venerdì 23 marzo 2012

La miopia politica dello spot contro l'omofobia del Bologna Pride 2012

PeopAll (Volontari Bologna Pride 2012) ha presentato uno spot contro l'omofobia.
Eccolo



La Regia è di Dalila Romeo, la fotografia di Arturo Bernardi e il montaggio di Federica Ruozi.

L'idea delle scritte sui corpi  è efficace e visivamente si impone e si ricorda, manca però allo spot quella velocità e immediatezza di comunicazione per cui si reitera la stessa idea visiva più volte, perdendo più tempo per mostrare le scritte sui corpi che per indicare il significato delle medesime per cui il gioco visivo dello spot è "quale parola vedremo adesso?" e non, per esempio,  quante parole ci sono per offendere gay e lesbiche?.
Lo spot è viziato da una ricerca dell'effetto visivo-grafico che mette in secondo piano la denuncia che lo spot si pone come messaggio da comunicare. La cosa che io ricordo id più dello spot è il seno nudo che si vede (per i feticisti dei piedi saranno i bei piedi magri che si vedono). mentre il bicipite è un po' poco per accendere l'interesse sul corpo maschile. Non sto esperimento un mio gusto personale beninteso ma sto cercando di analizzare l'efficacia della strategia comunicativa e mi sembra che la lentezza amplificata a dismisura dalla musica da telefilm poliziesco (pessima scelta) sia ciò che rimane più impresso. L'errore più grave, che fosse questo il saggio d'esame di un corso di comunicazione indurrebbe a una piena bocciatura è il claim e il pay off le due scritte che danno il senso all'operazione. Marchiati fuori marchiati dentro CHE NON SI LEGGE!!! La scritta p troppo piccola e il roo sul nero fa diminuire la visibilità. La scritta è pensata per la proiezione in sala (al cinema) non per la visione in tv né, tanto meno per gli  schermi del pc, del net book, dei tablet o smart phone. Insomma non si legge (eeeh? che c'è scritto?!). Con tutto il rispetto per il lavoro fatto dai volontari magari affidare lo spot a gente che ha più competenze nel campo della comunicazione avrebbe forse portato a un risultato diverso e migliore.


Il primo messaggio inconscio che lo spot manda è che gli e le omosessuali sono corpi e non persone. Corpi estetizza(n)ti, belli da vedere, usati come oggetti sui quali scrivere belle scritte ben posizionate, impiegate con eleganti soluzioni grafiche (le due parole scritte a metà su ogni piede) che tutto ricordano tranne il marchio che devono rappresentare.
Corpi anonimi senza volto, senza personalità, senza identità. Forse si voleva dare il senso di carne da macello ma questi corpi così avulsi da qualunque contesto fisico e collocati in uno spazio astratto e neutrale uno spazio puramente comunicativo li rendono ancora meno umani. Ma sono corpi non umani non a causa delle scritte ma proprio per come quei corpi vengono mostrati. La disumanizzazione insomma a non è un effetto voluto, parte della denuncia (la società ci vede così)  ma l'effetto di una sbagliata strategia comunicativa.
Se la società considera l'omosessualità una questione di corpi, di consumo sessuale e non di affettività perchè non mostrare i volti di questi copri perchè non dire chi sono questi corpi (di) chi sono questi corpi?
Una persona non vicina al movimento glbtqi qualunque sia il suo orientamento sessuale percepisce gli e le omosessuali rappresentati nello spot come altro da sé confermando lo stigma che lo spot sta cercando di denunciare.

Ma al di là di queste critiche tecniche necessarie e doverose, là dove lo spot toppa completamente è sul piano politico.

Come tanti altri spot italiano anche questo spot avelle le persone omosessuali dalla società in cui vivono, dalla quotidianità in cui vengono discriminate, ben peggio che per degli epiteti offensivi (il cui movimento 40 anni fa aveva usato slogan di recupero per  certe parole offensive frocio è bello etc.).

Il movimento glbtqi è il primo omofobo e mostra gay  lesbiche (dimenticando trans, bisex e intersex) come una categoria a sé per un infantile voglia di dimostrare che come siamo discriminati noi gli altri mai.

Altrimenti non si capisce perchè non si mostra la popolazione glbtqi là dove vive lavora, si diverte, come tutti gli altri e come tutte le altre , un po' come aveva fatto lo spot del ministero per le pari opportunità che mostrava omosessuali nei posti di lavoro sbagliando anche lì la strategia comunicativa ma almeno (di)mostrando che i froci e le lesbiche sono tra di noi!



Invece questo spot dice ai suoi spettatori che froci e lesbiche sono anonime parti anatomiche che esistono in un astratto spazio in bianco e nero.
Gli spettatori annuiscono e poi tornano a discriminare i froci e le lesbiche, quelli che incontrano o credono di incontrare) nella società in cui viviamo tutti insieme.

Ringrazio Guido Allegrezza che mi ha segnalato lo spot.