venerdì 30 novembre 2012

Istituto Superiore della Sanità e Ministero della Salute.
Tra sigle incomprensibili e dubbie gerarchie tra le categorie a rischio il nuovo report sui casi di sieropositività in Italia nel 2011.


Nel comunicato del sito del Ministero della Salute sulla campagna di comunicazione nonostante i dati pubblicati nel report dimostrino il contrario che non ci sono categorie a rischio ma comportamenti a rischio il ministero rispolvera le pericolose e discriminatorie categorie, stilando un elenco così disomogeneo da rasentare il ridicolo.
La campagna si rivolge alla popolazione generale e in particolare alle categorie con comportamenti ritenuti a maggior rischio:
adulti,
migranti,
MSM (uomini che fanno sesso con uomini),
giovani,
donne.
Il neretto è mio.

Una comunicazione allucinante e allucinatoria.

Le categorie indicate non identificano comportanti a rischio (nonostante lo si affermi  categorie con comportamenti ritenuti a maggior rischio) perchè, tranne una, non rimandano specificatamente a comportamenti sessuali a rischio di contagio.

Si limitano a descrivere e dividere la popolazione di persone sieropositive (quindi non le persone più a rischio di diventarlo ma le persone che nel 2011 lo sono diventate) così come sono desunte dai dati del Report dell'ISS impiegando categorie asimmetriche prese da diversi bacini semantici tra di loro incompatibili o contraddittori o che si sovrappongono. Infine, scelte con uno sguardo discriminatorio.


Adulti. Solo uomini. Perchè non ache adulte no? Perchè le donne sono una categoria a sé, l'ultima in ordine di elenco?

Perchè si distingue tra uomini adulti e donne in generale? 

Le donne non sono forse, anche,  adulte?

Quale informazione si vuole dare con questa diversificazione?

Soprattutto quale comportamento sessuale a rischio identificano?


Migranti. Distinzione razzista. Nel comunicato stampa pubblicato dall'ISS si legge che

Nel 2011 quasi una persona su tre diagnosticate come HIV positive è di nazionalità straniera.
L’incidenza è di 3,9 nuovi casi HIV per 100.000 italiani residenti e 21,0 nuovi casi HIV per 100.000 stranieri residenti.
Messo così questo dato allarma è inquieta perchè sembra che  il numero di stranieri che è sieropositiva sia di 5,38462 volte superiore a quella di Italiani residenti (magari ci sono italiani che risiedono all'estero... boh).

Nel Report disponibile online pubblicato dall'ISS si legge invece che il numero di stranieri sieropositivi diagnosticati nel 2011 sono 951, mentre il numero di italiani (residenti) sieropositivi diagnosticati è di 2.644.

Ma com'è possibile? Magia dei numeri!

Se impostiamo a 100mila la base per indicare la percentuale di sieropositivi tra italiani (60 milioni di abitanti) e gli stranieri (4 milioni di abitanti) gli stranieri sieropositivi sembreranno molti di più e, in proporzione, lo sono: su 4 milioni di stranieri presenti 951 sono sieropositivi ma gli italiani (residenti) sieropositivi essendo 60 milioni sono come numero molti di più 2644.

Al di là dei numeri  e delle percentuali la maggiore incidenza di sieropositiviti nella popolazione straniera non è da collegare alla mancanza di informazione e di controlli sanitari?

Allora la categoria Stranieri del Report indica un dato sociologico non medico.

Eppure questi dati dovrebbero indicare per definizione stessa del comunicato del Ministero i comportamenti a rischio non le categorie socialmente più colpite.

in particolare alle categorie con comportamenti ritenuti a maggior rischio.

Comportamenti a rischio.

Cioè comportamenti sessuali.

Nel Report, infatti, a differenza che nel comunicato stampa dell'ISS così come nel comunicato del Ministero della Salute sulla Campagna di comunicazione per la lotta contro l'Aids 2012-2013, che non ne fanno menzione, si legge

Dalla metà degli anni ’80 a oggi la distribuzione delle modalità di trasmissione ha subito un notevole cambiamento:
la proporzione di consumatori di sostanze per via iniettiva (Injecting Drug User - IDU) è diminuita dal 76,2% nel 1985 al 4,7% nel 2011,
mentre sono aumentati i casi attribuibili a trasmissione sessuale.


MSM (uomini che fanno sesso con uomini).
Ma una volta non si chiamavano omosessuali? No, Il termine, asettico, indica la pratica sessuale senza prendere in considerazione l'identità sessuale dei medesimi. Sono uomini ciò che fanno sesso con altri uomini a prescindere se loro si identificano come eterosessuali bisessuali od omosessuali.

Da notare che nel grafico generale delle percentuali negli anni in base alle pratiche a rischio del report dell'ISS del 2009 MSM era stata tradotta con approssimazione ma buon senso comunicativo con contatti omo\bisessuali;




Nello stesso schema del  report di quest'anno si è tornati alle categorie anglofone nel caso di IDU e MS di meno immediata comprensione ma non nel caso di rapporti eterosessuali rimasti in italiano.




Allora, di nuovo, questa disomogeneità e asimmetria semantica dei sostantivi scelti per indicare comportamenti a rischio (quando si tratta, tranne l'MSM, di categorie di persone e non di comportamenti) cosa mi vuol dire?

Che informazione mi vuole dare?

E perchè l'unica categoria che fa riferimento esplicito a un comportamento sessuale, tra l'altro generico, senza entrare nello specifico delle pratiche sessuali, è scelto da un lessico scientifico non conosciuto ai più della popolazione (anche io che non mi considero un novellino anche se ho ancora molto da imparare non avevo mai letto l'acronimo MSM)?

Davvero gli uomini che fanno sesso con uomini hanno più probabilità di contrarre il virus dell'hiv degli uomini che fanno sesso con donne?
No, perchè nel comunicato stampa che annuncia il report dell'ISS si legge che rispetto agli uomini sieropositivi
La principale via di trasmissione del virus sono i rapporti sessuali non protetti (il 78,8% di tutte le segnalazioni) di questi 45,6% in rapporti eterosessuali 33,2% in rapporti omosessuali.
Allora queste cinque categorie indicate nel comunicato di annuncio della campagna di informazione e sensibilizzazione contro la diffusione dell'hiv SONO MENDACI.

E il comunicato stampa è scritto (coi piedi) in maniera pregiudizievole confondendo piani e categorie sociologiche con presunte categorie a rischio.

Nel Reportsi trova nelle note la fonte di questa mentalità quando si spiega come:
è necessario ricordare che, come già avviene per l’AIDS, la modalità di trasmissione viene attribuita secondo un ordine gerarchico che risponde a criteri definiti a livello internazionale.
Ogni caso è classificato in un solo gruppo.
I soggetti che presentano più di una modalità di esposizione vengono classificati nel gruppo con rischio di trasmissione più elevato (in ordine decrescente di rischio: uso iniettivo di droghe, MSM, eterosessuali) (report pag. 5)
Dunque il Report si conttradice perchè afferma che i MSM hanno un rischio di trasmissione più levato degli eterosessuali, mentre i dati riportati dicano il contrario /di questi 45,6% in rapporti eterosessuali 33,2% in rapporti omosessuali).

La fonte di questa gerarchia è, come riportato in nota, Il Centers for Disease Control and Prevention - CDC. Antiretroviral Postexposure Profylaxis after
sexual, injection-drug use, or other nonoccupational exposure to HIV in the United States. MMWR 2005;54(RR02):1-20.

Che si riferisce alla popolazione degli Stati Uniti nel 2005!
Una gerarchia che non so se essere attendibile allora ma che sicuramente non riflette più la situazione attuale italiana né oggi ne allora (già nel 2005 le persone eterosessuali erano più contagiate di quelle omosessuali).

Dunque queste 5 categorie sono ridonanti e non danno informazione alcuna.

Gli MSM sono adulti, giovani e possono essere anche Migranti.

Gli Adulti, i Giovani e i Migranti possono essere MSM o MSF (per coerenza lessicale invento questo acronimo...).

Le Donne possono essere Giovani Adulti(e) Migranti eterosessuali e Non [l'eventualità di trasmissione dell'hiv da donna a donna in un rapporto sessuale è contemplata nel Report anche se in percentuali bassissime: “rapporti sessuali tra femmine”(femmine che fanno sesso con femmine) in 2 casi] .

Insomma un gioco lessicale delle tre carte confusionario e che non porta a nulla.

Chi confonde quando fa informazione commette un crimine.

E stiamo parlando dell'uffici stampa dell'Istituto Superiore della Sanità non di un organismo qualsiasi.


1° dicembre. Giornata mondiale dell'Aids. La nuova Campagna di comunicazione per la lotta contro l'Aids del Governo italiano. Si torna a parlare di profilattici. O forse no.

In Italia non se ne parla praticamente più.

Nell'ultima campagna governativa in fatto di informazione e prevenzione quella del 2009, blanda, con un video, di Ferzan Ozpetek, che vede come testimonial Valerio Mastandrea, si parla solamente di test e non di profilattici.





Eppure il sito del ministero della salute ieri pubblica una news nella quale, tra le altre cose, oltre a ricordare l'attività di counsellig espletata col numero verde 800.861.061 si dice:
I dati epidemiologici dell’HIV e dell’AIDS forniti dal Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità mostrano quanto, ancora oggi, sia di fondamentale importanza erogare un’informazione puntuale, scientificamente corretta e personalizzata.

I dati evidenziano un costante bisogno informativo della popolazione generale in merito all’HIV e il ruolo fondamentale dell’informazione istituzionale nel sensibilizzare l’opinione pubblica verso un tema di salute tanto cruciale quale è quello della prevenzione.

Invece questo Governo, ancora peggio di quello precedente, in quanto a informazione non ha fatto, finora, nulla.

Domani parte la nuova Campagna di comunicazione per la lotta contro l'Aids 2012-2013, che vede Raul Bova come testimonial dallo slogan,  La trasmissione sarà interrotta il prima possibile. Uniti contro l'Aids si vince.



Non sappiamo se questo video sarà quello che effettivamente da domani vedremo in tv.

La Lila (Lega italiana per la lotta all'Aids)  si dissocia dalla campagna rendendo noto in un comunicato stampa che
Rigettiamo immediatamente ogni responsabilità sul video appena rilasciato dal ministero della Salute per la campagna 2012/2013 lanciato in occasione della Giornata mondiale di lotta contro l'Aids con apposito comunicato stampa.
Il ministro ci coinvolge direttamente affermando che alla sua realizzazione avrebbero partecipato le associazioni che fanno parte della Commissione e della Consulta nazionali Aids: questo non corrisponde al vero, dato che il video, pubblicato nel canale ufficiale del ministero in YouTube, era già stato criticato dalle associazioni citate, che ne avevano chiesto la modifica, richiesta che è evidentemente rimasta inascoltata.
Se fosse un errore chiediamo al Ministero di rettificare pubblicamente e diffondere la versione nella quale Raoul Bova, testimonial della campagna, pronuncia la parola fatidica: PRESERVATIVO

A vedere il video non posso non notare come l'unica coppia non rappresentata sia quella di due uomini.

Prima si vede una mano femminile che porge un profilattico a una mano maschile.


La mano femminile ha lo smalto.
Senza se ne capirebbe la natura sessuata alla stessa identica maniera.  Eppure tutte le donne nello spot hanno o smalto...






Si vede poi un uomo anziano (e non una donna anziana) la si vedrà vicino a lui, nell'immagine finale quando li vediamo tutti insieme, e l'uomo gay  è ancora da solo, senza compagno.








Poi vediamo una coppia etero con lei col pancione (e lo smalto)




Poi due donne, riprese da più lontano



rispetto un'altra coppia etero e interraziale che vediamo subito dopo



e poi c'è l'uomo adulto che parla del compagno (che non vediamo).





Tutte persone adulte o giovani adulte. Nessun adolescente, nessun giovanissimo. L'Italia a consigliare i profilattici ai suoi e alle sue giovani proprio non ce la fa.

Interessante come questo video fotografi la mentalità italiana e l'agenda implicita rispetto certi argomenti anche in un video per l'informazione e la prevenzione del contagio HIV...

Certo a vedere il video sembra difficile credere all'opera di censura denunciata dalla LILA.

Sarebbe ridicolo mostrare il profilattico passato di persona in persona e poi non pronunciarne il nome, o peggio, censurarlo...  Però il Governo italiano è capace anche di questo.

Il bianco e nero infine ricorda quello di un vecchio spot governativo del 1989 che nonostante l'accenno alla normale vita di coppia rimane ancora oggi il più efficace in termini di informazione.




Però almeno in questo spot si torna a parlare di Profilattici.

Un miracolo quasi, anche se, bisogna vedere se lo spot arriva così com'è in tv oppure no, come denuncia la LILA...

Spot con ragazzi che mi piacciono: Diadora e Stefano Sablas Sala


Vabbeh, lui non è un ragazzo qualsiasi ma un modello affermato, ma sapete (ah, non lo sapete?) che io non seguo la moda né i modelli e che per me l'avvenenza non è legata alla fama del successo effimero di chi si veste haute couture per campare.

Ho conosciuto Stefano Sablas Sala in questo spot Diadora




...e le mie papille gustative sono impazzite.



L'omonegatività non è sconfitta finchè i primi a seguire certi luoghi comuni sono proprio i gay.

Chiedo perdono se stavolta parlo solo di uomini.

Di uomini gay.

Dei luoghi comuni con cui i ragazzi (una volta tanto sostantivo che non significa ragazzi e ragazze, ma solo i maschietti) vengono notati in base a elementi secondari del loro comportamento, linguaggio del corpo  e\o abbigliamento e per questo discriminati e catalogati, ancora oggi, nel 2012, come omosessuali in base a pregiudizi che sottendono una ideologia dell'omosessuale ferma agli anni 50 del secolo scorso.

Non mi riferisco tanto ai mass media, dove, pure, la figura del'omosessuale che passa è quella di Malgioglio, o della parodia che ne fanno i (maledetti) Soliti Idioti, o al travestittismo baraccone di Platinette; non mi riferisco nemmeno alla società così educata da questo potente mediatore sociale.

Stavolta mi riferisco alle persone omosessuali.

E non ai comuni cittadini, ma agli omosessuali della militanza.

Di quella avanguardia politica, cioè, che dovrebbe sensibilizzare le masse, per usare un altro cliché.

Mi capita di leggere un post del blog Michele darling. Lì trovo tre link.

Uno al post di Dario Accolla che avevo già letto e linkato a mia volta in un post precedente di elementidicritica.

Gli altri due link rimandano a due post su faccialibro.

Uno di Luigi Carollo, che non mi vede affatto d'accordo, e uno di Giovanni dall'Orto che non si riconosce nell'accostamento che Michele, sul suo blog, fa col post di Luigi Carollo. 
Non mi piace il primo intervento: ha troppe certezze, nel senso opposto.
scrive, a ragione, Giovanni in un commento al suo post.

Nel suo post Giovanni scrive una cosa sacrosanta:

No, ci sono molte cose che non quadrano.

Una delle quali, tuttavia, è il motivo per cui il Gay Center di Roma abbia fatto sapere Urbi et Orbi che il ragazzo suicida era gay.
Delle due l'una: o lo avevano saputo in via riservata dal ragazzo stesso, ed allora hanno tradito un preciso impegno a non mettere in piazza ciò di cui vengono a conoscenza nel corso del loro mestiere, oppure lo hanno detto senza averlo saputo, giusto per fare parlare della loro struttura elefantiaca che ha bisogno di un alto e costante livello di allarme sociale per giustificare la richiesta di alti e costanti contributi pubblici (...)

Non so cosa sperare, ma so cosa non voglio più: la gestione del disagio della generazione lgbt più giovane affidata ai professionisti della sfiga altrui. Colmare di denaro alcuni di noi perché pensino loro a tutto è solo un modo per garantirci che questi alcuni abbiano bisogno fisiologico del fatto che la sfiga altrui continui: ci campano.
Il sostegno peer-based dov'è finito? Cos'è rimasto del volontariato dopo venti anni di corruzione a furia di "progetti" e finanziamenti pubblici, che sono serviti a tapparci la bocca su quanto NON viene fatto in termini di prevenzione del disagio e di sostegno? Ma perché un adolescente gay, per avere una buona parola, deve avere un centro gay, e non può contare su altre strutture e luoghi? Non sarebbe suo diritto averne ovunque, anche se vive ad Aosta?
Ma in che razza di logica ci siamo fatti blindare?

Credo che questo evento luttuoso, al di là della spiegazione che potrebbe emergere nei prossimi giorni o non emergere affatto (...) abbia posto anche a tutti noi la domanda di: cosa stiamo combinando? E perché siamo ormai nella posizione da apparire ai nostri connazionali più come avvoltoi in attesa di cadaveri su cui piombare, che come esseri umani che vogliono eliminare dal mondo per quanto possono tutto il dolore degli altri (incluso quello dei genitori, e degli amici del ragazzo che s'è ucciso) perché lo sentono come proprio.
Osservazioni sacrosante, dette senza peli sulla lingua, che mi trovano profondamente d'accordo.
Chi mi conosce sa che diverse volte ho parlato della sciacallaggio di chi (e Gay Center non è il solo) mentre denuncia i casi di omofobia si fa pubblicità.
Alla domanda che si e ci pone dall'Orto dobbiamo dare tutti/e una risposta, in quanto cittadini/e, in quanto persone omosessuali e in quanto militanti.

Temo però che il post di dall'Orto, contenga, oltre a una critica sacrosanta, un pensiero, una ideologia, un modo di vedere il mondo che si basa sullo stesso patriarcato da cui scaturisce e su cui si basa l'omofobia, credo che, insomma, il commento di dall'Orto contribuisca, involontariamente ma concretamente, al clima di pregiudizio omonegativo.

Non mi riferisco tanto al paternalismo con cui Giovanni si riferisce ad Andrea descrivendolo come poco più che bambino arrivando a chiamarlo ragazzino termine che più paternalistico non si può.
Gli ho rilevato nei commenti il giudizio negativo che c'è dietro questo diminutivo, ma non sono riuscito a spiegarmi. Giovanni mi ha risposto tutt'altro, non centrando il punto che volevo fargli notare cioè il (pre)giudizio implicito di sufficienza con cui Giovanni guarda ai giovani adolescenti, arrivando a dire, nelle sue risposte al mio commento, che l'adolescenza non è una fase di per sé ma solo una terra di passaggio tra l'infanzia e l'età adulta.

Un modo di vedere l'adolescenza ottocentesco, alla libro Cuore che riscontriamo già nel suo post:
a volte i quindicenni si uccidono solo perché sono quindicenni: l'adolescenza è un'età fragile... per questo ha bisogno di tutto l'aiuto che possiamo darle.

Mi chiedo se oggi i suicidi tra adolescenti siano aumentati perchè l'adolescenza è una età fragile o forse perchè la società di oggi li ignora a tal punto da non dare loro strumenti per narrarsi al mondo da rendere la loro vita più difficile.

In ogni caso dall'Orto ignora che i suicidi tra adolescenti omosessuali sono comunque il doppio di quelli dei loro coetanei etero...

Non che tutti gli adolescenti omosessuali si suicidino perchè vessati nella loro omosessualità. Però essere omosessuali in una società omonegativa esacerba qualunque altra problematica possa indurre un adolescente a togliersi la vita.

Non è questo paternalismo, dicevo, ad avermi negativamente colpito nel suo post.

Mi colpisce una considerazione, del tutto ingiustificata e soggettiva che dall'Orto fa nel suo post quando scrive:
io sospetto che (...) il ragazzino fosse gay, ma non avesse ancora capito di esserlo, e che i suoi atteggiamenti un po' esibizionistici fossero il modo per fare un coming out giocato sul piano dell'estrosità anziché su quello dell'orientamento sessuale.

Ecco.

Andrea veste di rosa?  Si mette lo smalto (poco importa che lo facesse per evitare di mangiarsi le unghie) ? Ha degli atteggiamenti esibizionisti. Non siamo noi che notiamo una presunta differenza. E' lui che è esibizionista. che è eccentrico.

Chiunque deroga e si discosta dal cliché di genere che la società decide di darsi come standard, è eccentrico. Sarà. Ma io in Andrea non vedo un adolescente eccentrico. Io in Andrea vedo Andrea, e basta.
E non mi chiedo se sia gay o se è etero, mi chiedo solo se la società, la famiglia, la scuola ...e la militanza gay, lo lascino vivere in pace.

Purtroppo la risposta la consociamo tutt*.

Giudicare qualcuno come eccentrico perchè veste in maniera ritenuta strana, cioè diversa dalla norma, è già un pensiero discriminatorio.

Peggio ancora se in base a questa constatazione di eccentricità si cataloga la persona eccentrica come omosessuale.


L'occhio con cui dall'Orto guarda ad Andrea  e ne deduce l'orientamento sessuale è lo stesso occhio maschilista degli omofobi, con l'unica differenza che dall'Orto dopo aver così catalogato Andrea pensa che carino! e gli omofobi veri dicono che schifo!

Quello che dall'Orto non capisce, come ogni militante della sua generazione, cresciuto nell'epoca in cui l'omonegatività si esprimeva catalogando l'omosessualità come eccentrica,  è che l'eccentricità non solo non è prova di omosessualità (non tutti i gay sono eccentrici non tutti gli eccentrici sono gay) ma che il concetto stesso di eccentricità , oltre ad essere maledettamente patriarcale, cambia col tempo.
Oggi i ragazzi vanno in giro vestiti con orecchini, infradito, pantaloncini, magliette rosa, cerchietti per tenere fermi  i capelli lunghi che 40 anni fa li avrebbe fatti percepire tutti come eccentrici.
 Insomma quando dall'Orto si sente in diritto di affermare che  il ragazzino fosse gay, ma non avesse ancora capito di esserlo, mi sembra che stia esprimendo un pensiero che è lo stesso che sottende al comportamento di quei professionisti della sfiga altrui cui giustamente dall'Orto si lamenta venga assegnata la gestione del disagio della generazione lgbt più giovane.



Perchè fintanto che guardando l'atteggiamento o il modo di vestire di un ragazzo ci chiediamo se sia gay o etero stiamo discriminando, non solo ed esclusivamente l'omosessuale, ma la gioventù tout court.

Se da un lato è giusto e sacrosanto insistere sull'idea che l'omosessualità di per sé non sia  una cosa brutta, come si pensa anche quando la si usa solamente come insulto, e non è nemmeno una cosa bella nella misura in cui non lo è nemmeno l'eterosessualità (questa e quella pari sono) dall'altro ci si dovrebbe ricordare che certi atteggiametni e certi comportamenti appartengono al genere umano e che dovremmo smetterla di chiederci quale sia l'orientamento sessuale di qualcuno in base a una sua presunta eccentricità. Una eccentricità che è l'anticamera dell'omosessualità:  i suoi atteggiamenti un po' esibizionistici fossero il modo per fare un coming out giocato sul piano dell'estrosità anziché su quello dell'orientamento sessuale.

Cioè Andrea non era un ragazzo al quale piaceva vestire di rosa (ammesso e non concesso ciò fosse vero) e che questa sua passione denotava la sua persona non certo il suo orientamento sessuale. Andrea era un gay velato, nascosto, in fieri, sconosciuto a se stesso (ah la vocazione metafisica dell'essere umano non muore mai!) che cercava die spriemre la propria gayezza tramite una ostentata eccentricità.

ecco il pregiudizio che ha discriminato Andrea. Ecco il pregiudizio che ha contribuito al suicido di Andrea.


Se nemmeno un militante come Giovanni riconosce ad Andrea il diritto di andare in giro vestito come gli pare senza essere catalogato come eccentrico (ammesso e non concesso che Andrea andasse in giro vestito come si è detto) senza per questo mettere in causa il suo orientamento sessuale, addirittura pretendedndo di saperne di più di Andrea stesso, (era frocio ma non lo sapeva ma !?!?!) allora vuol dire che l'omofobia è davvero in ognuno di noi.

Ecco come e perchè l'omofobia non colpisce solamente le persone omosessuali  ma colpisce ognuno di noi, chiunque deroga dai cliché cui ci impongono di conformarci.

Non basta cambiare il (pre)giudizio sull'omosessualità da negativo a positivo, bisogna smettere di domandarci dell'orientamento sessuale delle persone soprattutto se a farci venire la curiosità è un atteggiamento, un modo di comportarsi o di vestirsi della persona della quale ci chiediamo ma è gay quella checchina là?

Altrimenti succede che Andrea non possa esprimere la propria personalità (non personalità gay, e nemmeno personalità etero, ma personalità e basta) senza essere discriminato dai vecchi cliché, che lo vogliono una checca di merda o ai nuovi cliché che lo vogliono gay, ma che carinoooo!

Non è importante sapere se Andrea fosse gay o meno è importante sapere che qualunque ne fosse il motivo Andrea veniva percepito come diverso.
Che qualcuno per offenderlo e rendergli la vita difficile credeva bastasse dargli del gay per offenderlo (la madre in testa che parla di diffamazione).

Finché ci saranno persone come Giovanni che non fanno a meno di chiedersi se Andrea fosse gay perchè non si conformava al cliché della mascolinità, ma ostentava eccentricità (suoi atteggiamenti un po' esibizionistici),  noi uomini e donne, etero e gay, militanti o meno, di strada dobbiamo davvero farne ancora tanta!


C'è ancora dell'altro.

Per stigmatizzare chi ha accusato compagni e compagne di classe di non averlo saputo accetatre per quello che era dall'Orto arriva a scrivere: 
  • se non era lui stesso certo di cosa fosse, come potete rimproverare gli altri attorno a lui per non averlo capito?

Insomma se ti vesti da donna ma non si capisce se sei gay o no perchè magari nemmeno tu ancora lo sai (?!?!) non pui accusare se gli altri ti percepiscono come diverso.

Certo, poi Giovanni si rende conto di quel che ha scritto e corre ai ripari:

  • E tuttavia, l'ultima cosa che io vorrei sono compagni e professori che inizino a dire: "Dunque, abbiamo capito che sei omosessuale, dato che..." Scusate, ma se lo facessero, sarebbe VIOLENZA.
Scusami Giovanni, non è proprio quello che hai fatto tu?



martedì 27 novembre 2012

Se questo non è un paese omofobo:
sulla notiza di un polziotto sospeso dal servzio per un mese per mancato decoro per aver pubblicato in un sito delle foto (non visibili a tutti) in cui è vestito in abiti femminili. I commenti omofobi della stampa e la sentezza patriarcale e paternalista del TAR

La notizia, data da Repubblica, ha fatto il giro della rete.

Un agente di polizia in servizio nella questura di Milano, pubblica su un profilo per incontri erotici nel quale ha un nick col suffisso trans alcune sue foto in abiti femminili e con il viso truccato, visibili solo dietro sua autorizzazione (quindi non pubbliche, ma criptate).

Il suo diretto superiore viene a sapere del profilo (mi chiedo come), incarica un altro poliziotto di verificare la presenza delle foto incriminate e, avutane conferma, fa scattare il procedimento disciplinare (siamo nell'ottobre di un anno fa): sospensione dal servizio per un mese.
L'agente fa ricorso al Tar della Lombardia che respinge il ricorso dando ragione al superiore.






La notizia viene subito ripresa da altri quotidiani e dai siti della rete con delle semplificazioni e dei titoli a dir poco negativi e discriminatori: 


Milano, poliziotto trans su sito di dating. Sospeso, ricorre, Tar gli dà torto
titola Blitz quotidiano

Il poliziotto che si vestiva da donna nel sito per trans titola Giornalettismo


Una ambiguità semantica  cavalcata da tutti in questa storia: dai quotidiani, dall'avvocato che ha preparato il ricorso al TAR e dai giudici del TAR medesimo.


Per il superiore del poliziotto la cosa disdicevole è il fatto che il poliziotto si sia vestito da donna. E' il travestimento ad avergli fatto perdere decoro.
Qualunque sia il motivo per cui il poliziotto si sia vestito da donna.

Motivi che possono essere molteplici  e sui quali il superiore (per quel che ne sappiamo da Repubblica) non si è minimamente espresso.

Per cui il ricorso dovrebbe basarsi su una semplice domanda:
perchè per un uomo è indecoroso vestirsi da donna? 

Invece l'avvocato accusa il superiore del suo assistito che la sospensione del servizio da egli presa sia stata una decisione omofobica: 
sanzionare il comportamento del ricorrente, per di più per condotte poste in essere nell'ambito della sua vita privata, dimostra senza alcun dubbio uno specifico intento di mortificarlo in ragione del suo orientamento sessuale, in una logica di chiara matrice omofobica che considera intollerabile l'omosessualità nell'amministrazione della pubblica sicurezza.
A Roma si dice che l'avvocato ce giobba, non so come si dica a Milano.

Non tutti gli uomini che si vestono da donna sono omosessuali.

Ci sono uomini etero che trovano eccitante indossare uno o più indumenti femminili (feticismo).

Ci sono uomini che si vestono da donna sulla scena (Drag Queen)   e non necessariamente sono omosessuali (Priscilla, una delle più famose Drag italiane, fuori dalla scena è un ragazzo etero).

In nessun caso una persona che si traveste da donna è una persona trans. 

Una donna trans è un uomo che si sente donna, nell'intimo, prima a prescindere dall'abbigliamento...


Il TAR avrebbe dovuto rispondere maddechè, invece la risposta conferma implicitamente la visione tendenziosa dell'avvocato e risponde alla domanda che ho posto io all'inizio:

È fuorviante la valorizzazione di profili attinenti a una presunta discriminazione sessuale, che la difesa del ricorrente ha sagacemente prospettato per eludere l'autentica ragione della sanzione (...) una condotta in contrasto con gli obblighi di decoro imposti dall'appartenenza alla polizia di Stato, soprattutto in ragione dell'oggettiva e potenziale diffusione di tali manifestazioni" [sui social network]. (...) Si pensi a possibili attività ricattatorie per estorcere notizie o informazioni di servizio esercitabili nei confronti dell'agente da parte di chi fosse entrato in possesso di quel materiale.

Dunque se in un primo momento si conferma, senza spiegarla, che per un uomo vestirsi da donna è indecoroso, dicendo, com'è giusto che sia, che la cosa non ha nulla a che fare col pregiudizio omofobico si trasforma improvvisamente in qualcosa di diverso, l'idencorosità si trasforma improvvisamente in ricattabilità.

Tradendo dunque che il motivo del superiore non è il decoro ma la ricattabilità che deriva dal pubblico ludibrio.

Se io ho un comportamento indecoroso non posso venire ricattato per quello, posso essere rimproverato, sanzionato, sgridato, ma non ricattato.

Vengo ricattato se faccio qualcosa di illecito, qualcosa che l'opinione pubblica ritiene talmente negativa da indurre chi fa quella cosa a fare di tutto per tenerla nascosta. Anche accondiscendere al ricatto. Il che,fosse vero, renderebbe come minimo il poliziotto deficiente visto che di solito che è ricattabile cerca di tenere l'oggetto della propria ricattabilità il più nascosta possibile, mentre il poliziotto ha pubblicato le foto di sua sponte...

Invece la ricattabilità sta tutta nella mente dei giudici del TAR e in quella del superiore del poliziotto i quali sono talmente infastiditi che un poliziotto abbia pubblicato delle foto in cui compare come un travone di merda da ver mandato su tutte le furie il tradimento di un maschio che fa perdere decoro non già all'arma ma ai maschi come i giudici del TAR e superiore del poliziotto che non si travestirebbero mai.


Patriarcato, maschilismo, paternalismo e, ancora omofobia, transfobia e chi più ne ha più ne metta.


Fossimo ai tempi di Vito Russo o del FUORI avremmo già riempito le aule del TAR di Milano con un sit in pacifista.

Invece dobbiamo digerire degli articoli che sono ancora più discriminatori della sentenza del TAR o del superiore del poliziotto.



La confusione tra travestitismo e transuessualità sono usate dalla stampa ad hoc per rimestare nel torbido, a discapito del poliziotto, descritto con termini negativi senza esplicitare la condanna morale, che c'è ma rimane implicita a cominciare dall'articolo di Repubblica, frimato da Oriana Liso che scrive:
Un agente di polizia, in servizio in un reparto delicato della questura di Milano, apre un profilo personale su un noto sito di incontri online.

I corsivi sono miei. 

Che vuol dire in servizio in un reparto delicato?
Delicato rispetto che cosa?
Le foto in drag*
O la sua ricattabilità?
Nel resto dell'articolo non si specifica questo aggettivo che dunque serve solamente a sottolineare l'incauta mossa del poliziotto, dando così implicitamente e surrettiziamente ragione al TAR.

Un noto sito di incontri. Come noto locale. Noto giornale. Noto parco.
Posti loschi di cui si tace il nome ma che tutti conoscono.

Un altro modo per dare colore (negativo) al comportamento del poliziotto.

Sempre meglio di Giornalettismo che fa diventare il noto sito di incontri in un sito per trans.





* in drag = vestito da donna, in costume, usato originariamente per riferirsi ad attori  vestiti da donna con scopi comici 

lunedì 26 novembre 2012

Terza e ultima serata di Queering Roma. Bilancio più che positivo.

Sale gremite anche per questa terza, conclusiva giornata di festa, anche se la capienza della Casa del cinema è meno della metà di quella dell'Aquila. Però il posto è di alto prestigio istituzionale e la gioia di vedere dei bambini con palloncino davanti l'ingresso della Casa del Cinema (a pochi passi c'è il cinema dei piccoli e la Casa del cinema è un posto per cinefili di qualunque età) dove campeggia il manifesto di Queering, senza che nessuno abbia nulla da ridire, dà una gioia impagabile.
Grazie all'acume di Armilla  che ha proposto un manifesto, tutto al maschile, che allude all'omoerotismo senza espliciti dettagli anatomici, mantenendosi in una spendibilità che fa della decenza non il fulcro di un moralismo borghese ma il fulcro dell'erotismo esplicito ma non ostentato di un ragazzo che fa la verticale in un paio di pantaloncini (il messaggio passa lo stesso e la mamma non può proprio lamentarsi...).

La memoria è uno dei temi anche di questa terza e conclusiva giornata di proiezioni.
La memoria storica del movimento, sia quello americano, nello splendido documentario della HBO su Vito Russo, una delle (tante) figure chiave della storia statunitense e quella italiana in documentario importante sulla storia del F.u.o.r.i., sia quando la memoria riguarda quella della vita di una singola persona, il cui autore, in un film lisergico e molto indipendente racconta la storia propria e della madre, curata ad elettroshock da quando aveva 20 anni...



Vito (USA, 2011) di Jeffrey Schwarz racconta con uno stile documentaristico munifico la vita e l'impegno politico di Vito Russo, un italoamericano  divenuto famoso come esperto di cinema e omosessualità (è così che io lo conosco sin dai tempi del liceo...) con il libro (discutibile) The Celluloid Closet del 1981, che legge omosessualità dappertutto anche quando due cowboys accennano alla grandezza delle loro colt...  che è un punto di riferimento per tutta la comunità lgbt statunitense prima con la GAA Gay Activist Alliance e poi, durante gli anni dell'aids, con Act Up con la quale Russo denunciò la politica criminosa di silenzio dell'amministrazione Reagan che non informava né prendeva provvedimenti per l'aids allora ascritto al solo mondo omosessuale maschile. Tra immagini d'archivio, tra cui splendide interviste di Vito e interviste a familiari e amici, la vita politica e di impegno di Vito viene analizzata dal documentario parallelamente a quella privata, al suo fidanzato che morì di aids fino alla sua stessa morte avvenuta nel 1991.
Un documentario impeccabile, forse eccessivamente apologetico,  che tutti dovrebbero studiare soprattutto in Italia per capire come ci si muove per contestare le dichiarazioni omofobiche di un politico o di una istituzione pubblica.
All'epoca Vito e gli altri organizzavano degli  ZAP delle manifestazioni pubbliche in cui decine e decine di attivisti protestavano con dei sit-in od occupando gli uffici pubblici dove il politico di turno o il rappresentante delle istituzioni aveva fatto un commento omofobico. Oggi invece in Italia ci accontentiamo di un piccato (ma spesso debole) comunicato stampa...

Unica constatazione negativa sta nel rilevare come anche Russo fosse soggetto ai cliché dell'omosessuale  e dei sottesi stereotipi di genere e rivendicasse come segno distintivo di una personalità omosessuale l'effeminatezza , perchè non gli piaceva fare sport o fare a pugni...


Enrico Salvatori ci ha poi presentato il frutto di un lavoro di ricerca d'archivio Fuori dal video – Il movimento gay sul piccolo schermo (1972-1982) realizzato su materiali video delle Teche Rai coi quali mette in risalto al contempo come negli anni settanta e ottanta la televisione parlasse di omosessualità con un approccio più scientifico e meno pieno di pregiudizi (anche se si parlava di sessualità e non di affettività) mentre il Fuori accedeva allo spazio televisivo grazie ai programmi dell'Accesso (spazio aperto in seguito a una sentenza della Consulta oggi dimenticata...), e di come il movimento già allora parlasse di molte delle rivendicazioni contemporanee matrimonio compreso (negli anni settanta. checché ne dicesse contro Mario Mieli, lui, non l'associazione). Stessi temi e stesse cosntatazioni anche guardando Fuori! Storia del primo movimento omosessuale in Italia (1971-2011) (Italia, 2011) di Angelo Pezzana ed Enzo Cucco nel quale si ricostruiscono le principali azioni politiche e culturali del F.U.O.R.I il Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano (ma l'acronimo era una scusa per usare la parola fuori dal coming out inglese, anche perchè, ammette lucidamente Angelo Pezzana eravamo borghesi e non rivoluzionari e demmo così a quella parola un significato nuovo rispetto quello con cui veniva usata allora), dimostrando come tra gli anni settanta e ottanta anche in Italia il movimento riusciva a fare politica in una maniera molto più incisiva di quanto non riesca a fare oggi.
Forse un po' verboso e montato, a tratti,  con poco ritmo, il documentario si presenta come il primo di una serie in cui chiunque può proporre il recupero della memoria storica di allora cui la fondazione Sandro Penna di Torino, recentemente rinominata fondazione Fuori, vuole farsi tramite per il recupero storico delle gesta di quel movimento e non solo.

Deludente invece Homo promo (USA, 1993) di Jenni Olsen, non per il film in sé, il montaggio di trailer americani di film del mainstream americano del periodo 1953-1977 che parlano di omosessualità, ma per le professionalità della Casa del Cinema che lasciano la sala kodak abbandonata a se stessa e quindi il film viene proiettato senza sottotitoli mandando in tilt la sala (gremitissima)  che non capisce una parola di inglese (?!) professionalità che dopo ben due interruzioni hanno sbagliato a scegliere dal meno del dvd e hanno mandato non già i promo del film ma quelli della distribuzione del film stesso...
Insomma un semidisastro non imputabile però a Queering ma alle burocrazia della Casa del Cinema (come può una persona gestire la programmazione di due sale?).


Poi dopo un'ora di buco tra una proiezione e l'altra (unica distrazione in una programmazione altrimenti attenta e incalzante) l'ultimo incredibile film, dell'ormai lontano 2002, Tarnation  (USA, 2002) di Jonathan Caouette nel quale l'allora esordiente e bellissimo attore-regista racconta la propria storia di bambino vissuto coi nonni e in famiglie affidatarie per via dei continui ricoveri psichiatrici della madre, parallelamente ai propri problemi mentali (disturbo di de-perosonalizzazione in seguito a uno spinello alla formaldeide) e all'adolescenza vissuta e agita come ragazzo gay (non mi piace nemmeno succhiare - dice- ma sento che devo farlo) sempre sul crinale di un gusto tra l'affabulatorio, lisergico e psichedelico, e gusto per memoria. Ipnotico, straziante, bellissimo, il film assembla materiali diversi: fotografie, filmini amatoriali (e non) in super8, vhs, che ritraggono Johnatah da bambino e preadolescente, montato e sviluppato come un omaggio alla video arte. Prodotto con soli  218 dollari usando il software gratuito iMovie su un computer Macintosh (mentre 400mila dollari sono stati spesi budget dal distributore per audio, stampa, musiche e tutti gli aggiustamenti audio/video per portare il film nelle sale) Tarnation ha vinto innumerevoli premi.
Il legame tra Johnatan e la madre resta nel cuore dello spettatore quanto la bellezza maledetta sua e del suo altrettanto bellissimo fidanzato...


Una terza edizione di Queering che mantiene lo spirito della festa di film a tematica omosessuale e trans con la quale nasceva nel 2012 e che fa ben promettere per la prossima edizione che, anticipa Armilla che l'ha organizzata, vuole insistere sulla strada della cultura letteraria e della memoria storica.
Non possiamo che essere d'accordo e fare i nostri migliori auguri aspettando con ansia Queering numero 4.


Sulla donna trans picchiata da due romani: articoli mendaci e scritti con un italiano stentatissimo.

Roma, l'alba del 25 novembre. Una donna trans, di 26 anni, in stato di ebrezza, chiede un passaggio a due uomini, di 30 e 32 anni,  che si trovano a bordo di un'automobile, in transito a via Longoni, tra la Collatina e la Prenestina.
Chiede di essere accompagnata sull'appia nuova.
I due uomini si rifiutano di accompagnarla.
La donna prende la vettura a calci e pugni.
I due uomini scendono dalla macchina e la riempiono di botte, lasciando la donna a terra.
I carabinieri, chiamati da un passante che ha trovato la donna, identificano i due aggressori, che, pur essendosi allontanati, erano ancora nelle vicinanze del luogo dell'aggressione perchè la macchina era andata in panne e li denunciano a piede libero.

Questi, grosso modo, i fatti, così come li deduco dai vari articoli (sic!) pubblicati sulla rete, non da blog come il mio ma dall'Ansa, dal Messaggero e da Repubblica. E anche da alcuni blog.

La notizia è riportata in maniera capziosa, sfruttando l'identità della vittima, una trans di origini brasiliane di 26 anni, lasciando intendere che se è stata aggredita è perchè la donna è una trans in un italiano stentato, in alcuni casi, inesistente.

Catalogare implicitamente l'aggressione come aggressione transofobica, anche se non tutti usano questo aggettivo, è cosa inquietante e pericolosa.

Inquietante perchè sono tutti così senza scrupoli da vendere la notizia catalogandola tra le aggressioni transfobiche, categoria alla moda.

Pericolosa perchè dà ragione a quanti e quante asseriscono che una legge contro la omo-transfobia potrebbe essere usata come giustificazione per camuffare un reato.

Sembrerebbe proprio questo il caso.

Fermo restando che nessuno dovrebbe picchiare nessuno, la reazione dei due uomini, esagerata, violenta e irricevibile, non nasce dall'identità dell'aggredita (toh guarda una trans ubriaca per strada, scendiamo dalla macchina e picchiamola)  ma dal fatto che abbia preso la macchina dei due uomini a calci e pugni.

Arroganza e violenza. Della trans E dei due uomini. Questa e quella per me pari sono.

Certo questa considerazione non giustifica assolutamente la reazione dei due uomini, che infatti sono stati denunciati a piede libero dai carabinieri, ma illumina di una luce diversa l'accaduto.


Ovviamente va sempre considerato che se al posto della donna trans ci fosse stato un signore di 40 anni, grande e grosso, forse i due uomini se ne sarebbero andati.
Forse a dare loro la baldanza degli aggressori è stata la natura fragile dell'aggressora. 
Forse. Non posiamo saperlo.

Si tratta di  una reazione da bulli, magari opportunisti e vigliacchi, ma bulli non necessariamente transfobici.

Certo qualche domanda un giornalista di cronaca dovrebbe pur farsela.

Visto che tutti riportano che la richiesta è stata reiterata direi che la macchina è stata presa a calci e pugni da ferma e non in movimento.

Dunque perchè i due si sono fermati? Sono stati costretti a fermarsi perchè la donna ha occupato la carreggiata?
O si sono fermati spontaneamente?
Quando si sono accorti che la donna era ubriaca?


La dinamica dell'accaduto insomma non è del tutto chiara non si ha un quadro completo.

Ma penso di poter affermare ragionevolmente che la donna non sia stata aggredita solamente perchè trans.

Invece post e siti di quotidiani sfruttano l'identità della donna, che ha aggredito per prima, per montare una notiza che non c'è, o che, comunque, è sensibilmente diversa da come viene riportata.

Il nobel della bugia va all'Huffington Post che titola:
Transfobia, la fanno salire in auto per un passaggio e poi la picchiano: due denunciati a Roma
Eh no. I due si rifiutano di farla salire in auto. La loro auto viene presa a calci e pugni proprio per questo rifiuto e dopo i due uomini (a 30 anni sei uomo non ragazzo e che cazzo!) scendono per picchiarla.







Non è da meno l'Ansa che lascia intendere che la donna sia sata picchiata perchè trans o perchè ubriaca
Transessuale ubriaca picchiata a Roma
Transessuale ubriaca prende a calci e pugni un'automobile e viene in seguito picchiata sarebbe un titolo più onesto...

Peggio ancora La Repubblica lascia intedenre che la donna sia satta aggredita perchè aveva chiesto un passaggio:
Trans picchiata a sangue per aver chiesto un passaggio

Anche Messaggero presenta la notiza nello stesso modo:
Transessuale ubriaca chiede passaggio: picchiata da due romani
Per il resto i due articoli, non firmati, sono identici.

Sono titoli. Specchietti per le allodole. Perchè poi negli articoli la vera dinamica dei fatti viene riportata e uno deve dunque mentalmente cambiare il significato di quel titolo...


Purtroppo il pressappochismo non finisce qui.

Se per una volta tanto Messagero e Repubblica usano Transessuale al femminile alcuni siti continuano a usare il maschile mentre alcuni corredano la notizia con foto a dir poco tendenziose
foto pubblicata da romatoday.it
insinuando la prostituzione come fa romatoday.

Molti siti poi parlano di arresto dei due ragazzi.
In realtà sono entrambi a piede libero, cioè in attesa di giudizio ma senza custodia cautelare perchè il reato commesso non la prevede...

Eppure questo non vieta di scrivere:
Roma, arrestati 2 ragazzi per pestaggio transessuale: voleva passaggio
E' di Virgilio che vince il premio del sincretismo: pestaggio transessuale che in italiano non significa nulla, non pestaggio di una transessuale transessuale è proprio il pestaggio, non so, forse perchè effettuato con una borsetta, o calzando scarpe col tacco a spillo, boh...

Insomma, tutta la mia solidarietà alla ragazza trans che è ricoverata ancora in ospedale (checché ne dicano Messaggero e Repubblica che sbagliano posizione a un avverbio e scrivono: Le condizioni della vittima, che inizialmente è stata ricoverata in prognosi riservata per varie fratture al volto e vari ematomi alla testa, sono migliorate ma dovrà essere sottoposta ad un intervento maxillo-facciale) ma dopo che sarà operata beh una settimana di galera per aver preso l'automobile a calci e pugni secondo me dovrebbe proprio farsela.

Ora se non mi sorprende lo sciacallaggio dei quotidiani consiglio cautela a tutti i siti che vorranno usare la notiza per lagnarsi dell'enensima aggressione transofibica. Attenzione che così fate il gioco di quanti dicono che noi gay lebsiche e trans ci inventiamo le notizie.
beh, stavolta forse non hanno proprio tutti i torti...

domenica 25 novembre 2012

Queering Roma terza edizione: secondo giorno di programmazione


Sale gremite e un'attenzione entusiasmante per le mostre ospitate dalla Casa del Cinema. La terza edizione di Queering Roma, festa del cinema lgbt della capitale, oltre a una nutrita serie di proiezioni vede anche la presenza di due mostre.

C’era una volta L’Occhio, L’Orecchio e La Bocca è una mostra documentaria, a cura di Francesco Pettarin, a partire da materiali gentilmente forniti da Gianni Romoli e Silvia Viglia sul cineclub trasteverino “L’Occhio, L’Orecchio e La Bocca” che si impose per l’inventiva della programmazione, come le famose maratone nelle quali si poteva tirare mattino tra film, documentari, spezzoni e sfizi alimentari.
Un luogo di ritrovo delle varie comunità culturali romane, pre- estate romana nicoliniana, fra le quali anche, ma non solo, quella gay.
Il percorso espositivo presenta locandine, programmi, bozzetti, che tesimoniano l'impegno cultuale di un'epoca che non c'è più...
La mostra è dedicata a Roberto Farina e Flavio Merkel.


Foto di Roberto Foddai
La seconda mostra è Gender Utopia  una collettiva fotografica a cura di Francesco Paolo Del Re che presenta fotografie di Alessandra Baldoni, Jacopo Benassi, Eleonora Calvelli, Fanny Coletta, Roberto Foddai, Aloha Oe, Claudia Pajewski, Angela Potenza, Mustafa Sabbagh e Paola Serino.

Foto caratterizzate da una spiccata preferenza per la ritrattistica, attraverso la quali testimoniare le diverse declinazioni del maschile e femminile decostruendo la regimentazione in cui la cultura ufficiale li vuole separati e idealmente oppositori.
La de-costruzione assume una valenza politica come percorso non solo possibile ma necessario per la riscrittura del sé desiderante rendendola una utopia possibile
foto di Claudia Pajewski
Un territorio – ha scritto Francesco Paolo Del re – per definizione franoso e mutevole, in cui è forse impossibile radicare ma in cui ha senso fiorire a piacimento. In cui la dimensione processuale del genere può illuminare stupori di sguardi senza foglie di fico, che si incrociano lungo le traiettorie della scoperta di un’alterità inebriante”.









Dei film e dei documentari proposti  in questa seconda giornata di festa abbiamo scelto quelli dell'omaggio a Ottavio Mai.

Regista e poeta, omosessuale militante, Ottavio Mai ha notevolmente contribuito a rendere visibile il mondo gay-lesbico in anni molto omofobi. Classe 1946, romano di nascita ma vissuto in Piemonte, orfano di madre a soli due anni e praticamente poco dopo, anche se non di fatto, orfano di padre, Mai incontra Giovanni Minerba nel 1977 con il quale milita nel F.U.O.R.I. e nel Partito Radicale. Nel 1981 costituisce l’Associazione Culturale “L’Altra Comunicazione”, sempre con Minerba, realizzando sino al 1992 22 lavori in video e pellicola che si impongono alla critica e ricevono molti premi ottenendo vari riconoscimenti e ricevendo ottime critiche. 
Decide di lasciarci l’8 novembre 1992.
Di Mai Queering presenta tre film: due documentari da lui firmati insieme a Giovanni Minerba,  e un terzo film a lui dedicato.
I due documentari firmati a quattro mani con Minerba sono un documento prezioso e testimoniano di un impegno civile e politico in tempi ancora più difficili di quelli nostri.

Il primo lavoro è Il fico del regime (Italia, 1991) di O. Mai/G. Minerba, un documentario 
dedicato a Giò Stajano, il primo uomo a essere diventato una vera donna, venuta a mancare lo scorso anno.   
Il documentario dopo aver introdotto le origini storiche di Gioacchino Stajano Starace, nipote di Achille Starace, figura chiave del regime fascista italiano, lascia spazio a Giò stessa che racconta in prima persona vicissitudini personali e carriera artistica, come attore, romanziere, giornalista, rpima e dopo il camabio di sesso.
Dal romanzo autobiografico del 1959 Roma Capovolta, sequestrato per oltraggio al pudore, che attirò l’interesse di Fellini che lo volle per interpretare il ruolo di un omosessuale ne La Dolce Vita personaggio ripreso in film di Risi, Sordi, Freda e Steno alla sua collaborazione con Men, rivista per soli uomini, dove tenne la rubrica Il salotto di Oscar W. dove risponde con arguzia alle lettere aggressive e piene di sfottò dei lettori, il film è un documento importantissimo che mostra come l'omosessualità era vissuta e agita dalle generazioni precedenti di omosessuali, senza che i due autori si facciano sentire in maniera chiara ed evidente, lasciando le glosse ad alcuni interventi in video di Angelo Pezzana. 
Nell'imbarazzo che Giò  lamenta averlo colpito nell'interpretare un ruolo per lui troppo maschile e nella decisione di interpretare in seguito solamente ruoli a lui più consoni,  cioè ruoli di checca (come si rivolgono al personaggio da lui interpretato Gassman e Tognazzi nel film di Risi In nome del popolo sovrano) secondo il più trito e vieto cliché dell'epoca, nonostante Giò millantasse una militanza che pretende gli abbia fatto interpretare quei ruoli con spontaneità e senza indulgere in macchiette o cliché, sta tutto il limite di un personaggio discutibile e di un documentario che oggi mostra i segni discutibili di una ambiguità di fondo: quella di non aver saputo cogliere e distinguere la più omofobica delle confusioni epistemologiche tra identità di genere (sentirsi uomo o donna, come Giò che nel 1981 farà il cambio di sesso) e orientamento sessuale, sentirsi attratti sessualmente e sentimentalmente da persone dello stesso o dell'altro sesso o di entrambi che con l'identitò di genere nulla a a che fare. Io sono e mi sento uomo (donna) anche se vado a letto e/o amo altri uomini (donne).
Una confusione forse comprensibile in un omosessuale nato nel 1931, molto meno in un film datato 1991.
Segno evidente che nonostante un movimento omosessuale vituperato la comunità lgbt di strada ne ha fatta davvero tanta nei 21 che ci separano dal documentario.
Questa omertà nel non criticare l'equiparazione tra effeminatezza e omosessualità, tra essere o sentirsi uomo o donna e omosessualità, rende questo documentario inviso agli occhi di una militanza moderna, contemporanea, più radicata in un quotidiano di militanza e davvero meno borghese di quanto non sia la vita eccentrica e sopra le righe di un omosessuale diventato donna per conformismo e non certo per provocazione

Più interessante Partners (Italia, 1990) O. Mai/G. Minerba, un film di fiction nel quale seguiamo 5 anni di vita di Piero, un giovane omosessuale (un convincente e avvenente Giacomo Ravicchio) che impara a convivere con la propria sieropositività. Tra cure alternative a quelle ufcciali, all'epoca scarne e inesistenti, seguite con meticolosa cura, al patto implicito fatto col virus, io ospito e accolgo te se tu non mi uccidi, dice una sera al virus Piero, alla ricerca di partner occasionali per fare sesso ai quale Piero non si sottrarre dall'informarli sulla propria sieropositività uno dei quali diventa un partner fisso, all'inizio senza sesso per i timori del contagio, riuscendo poi a vincere la paura, il film è un onesto, efficace e sentito spaccato di una generazione e di un periodo storico ben preciso anche se, confrontandolo con film del calibro di Philadelphia del 1993, l'entroterra italiano è anni luce indietro ripeto quello americano, ma certo non per volontà dei due autori che riescono anzi a comporre un film scevro da retorica e pietismi.

Peccato solo per un difetto tecnico che accomuna i due lavori. Un problema cronico sul versante audio che spesso non fa intender bene i dialoghi, tanto del primo quanto del secondo film.


Deludente l'inconcludente, confuso e pessimista El niño Pez (t.l. Il bimbo pesce) (Argentina/Francia/Spagna, 2009) di Lucía Puenzo tratto dal romanzo omonimo della stessa regista (pubblicato in Italia per i tipi di La Nuova Frontiera – Liberamente) che racconta l'amore irresistibile tra due ragazze in un contesto di disparità sociali (una delle due ragazze lavora a servizio presso i genitori dell'altra) culturali, etniche e politiche, distraendo l'attenzione dall'amore delle due giovani con sottotrame pseudo thriller dove un giudice che vuole denunciare la corruzione di un Paese viene ucciso proprio dalla serva (e la figlia amante della serva non batte ciglio) con un gusto per il macabro, il sordido e il sadico che si era già visto in tralice nel sopravalutato e in realtà discutibilissimo XXY sempre di Puenzo che fa dell'eccesso eccentrico e morboso la coordinata centrale di un omoerotismo irricevibile e, per fortuna, tiepidamente accolto dal pubblico.



Zenne Dancer (Germania/Olanda/Turchia, 2011) di Caner Alper e Mehmet Binay racconta con un gusto squistamente cinematografico per il racconto di invenzione una storia purtroppo vera di discriminazione e pregiudizio contro l'omosessualità in Turchia, tra famiglie rigide e inamovibili, e Stato che riforma gli Zenne (le checche) solo se i giovani presentano prove inequivocabili della loro vita di sodomiti (foto eloquenti... E non è una invenzione cinematografica).
Così anche il giovane Ahmet che non zenne non è uno zanne è costretto a fingersi checca  per essere riformato e ottenere il passaporto per andare in Germania col suo compagno Daniel, fotografo di fama venuto in Turchia per ritrovare se stesso in seguito a un incidente durante le riprese di un reportage in Afganistan quando alcuni bambini sono saltati su una mia mentre lui faceva loro delle foto. Il padre di Ahmet pensa bene di sparare al figlio in pieno petto per lavare nel sangue l'onta dell'omosessualità. Purtroppo non si tratta di invenzione e durante i titoli di coda vediamo il vero Ahmet (ancora più maschile del suo doppio di finzione) in foto e anche in un breve spezzone video. Un film lucido che non si sofferma solamente sulla condizione delle persone omosessuali ma anche su quella delle dome in uno stato come la Turchia che, pure, fa parte della comunità europea, come d'altronde ne fa parte anche l'Italia che inq uanto a omofobia non ha nulla da invidiare...

Lo slot delle 22 e 30 prevede la proiezione di Una notte ancora (Italia, 2012) un corto girato con eleganza e una splendida fotografia che racconta dell'ultima notte di una coppia di ragazzi, con uno dei due è più giovane (ma non così tanto) dell'altro, il quale, dopo diversi anni di convivenza, decide unilateralmente e all'improvviso di concludere la storia. Da allora l'abbandonato frequenta solamente un escort (sempre lo stesso e molto meno bello del ragazzo che è andato via...) col quale rivive quell'ultima notte.
Capisco che l'immaginario collettivo omoerotico cinematografico italiano sia ancora vergine e che abbisogni di ogni tipo di storia. Mi chiedo però che effetto avrebbe avuto questa storia se al posto del ragazzo giovane ci fosse stata una ragazza giovane e al post dell'escort una prostituta...
Un po' di sano dolore e poi andare avanti no?

Comunque beato il protagonista che può pagarsi un escort.
Io manco posso pagarmi le bollette...

E' poi la volta di Lovely Man (Indonesia, 2011) di Teddy Soeriaatmadja racconta di un omosessuale che si prostituisce, travestito da donna, e che ha rubato dei soldi a una bada losca per potersi operare e stare con l'uomo che dice di amare. La visita imprevista della figlia che non vede più da 15 anni (quando la ragazza ne aveva quattro) anche se a lei e a sua madre continua da allora a mandare mensilmente dei soldi, venuta a consocere il padre, ne sconvolge i piani.
L'uomo Prima la rifiuta, poi accetta di trascorrere qualche ora con lei se le promette di non cercarlo in futuro. Passano una notte tra racconti e confronti, dove la figlia conosce anche le amiche di battuage del padre, e accetta i suoi consigli sulla gravidanza indesiderata, che è il vero motivo ad averla condotta lì. Alla fine, prima del commiato il padre dà i soldi che gli servono per l'operazione alla figlia e ribadisce che non si rivedranno più.
Commovente quando vediamo padre e figlia ridere circondate dalle altre travestite, o quando il padre si compiace che la figlia dica della gravidanza al suo ragazzo, che ancora non lo sapeva, rassicurandola che non è detto che lei faccia gli stessi suoi errori solo perchè sono padre e figlia.
Soeriaatmadjaha il gusto nellos viluppare le scene anche visivamente e sa restituire con tanti dettagli un rapporto che è alle prime armi tra figlia e padre scena però il film si arrende completamente ai limiti culturali con cui un omosessuale filippino vive la propria identità sessuale, preferendo normalizzarsi operandosi da donna piuttosto che cercare un uomo suo pari col quale vivere liberamente una storia d'amore. Discutibili alcuni dettagli che sono gli unici coi quali il film ci spiega il personaggio del padre: a tutti piace farsi venire in bocca (come il film lascia più che intendere) magari non a tutti piace che a farlo sia un cliente e non la persona che amiamo o qualcuno che abbiamo scelto liberamente perchè ci piace fisicamente e non perchè ci paga.
Così com'è triste pensare che l'unico modo che l'uomo abbia per rivendicare la propria omosessualità sia quella di vestirsi da donna e prostituirsi. Purtroppo però il film non inventa ma constata una realtà diffusa in un Paese come le Filippine dove il conformismo eterosessista permette all'omosessualità solo questa modalità di esistenza. 

Dopo tutto vivere in Italia non è poi così male...

sabato 24 novembre 2012

L'omofobia, la distorsione, la menzogna: su un dispaccio Ansa doppio sul sucidio di Andrea lo studente romano di 15 anni.

Chiedo scusa a tutte le persone che vogliono bene ad Andrea se torno ancora sulla sua morte ma non posso tacere dopo aver letto un pessimo, a dir poco, dispaccio Ansa, pubblicato ieri sera alle 21 e 56.
Il dispaccio riporta prima le parole del presidente della Repubblica poi quelle della madre di Andrea.
Se dobbiamo credere a quelle parole così come le riporta l'Ansa sono parole discriminatorie e omofobiche.
Non quando la madre di Andrea nega che il figlio fosse stato gay
"L'unico colore rosa è quello della sua sensibilità, se fosse stato gay me lo avrebbe detto, senza avere vergogna o pregiudizi - ha aggiunto - lui lo sapeva, io c'ero sempre per lui. La foto su Facebook in cui appariva truccato era di carnevale ma lo hanno voluto deridere e farne un mostro". "Non avrò pace finché non avrò giustizia".
Non importa infatti se Andrea fosse gay o meno.
Quello che importa è che sia stato preso in giro e che l'omosessualità, presunta o vera, sia usata come una offesa.

L'omofobia riguarda tutte le persone che vengono discriminate tramite l'odio omofobico, tramite il giudizio negativo di cui si investe l'omosessualità che, considerata infamante, viene usata come un'offesa, come un'accusa.

Però, pur comprendendo e rispettando il dolore della madre di Andrea se è vero che ha detto "Ora la mia forza sono gli amici veri, quelli che lo hanno diffamato li voglio fuori" bisogna ricordare a questa donna, stravolta e piena di dolore, che dire di qualcuno che è gay non vuol dire diffamarlo e che se lei lo pensa davvero allora forse per suo figlio
Andrea, dirle che era gay non sarebbe stato così facile.
Perchè quando la madre ha detto se fosse stato gay me lo avrebbe detto, senza avere vergogna o pregiudizi si capisce subito che c'è qualcosa che non va. Adesso vuoi vedere che i pregiudizi ce l'hanno le persone omosessuali e non chi le discrimina !!!

Il Paese ha bisogno di fare un salto di qualità e di capire che il pregiudizio ce l'ha la società, che cresce i propri figli e le proprie figlie nella discriminazione.

L'omosessualità non è una diffamazione.


Il dispaccio Ansa continua con un altro articolo firmato da Davide Muscillo che continua a riportare dati e fatti che non hanno più riscontro.
Una maglietta rosa, vestiti eccentrici, smalto alle unghie.
Ho già pubblicato foto del profilo di facebook dove Andrea veniva preso in giro. In nessuna di esse c'è lo smalto, i vestiti eccentrici sono, per stessa ammissione della madre, un costume di carnevale.
Per il resto per le foto che abbiamo a disposizione Andrea vestiva in maniera non eccentrica.
Non era l'eccentricità a farlo prendere di mira dai compagni. L'eccentricità gli veniva attribuita perché era preso di mira, non sappiamo perchè.
Preso in giro dicendo di lui che vestiva di rosa, che era brutto, stupido, che era meglio vestito da donna che da ragazzo.

Non sono i commenti di chi odia un ragazzo perchè gay.

Sono i commenti di chi per offendere un ragazzo pensa che può dirgli che è gay.

Anche questa è omofobia.

E può colpire tutti e tutte.

Non solo le persone lgbt.

Quindi smettiamola di scrivere che la comunità omosessuale stra usando questo ragazzo per lamentarsi di qualcosa che non c'è visto che Andrea non era gay.

Finché ci sarà anche solo una persona che può credere che per offendere qualcuno o qualcuna può dirgli che è frocio o lesbica siamo tutti e tutte vittime dell'omofobia.

E' come quando per offendere una donna le si dà della puttana.

Il maschilismo c'è ma non perchè la donna sia davvero una prostituta...

Davide Muscillo come tutta la Stampa italiana sempre più corrotta da un'agenda scandalistica nonostante sia obbligato a dire per dovere di cronaca che
La Procura di Roma ha già avviato un'inchiesta sul suicidio ma al momento non ci sono indagati o ipotesi di reato.
per rintuzzare l'ipotesi che i compagni  e le compagne di classe  e della scuola di Andrea siano i veri e le vere responsabili del suicidio arriva a scrivere che
Questo non esclude che si possa successivamente arrivare ad ipotizzare l'istigazione al suicidio.
Siamo tutti e tutte responsabili del suicido di Andrea.

Perchè pensiamo che se Andrea non era gay allora il fatto che gli abbiano detto frocio non lo riguarda, non lo offende, perchè lui frocio non era.

Al limite lo diffama come dice la madre (sempre che lo abbia detto, è sempre bene dubitare di qualunque fonte stampa).

Per corroborare la sua ipotesi complottista e accusare solamente gli altri studenti e studente della scuola di Andrea, Muscillo mente, distorce la realtà piegandola alla sua tesi e arriva a dire il nome storpiato usato nel falso profilo fosse al femminile:
un falso profilo con il nome storpiato del ragazzo, simile per assonanza ma declinato al femminile
Il nome usato nel falso profilo è Qndria Iperacatina.

Nome e cognome hanno uscita in a, che spesso ma non sempre in italiano indica un nome di genere femminile.

Un cognome però non ha sesso. 

Mentre l'uscita in a non indica sempre e solo sostantivi femminili.

Dentista, problema sono sostantivi maschili che escono in a.

Il nome Andrea, in italiano è un nome maschile.

Lo sfottò sul nome non riguarda il femminile ma si riferisce alla grafia illeggibile di Andrea che, firmando un compito di gruppo senza averlo davvero fatto, così lo accusano i suoi compagni e compagne di gruppo, si firma così male che si legge Qndria invece che Andrea.
"Era solo un po' eccentrico - dicono alcuni di loro - Chi ha detto che era gay? Anzi, aveva provato a fidanzarsi con una ragazza ma era stato respinto...".
E già, non adeguarsi allo stereotipo di genere se non ti rende gay perchè c'hai la ragazza o (o vorresti fidanzarti con lei...) ti rende comunque eccentrico.

Non è discriminazione omofobica anche questa? Se deroghi dallo stereotipo sei già nell'anticamera dell'omosesualità che si sa, è l'eccentricità.
  
Il resto dell'articolo di Muscillo è un florilegio di dichiarazioni di sdegno delle forze politiche. Fino al finale degno di un fiabista d'altri tempi.
Ieri sera gli studenti della capitale hanno ricordato il 15enne con una fiaccolata in via dei Fori imperiali. Tutti sono stati invitati a sfilare con un capo rosa. Il colore che sembra amasse tanto il ragazzo morto. E se la preside del liceo ha preso le distanze dalla fiaccolata parlando di "fatto privato", i compagni del ragazzo suicida hanno affisso uno striscione fuori della scuola: "Il silenzio è il nostro dolore".
Il ragazzo morto è morto suicida.
Il gesto va ricordato non per gusto macabro del dettaglio ma perchè chi si sucida sta gridando al mondo tutta a sua rabbia, la sua impotenza, sta dicendo al mondo che non lo ha aiutato, non lo ha ascoltato  e che quello è stato l'unico strumento che ha trovato per esprimersi e farsi sentire.

La fiaccolata non è stata organizzata dagli studenti della capitale ma da uomini e donne omosessuali, bisessuali ed eterosessuali, da uomini e donne trans, da tutte le persone che si sono sentite indignate che ancora oggi l'omosessualità possa venire usata come strumento di scherno.
Non già schernire chi è omosessuale. Non prendere di mira l'omosessualità di qualcuno, come quella, presunta, di Andrea, ma l'idea che l'omosessualità possa essere attribuita per offendere, deridere o diffamare.

Chi dice che la fiaccolata è stata fatta dagli studenti cancella l'indignazione della comunità lgbt e compie un atto di orrenda censura omofobica.

Anche se Andrea non era gay.

La fiaccolata denuncia una società che crede ancora che dare del frocio  a un ragazzo serva per offenderlo.

Che quel ragazzo sia gay o no.

E che molti e molte non lo capiscano la dice lunga sull'omofobia diffusa che c'è nella società.