mercoledì 29 luglio 2015

Un pessimo titolo per un bellissimo articolo: Yuri Guaiana sull'Huffington post

Magari non lo sapete ma i titoli degli articoli, tanto sulla carta stampata quanto sulla rete, raramente vengono decisi da chi scrive i pezzi, anzi diciamo proprio mai.

Ci sono delle persone incaricate di pensare i titoli.

Un titolo ha molteplici funzioni: deve invogliare alla lettura, deve dare qualche informazione di quel che vi si dice, deve soprattutto usare delle parole che poi nei motori di ricerca producono quell'articolo tra i risultati.

Spesso i titoli rasentano il ridicolo perché vanno contro il buonsenso e ogni principio logico.

Così due uomini vengono arrestati per aver fatto sesso gay (vorrei proprio vedere due uomini fare sesso etero...).

Però non sempre questi titoli sono giustificati da esigenze redazionali.
Anzi quasi mai.
Perché questi titoli, oltre ad essere ridicoli e scritti in un italiano pessimo, sono sempre discriminatori e lasciano trapelare una visione dell'omosessualità e dell'identità sessuale, pessima, discriminatoria e ignorante.

E' il caso, tra i tantissimi, del titolo, pessimo, dell'articolo, di altissima levatura, di Yuri Guaiana pubblicato sull'Huffington Post (del gruppo Espresso).

L'articolo, che vi consiglio di leggere, è un resoconto preciso e puntuale  sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha condannato per la violazione del diritto umano fondamentale al rispetto della vita privata e familiare delle coppie dello stesso sesso.

Guaiana dice coppie dello stesso sesso perché è quella la questione dirimente e non già l'orientamento sessuale.
Una persona gay e una persona lesbica possono tranquillamente sposarsi in Italia.

Il titolo però dice ben altro:

Il Parlamento estenda il matrimonio civile ai gay e riconosca questa "nuova forma di famiglia"
Perché è un titolo pessimo?

Perché riporta male il contenuto dell'articolo.

Nessuno (né la corte EDU nè Guaiana) infatti dice di estendere il matrimonio ai gay ma alle coppie dello stesso sesso.
Non è una questione di terminologia, di forma, ma di sostanza.
Intanto non esistono solamente i gay, ma ci sono anche le lesbiche e le persone bisessuali.

Si usa la parola gay come sostantivo e non come aggettivo.

Non esistono "i gay" ma PERSONE con l'orientamento sessuale gay, lesbico o bisex.

In ogni caso la questione non riguarda l'orientamento sessuale ma l'assortimento sessuale della coppia.
Come ho già scritto una persona gay e una persona lesbica, in quanto uomo e donna, possono sposarsi, non possono sposarsi invece due uomini e due donne.

Desumere l'orientamento sessuale dall'assortimento sessuale della coppia è qualcosa di morboso e di non probatorio.

A nessuno interessa l'orientametno sessuale di due uomini o di due donne che vogliono sposarsi.

Interessa o dovrebbe interessare solo che in Italia è loro vietato.

Dedurre che siccome due uomini o due donne vogliono sposarsi siano necessariamente gay e lesbiche è una illazione maschilista patriarcale e omofoba perché esclude la possibilità che una o entrambe le persone in questione sia bisessuale e magari abbia già contratto matrimonio con persona dell'altro sesso.

Questa mentalità è perniciosa perché invece di includere, di sottolineare come siamo tutte e tutti uguali (almeno davanti la legge) divide e riconosce diritti speciali.

Estendere il matrimonio ai gay vuol dire riconoscere a queste persone una caratteristica diversa che le rende distinte dal resto della popolazione e che poi maganimanete le include.

Invece le persone omo-bisessessuali sono cittadini e cittadine come tutte gli altri e tutte le altre e sono discriminati e disciminate in base al loro orientamento sessuale.

Chiamarle, indicarle, col nome in base al quale le si discrimina è un modo per continuare a discriminarle...

Cioè si riconosce loro un accesso ai diritti che già avrebbero in quanto esseri umani (e donnani) ma che vengono loro negati in base alla presunta anormalità del loro orientamento sessuale.
Dire ai gay significa legalizzare la discriminazione e farne una forma di diritto speciale invece di togliere la discriminazione e riconoscer loro di essere come tutte le altre persone...

Guaiana questo lo sa e nel suo articolo lo si legge tra le righe.

Chi ha scritto il titolo invece essendo un o una deficiente (nel senso stretto etimologico di persona che deficita di un pezzo di informazione) pensa invece di dover riconoscere un diritto speciale a una sorta di Panda in via d'estinzione.

Finché non cambiamo la mentalità di queste persone deficienti che fanno i titoli non potremo mai cambiare l'atteggiamento generale che l'informazione ha nei confronti delle persone non etero che sono tutt'altro che una minoranza (Kinsey docet) e che hanno diritti in quanto persone non in quanto gay.

A quando dei corsi di formazione per chi scrive i titoli?

A quando la sostituzione di queste figure chiave con perosne meno deficienti?


Domanda impietosa ma d'obbligo: possibile che gli autori e le autrici non abbiano voce in capitolo?