lunedì 2 novembre 2015

2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini viene ucciso, ancora non sappiamo da chi, di certo non da Pino Pelosi

Quando Pasolini è stato ucciso avevo 10 anni. 

Ricordo benissimo l'aria di imbarazzo che la sua morte e il suo nome si portavano dietro. 

A 10 anni sei ingenuo e non capisci. 

Non capii che l'omosessualità di Pasolini era stata usata per giustificarne la morte, per mettere tra parentesi il portato politico del suo omicidio e di minimizzarlo.

Capii però che in Italia se sei frocio non c'è giustizia. Che ti possono ammazzare e che nessuno se ne scandalizzerà anzi ne proveranno un intimo sollievo, un'ostentata indifferenza, quando non soddisfazione.

Ancora adesso, mentre scrivo,  mi riaffiora il senso soffocante di paura che provavo per la morte di Pasolini, paura perché quella morte non era evitabile, ma anzi, necessaria. E già a 10 anni mi fu chiaro che se volevo essere frocio come Pasolini avrei rischiato di potere fare anche io la stessa sua fine.

Un ragazzino di 10 anni aveva chiaro la materialità di una violenza dei maschi adulti contro chi violava le loro regole. La violenza di vivere in una società che ti condanna al silenzio dicendoti Se non taci se non ti nascondi la tua fine è nota.

Un memento agito e introiettato, che rimane come impronta indelebile a uso e consumo dei froci perché non importa la grandezza di quel che dicono o di quel che fanno, non importa l'ingiustizia che viene loro fatta perché se sei omosessuale te la sei cercata

Un memento  che funziona proprio perché non detto, non ricordato, non ribadito. Si sa ma non si dice. 

La morte di Pasolini è stata anche un po' la mia morte, la morte di tutte quelle persone omosessuali che in un paese omonegativo  come l'italia sono costrette alla clandestinità e quando si vivono alla luce del sole si sentono accusare, come è successo a me  da parte di mia sorella e non solo, che ostentiamo e parliamo solo di quello.




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