegnamento di chi ti dice che, se sei abbastanza cocciuto e prepotente, puoi fare tutto e non devi pagarne le conseguenze perché tanto la colpa potrà essere sempre data a qualcun altro?
Tutta la mia solidarietà personale, professionale e politica alla prof e alla vittima del bullo
prof.Alba Montori, segretaria dell'associazione Fondazione Luciano Massimo Consoli
http://albamontori.blogspot.com/2011/02/se-la-prof-punisce-il-bullo.html
Ammetto che una punizione come far scrivere cento volte una frase (anche a prescindere da quello che la frase dice) è sempre umiliante, e aggiungo che da ragazzino sono stato effettivamente traumatizzato da insegnanti prepotenti che consideravano giusto mortificarmi per "correggere" la mia vivacità e la mia esuberanza negli anni in cui dovrebbe essere un diritto essere felici e sereni (praticamente ogni ora di inglese, alle medie, per me era un'ora di interrogatorio in stile "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto").
Ma tutto questo non toglie che un bullo sia un bullo e come tale vada trattato. Io avrò parlato durante le lezioni, avrò fatto qualche battuta di troppo e avrò risposto ai professori, ma non ho mai rovinato la vita a una persona per divertimento.
Perché quel ragazzo (quello preso in giro) dovrebbe avere l'impressione di andare al patibolo ogni volta che entra in classe (la stessa impressione che avevo io durante le lezioni della mia isterica professoressa di inglese)?
Qualcuno dovrebbe spiegare al padre del bulletto che "il suo ometto tutto speciale" difficilmente agirà così perché si ente a disagio, cerca di esprimersi, non sa tirare fuori il buono o altri luoghi comuni sui bulli. I bulli fanno quello che fanno perché hanno l'opinione pubblica dalla loro parte si sentono potenti... potenti come i poliziotti che pestano i detenuti in questura, come i giudici che condannano alla leggera... quindi, se volete contrastare gli abusi di potere, prendetevela con i bulletti da due soldi, non con chi reagisce!
https://ilvignettaio.wordpress.com/2012/09/11/quindici-giorni-di-carcere-per-la-maestra-che-diede-del-deficiente-a-un-bullo/
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