lunedì 15 ottobre 2012

Una adeguata risposta al commento di Eddi al mio post Identità di genere fluida:

Il commento di Eddi al mio post Identità di genere fluida
merita una risposta troppo articolata per postarla tra i commenti. Ho deciso così di farla diventare un nuovo post.

Eco la mia risposta.
Di seguito il commento di Eddi   


Ciao Eddi.

Intanto grazie per il tuo contributo, per me preziosissimo, per dipanare un argomento spinoso e di non facile soluzione.

Prenderò spunto da quello che dici per esprimere ancora meglio i miei dubbi più che per esprimere una concordanza o una discordanza con quello che dici, che, comunque , ci sono, entrambi.

Mi ha colpito che nel tuo commento, pur indicando bambino e bambina tu senta di dover specificare il genere: Il bambino (maschio) e la bambina (femmina).

Come se le parole bambino e bambina non si riferiscano già al genere, che sappiamo essere una costruzione culturale (in senso antropologico) e sociale, ma al sesso (secondo la nota distinzione) le cui caratteristiche e differenze basandosi sulla biologia, pretendiamo essere naturali.

Anche il corpo biologico invece è una costruzione sociale e culturale nel senso che ce lo rappresentiamo non in maniera neutra, obbiettiva, ma già informato (nel senso di dare forma) dagli stereotipi di genere.

Non credo sia esatto infatti dire che il genere sia il processo culturale di costruzione sociale delle caratteristiche biologiche come scrive Elisabetta Ruspini ne Le identità di genere (Carocci, Roma 2003 p. 9) perchè in questa definizione non si mette in discussione il concetto di caratteristiche biologiche che è a sua volta una costruzione sociale.

Ruspini arriva infatti a dare per scontate certe differenze biologiche che non sono biologiche affatto:
Donne e uomini presentano diverse caratteristiche fisiche: i maschi della specie umana sono, in media, più grandi e più forti delle femmine e queste ultime, inoltre, sono fisicamente più vulnerabili a causa delle gravidanze e dell'accudimento dei neonati e bambini
E' evidente qui che vengono ascritte al biologico differenze che riguardano invece la distribuzione sociale dei ruoli, infatti le donne non sono sempre incinte e dunque non sono vulnerabili sempre, fermo restando che una donna incinta può compiere qualunque compito della vita quotidiana anche in avanzata gestazione...

Per tacere della definizione che i maschi sono in media più forti.

Anche questa è una rappresentazione sociale, perchè io, che sono ciccione e non faccio sport, sono meno forte di una donna della mia stessa età ma in condizioni fisiche migliori delle mie, eppure la mia minore forza fisica non fa di me un maschio meno maschio.

Almeno non dovrebbe.

Perchè per un uso rigido delle parole c'è chi arriverebbe a depennarmi dalla categoria maschile se non corrispondo alle caratteristiche che si pretende la definiscano.

Ed è proprio qui che nasce il mio disagio sul concetto di fluidità di genere.

Ci si dimentica che tutte le parole sono rappresentazioni della realtà, le cui caratteristiche ascritte sono descrittive e mai prescrittive.

Le parole sono descrittrici della realtà non già la realtà stessa.

(Lo so che un filosofo avrebbe da ridire, ma per realtà stessa intendo le singole persone e non i concetti con le quali le indichiamo, quel maschio concreto in carne ed ossa non il concetto di maschio che quel singolo individuo incarna).

Quando la realtà, quella singola persona, quel singolo dato crudo (cioè non già interpretato secondo i nostri descrittori, cioè le parole) mostra una incongruenza con la parola definita\descrivente dovremmo cambiare la parola e non la persona.

Invece mi sembra facciamo il contrario.

Tu constati - a ragione - che i bambini e le bambine che giocano con giocattoli secondo i ruoli di genere non pertinenti al loro sesso biologico  non sono affatto "fluidi" da un punto di vista dell'identità di genere; semplicemente non aderiscono al loro ruolo socio-identitario "eterosessuale".

Su questo siamo perfettamente d'accordo.

Per me definire il giocare con una bambola femminile e giocare con il meccano* maschile è un volgare (nel senso di banale, trito, ovvio) stereotipo sociale che si rifà all'organizzazione sociale del fascismo quando la donna stava in casa a fare i lavori donneschi della cucina e l'uovo lavorava.

Ancora più indietro, si rifà al mito fondatore della nostra cultura, quello della biblica Genesi dove dio dice alla donna tu partorirai con dolore (il che significa anche questo è tutto quello che farai) e all'uomo tu lavorerai col sudore della fronte.

La società di oggi è profondamente cambiata e ci sono uomini e donne che si sono appropriati di comportamenti, funzioni, lavori che una volta erano percepiti come pertinenti esclusivamente all'altro sesso.

Gli uomini oggi accudiscono i bambini e cambiano loro i pannolini - mentre fino a meno di 30 anni fa si facevano film come Tre scapoli e un bebè (Usa, 1987) di Leonard Nimoy (remake di Tre uomini e una culla (Francia, 1985) di Coline Serrau, film nei quali tre maschi scapoli si schifavano della puzza della cacca di un neonato ed erano del tutto incapaci di accudirlo.

Le donne oggi guidano autobus o vanno nell'esercito mentre fino a prima della seconda guerra mondiale la donna portava da mangiare al marito che lavorava in fabbrica oltre a portare nel grembo suo figlio, come racconta il film Rotaie (Italia, 1929) di Mario Camerini.

Una volta emancipata dalla sua funzione riproduttrice nella quale era stata imbrigliata, grazie al lavoro (non a caso in Italia fino al 1914 la donna per lavorare doveva ottenere il permesso dal padre o dal marito, comunque da un maschio) al  controllo delle nascite e al divorzio la donna ha potuto finalmente rendersi autonoma.

Bambole e meccano* sono giochi e basta e chi ancora oggi, nel 2012, pensa che la bambola sia un gioco da bambina e il meccano* un gioco da bambino è un dinosauro fuori dal mondo, e dice cazzate.

Certamente il luogo comune è ancora molto forte e molte persone ancora la pensano così ma ciò non significa che questo trito e triste stereotipo sia vero o sia giusto.


Hai ragione nel dire che non possiamo negare che la bambola sia socialmente percepita come gioco femminile, e il calcio come maschile ma credo che tu sbagli nell'attribuire questo conformismo (ben)pensante anche all'infanzia (i bambini e le bambine) che credo semplicemente giochino e sperimentino senza preoccuparsi di essere o meno conformi a questo o quel cliché.

Credo che la questione redimente sui bambini rosa sia tutta qui.

E' l'occhio conformista dell'adulto che definisce, prescrive  e inquadra la libertà a-defintoria dell'infanzia in griglie che si pretendono universali, dimenticando (o fingendo di farlo) che invece sono storicamente determinate.

Con la caduta del muro è crollato anche il materialismo storico che tutt* dovremmo tornare a studiare (e se non ti piace Marx va benissimo anche Feuerbach).

La lettura che proponi tu, molto interessante per gli adulti,  e cioè che questo è esattamente il principio che induce in una quota di maschi gay l'effeminatezza; cioè l'adesione, in età evolutiva, al comportamento - socialmente stereotipato - femminile, che serve per risultare attraente ad un altro maschio (anche se ti ricordo che l'effeminatezza è un concetto patriarcale che serve a individuare chi si allontana dal concetto di virilità e che, d'altronde, ci sono maschi effeminati che sono eterosessuali) mi sembra una forzatura per i bambini.
 
Mi chiedo e ti chiedo infatti: non può essere più semplicemente che l'infanzia sta semplicemente giocando e non vuole né sedurre altri maschi né esprimersi in quanto maschio o in quanto femmina, ma semplicemente giocare?

Cioè sperimentare per gioco ma per davvero funzioni della vita adulta?

Che insomma l'infanzia sia libera di giocare con quel che gli pare senza doverla imbrigliare in griglie sessiste di definizione?


Leggere il gioco di un bambino come espressione del suo rifiuto di una identità di genere mi sembra un modo molto riduttivo di vedere le cose.

Si dà alle scelte e ai comportamenti di questi bambini l'intenzione di professarsi contro il proprio genere di appartenenza, tenendo fisse le definizioni di genere (che sappiamo culturali) invece di adeguarle ai comportamenti delle persone dalle quali dovrebbero sempre nascere le nostre definizioni se crediamo siano descrittive e non le vogliamo autoritariamente prescrittive.

Toh guarda quel bambino porta i capelli lunghi. Non accetta il suo genere che vuole i capelli corti. 

Secondo chi? In quale epoca? Nell'800 e anche in epoche precedenti gli uomini portavano i capelli lunghi. Anche loro avevano una fluidità di genere?

La cosa che trovo più sinistra, pericolosa, e nazista è la considerazione che l'autrice dell'articolo fa quando dice Nessuno sa perché la maggior parte dei bambini si adatta facilmente ai ruoli di genere che gli vengono assegnati, mentre altri no. Forse dipende dai livelli ormonali.
Qui si crede ancora che tra sesso e genere ci sia una conformità naturale e si ignora la radice culturale del concetto di genere che influenza anche quella di sesso.


D'altronde anche secondo gli schemi della psicologia evolutiva più reazionari e patriarcali l'infanzia è l'unica età in cui sperimentare tutto per poi uniformarsi da adulti agli stereotipi di genere. Secondo questo modo di vedere, l'omosessualità sarebbe una forma di immaturità perchè è solo una fase di passaggio che normalmente dovrebbe portare all'eterosessualità genitale e più matura. 

Quando dici che Sono profondamente convinto che in una società dove esistesse un modello sociale forte e positivo di omosessualità, i gay maschi non sarebbero né effeminati né giocherebbero con le bambole da un lato  stai comunque continuando ad ammettere che per te ha senso ascrivere il giocare con le bambole alla femminilità.
Bada non il fatto che molti la pensino così, questo è un dato di fatto, l'articolo che cito nel mio post precedente lo dimostra,  ma che questo pensiero abbia un fondamento logico mentre almeno secondo me è tutto da dimostrare..

Dall'altro cadi comunque nel classico stereotipo dell'omosessualità maschile (la donna mancata) mentre non tutti i gay sono effeminati e non tutti gli effeminati sono gay e, anzi, forse dovremmo proprio mettere in discussione il significato della parola effeminatezza.

Infatti quando dici che questo è coerente, se ci pensi, col dato quantitativo che i "bambini rosa" risultano poi essere spesso gay in realtà stai proprio confermando quell'equivoco epistemologico che il movimento è riuscito a correggere distinguendo tra identità di genere e orientamento sessuale.

Anche se la tua idea di adeguamento a uno stereotipo sociale spiega alcuni comportamenti da checca di alcuni omosessuali maschi anche se non tutti gli effeminati sono checche... se capisci cosa voglio dire...


In ogni caso ci sono bambini che giocano con le bambole e sono eterosessuali così come ci sono bambini che giocano col meccano* che sono gay e questi controesempi dovrebbero far svuotare di senso le considerazioni opposte che si basano solamente su un pregiudizio sessista. E in ultima analisi anche le tue.

Infatti è davvero superficiale, nella teoria della fluidità di genere, leggere una non conformità in atteggiamenti così esteriori come il giocare con giochi definiti in maniera sessista, o con i vestiti o con la lunghezza dei capelli.

Se ci sono fluidità nell'identità di genere credo debbano essere cercate in elementi più profondi.

La tua spiegazione è comunque molto interessante perchè cerca di improntare un discorso meta culturale (la cultura, smepre in termini antropologici, che parla di se stessa) sui motivi per cui possiamo aderire o meno ai cliché e stereotipi di genere.



Mi sembra però che per comprendere l'intera questione dobbiamo avere un punto di vista più distante che ci dia la possibilità di una visione d'insieme. Finché usiamo stereotipi di genere per parlare di orientamento sessuale (come in fondo fai anche un po' tu) secondo me non abbiamo ancora raggiunto la giusta distanza critica.

Grazie davvero tanto per il tuo commento che mi è stato molto di ispirazione. Riscrivi! Se sei di Roma mi piacerebbe incontrarti di persona.





*Uso il meccano e non i soldatini come vuole il cliché perchè io vieterei qualunque gioco che allude alle armi e all'esercito, ama questo è tutto un altro discorso...  




Ecco il commento di Eddi

Io ho un'idea un po' diversa. Il bambino (maschio) che gioca con le bambole e si lacca le unghie, e la bambina (femmina) che si veste da uomo ragno e gioca a pallone, non sono affatto "fluidi" da un punto di vista dell'identità di genere; semplicemente non aderiscono al loro ruolo socio-identitario "eterosessuale".

Perché, Alessandro, non possiamo negare che la bambola sia socialmente percepita come gioco femminile, e il calcio come maschile, anche da un bambino. Io credo che probabilmente giocando con le bambole un bambino sta cercando di appartenere a quel gruppo sociale che attrae e seduce altri maschi; non perché abbia titubanze sul proprio genere, ma perché la società gli suggerisce che per avere l'attenzione di un maschietto devi stare in quel gruppo. Secondo me questo è esattamente il principio che induce in una quota di maschi gay l'effeminatezza; cioè l'adesione, in età evolutiva, al comportamento - socialmente stereotipato - femminile, che serve per risultare attraente ad un altro maschio. Questo è coerente, se ci pensi, col dato quantitativo che i "bambini rosa" risultano poi essere spesso gay.

Sono profondamente convinto che in una società dove esistesse un modello sociale forte e positivo di omosessualità, i gay maschi non sarebbero né effeminati né giocherebbero con le bambole.

Nessun commento: