martedì 7 gennaio 2014

Scusate se parlo ancora di Alessandro ragazzo suicida e gay.

Scusate se parlo ancora di Alessandro, il ragazzo di ventun anni, gay dichiarato, che sabato scorso si è tolto la vita precipitandosi dal settimo piano del palazzo dove abitava.

Se ve ne parlo ancora è perchè le rassicurazioni, le precisazioni fatte dalle persone che gli erano amiche e dalla sua famiglia, così maldestramente riportate dalla stampa, che Alessandro non si è suicidato perchè gay a me fanno mancare il respiro.

C'è una retorica nella narrazione di queste rassicurazioni, un modo artefatto di raccontarci le ipotetiche motivazioni del suicidio di Alessandro nella quale non ci rendiamo conto del giudizio negativo, inconscio ma profondo, col quale quella retorica, quella narrazione si riferiscono all'omosessualità.

Questa retorica è costruita intorno al pensare l'omosessualità come a un problema.

Un problema che investe prima di tutto le persone omosessuali e che può indurre al suicidio.

Bene, non nel caso di Alessandro dicono i suoi cari.

E la stampa si adegua:
Il suo orientamento sessuale era vissuto con serenità e in famiglia era accettato da tutti

spiega Marco Pasqua sul Messaggero.

Vissuto con serenità.

Perchè evidentemente ci sono persone che non vivono la propria omosessualità in maniera serena.

Non metto in dubbio che per qualcuno o qualcuna sia così.

Quello che però questo modo di raccontare tace è il motivo della non serenità.

Se questa mancanza di serenità nasca cioè da una condizione in sé dell'omosessualità o da una reazione esterna all'omosessualità, fatta da terzi, che può influenzare lo o la omosessuale.

Di solito si vive con serenità qualche cosa che di per sé non è positiva.
Non ha senso dire di vivere con serenità la propria bellezza, o ricchezza, o intelligenza.Si vive con serenità qualche cosa che è considerata generalmente, cioè dalla maggioranza collettiva, almeno come un difetto.

Un difetto soggettivo (la mancanza di altezza, di bellezza) od oggettivo (l'essere obesi che non è una condizione naturale del corpo umano bensì una malattia) difetto che spesso è tale più agli occhi di chi vive male questa sua condizione che a quelli della gente che gli sta intorno.


L'omosessualità però, di per sé, non è un difetto.

Non è un accidente che ci è capitato, e che dobbiamo accettare imparando a vivere una condizione da handicappati con serenità.

Se una persona omosessuale non vive con serenità la propria condizione è perchè è stata cresciuta nella convinzione che essere gay è sbagliato. Le narrazioni collettive dell'omosessualità sono tutte negative: si dà del frocio a qualcuno per offenderlo, frocio è sinonimo di poca virilità, di poco coraggio, di mancanza di autorevolezza  (l'elenco completo sarebbe infinito), l'omosessualità è una malattia, una scelta di vita poco onorevole, un disordine morale.

Il modo col quale si racconta l'omosessualità influisce la percezione che ne hanno anche le persone omosessuali.

Dire di un gay che non ha problemi con il proprio orientamento sessuale che se lo vive con serenità sottintende che quel gay ha risolto un problema oggettivo datagli dalla sua omosessualità che in realtà di per sé l'omosessualità non ha.

La non accettazione di sé delle persone omosessuali (egodistonia) non nasce da una causa interna alla propria condizione nasce dalla pressione esterna.

Un gay non si accetta non perché omosessuale ma perché la società odia l'omosessualità al punto tale da indurre quel ragazzo gay a odiare se stesso.

Per indicare che un ragazzo gay non ha assorbito dalla società l'omo negatività non possiamo dunque limitarci a dire che se la vive con serenità dobbiamo sempre ricordare la causa esterna per cui certe persone sono indotte a una mancanza di serenità.

Questa narrazione del vivere serenamente mette tra parentisi lo stigma e insinua il dubbio che la condizione gay sia una condizione particolare, eccezionale e che, insomma, l'omosessualità non è una delle opzioni di default della vita sessual sentimentale di ognuna e ognuno di noi.

Nella stessa frase Marco Pasqua sottolinea anche che in famiglia Alessandro era accettato da tutti.

Di nuovo. Si accetta qualche cosa che di per sé è negativo.


Si accetta cioè si consente o si accoglie, ma, anche, si sopporta con rassegnazione (cfr. dizionario Treccani online) qualcosa che evidentemente di per sè positivo non è.

Dire di Alessandro che è accettato da tutti fa riferimento a un qualcosa che è in Alessandro, la sua omosessualità, che è di per sé problematica, ma che le altre persone, per magnanimità, accettano.

In realtà la cosa, il problema  non sta in Alessandro sta in chi giudica Alessandro in base alla sua omosessualità allontanando l'attenzione dal pubblico ludibrio pubblico ad Alessandro.

Che Alessandro sia gay è un problema per la società omofobica non per Alessandro né per la sua famiglia.


L'omosessualità di per sé non è un problema diventa problema per lo stigma sociale alimentato da tutte e da ognuno.


Allora non basta dire di Alessandro che vive con serenità la propria condizione, né che la sua condizione è accettata da tutta la famiglia  per dimostrare che Alessandro è felice.

Io posso accettarmi ed essere accettato dalla mia famiglia ma finché la società resterà omofoba, finché ci sarà qualcuno che dice che l'omosessualità è una malattia quando mai potrò davvero essere sereno?

E a cosa mi serve l'accettazione in famiglia se nel resto della società non sono accettato?

Questo modo di spiegare che se Alessandro si è suicidato non è a causa della sua omosessualità è ancora un modo omo negativo di vedere le cose perché cerca le ragioni dell'infelicità di un omosessuale prima in lui stesso e poi nella sua famiglia dimenticandosi della società che educa le famiglie e le singole persone all'omo negatività.

A ben vedere anche negli stessi termini della retorica della serenità come posso vivere veramente sereno se tutta la società o almeno la maggioranza di non mia accetta?


Ho capito che quel che si sta cercando di dire nel caso del suicidio di Alessandro è che se Alessandro era una persona risolta, che non aveva nessuna omofobia interiorizzata, che era circondato da persone che lo sostenevano e non era discriminato in famiglia, i motivi che l'hanno indotto al suicidio non sono legati alla sua omosessualità.

Ma nessun omosessuale si suicida perchè un suo problema con l'omosessualità perchè non si accetta.
Un omosessuale si suicida perchè l'universo mondo lo considera un errore.

Una non accettazione che può trovare anche dentro di sé ma che sempre dall'esterno nasce.

Questa retorica narrativa è dunque ipocrita e mente sapendo di mentire.

Mente e discrimina perché surrettiziamente, sotto sotto, conferma che l'omosessualità è un un guaio di per sé.

Purtroppo da questa retorica della serenità non sono immuni nemmeno  certi militanti gay.

Così Fabrizio Marrazzo si esprime in maniera assai infelice quando afferma, semepre nell'articolo di Marco Pasqua,
Era una persona che non aveva problemi di nessun tipo con la sua omosessualità, diciamo che da questo punto di vista era un esempio per le persone che non si accettano – racconta Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center – ci siamo conosciuti e il cugino presta servizio all'interno della nostra associazione. Non riusciamo a capire cosa gli sia potuto accadere, certo si tratta di un dramma che ci ha colpiti tutti.
Per Marrazzo la persona risolta è quella che non ha problemi di nessun tipo con la sua omosessualità.

Non hanno problemi perché discriminate in base a un pregiudizio omofobo.
Per Marrazzo l'impegno e la militanza di Alessandro sono un esempio per tutte le persone che non si accettano.
Non un esempio di tenacia di chi nonostante il pubblico ludibrio non si lascia fermare.

Fabrizio Marrazzo si dimentica che i problemi di accettazione nascono dopo per motivi esterni e contingenti.

A leggere quel che dice si è indotti a pensare che anche lui, sotto sotto, pensa che il problema dell'omosessualità sia un problema che nasce dalla persona e non dall'odio sociale.

Lo ripeto. Io non conosco Alessandro e non so quali problemi avesse ma certo cercare i motivi del suo suicidio nella
fine della relazione con il suo ragazzo, Pietro. «La storia non è finita bene – racconta oggi l'ex – e dopo che abbiamo smesso di vederci temo che si sia lasciato andare»
a me fa mancare il respiro. Anzi mi fa venire voglia di vomitare.

Se Alessandro era caduto in depressione nessuno mi toglierà dalla mente che uno dei motivi è anche l'odio omofobico un odio che se non aveva minato l'autostima di Alessandro ma che gli si appiccicava addosso e lo soffocava lo stesso come soffoca e discrimina ogni persona non etero normata.Non per una debolezza intrinseca di Alessadnro ma per la disparità tra persone, per il numero immenso di persone che odiano. 


Chiedere gli stessi diritti non significa che quei diritti ci vengono negati?

E come si può essere sereni se non si è trattati proprio come tutte le altre persone?

Evidentemente è molto più comodo per la coscienza di tutti e di tutte pensare ad Alessandro come a un frocio sereno che si è ammazzato per immaturità (una storia d'amore con Pietro finita male) piuttosto che vederlo come la vittima dell'odio omonegativo,  come un ragazzo discriminato e vessato non perchè omosessuale ma perchè molte persone odiano gli e le omosessuali.


D'altronde l'ultima cosa che Alessandro ha scritto su facebook non è stata perchè Pietro mi ha lasciato? ma perché insultare un omosessuale non fosse ancora considerato un reato.