giovedì 11 ottobre 2012

Coming out day. Che sia un giorno di autoemancipazione e non di autoaccettazione.

Il Coming Out Day si è tenuto per la prima volta negli USA l'11 ottobre 1988 l'idea di celebrare il coming out con un giorno ad esso dedicato fu di Robert Eichberg, psicologo del New Mexico, e Jean O'Leary, politico ed attivista LGBT di Los Angeles, durante il workshop The Experience and National Gay Rights Advocates, scegliendo come data simbolica quella della seconda marcia nazionale su Washington per i diritti delle lesbiche e dei gay tenutasi l'11 ottobre 1987. Del 1990 ha iniziato a dare il suo importante contributo alla celebrazione del Coming Out Day la Human Rights Campaign.
Dal 1995 Candace Gingrich è la portavoce del Coming Out Day.Il Coming Out Day è celebrato, oltre che negli USA, anche in Australia, Canada, Croazia, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Svizzera e Regno Unito*.

Coming out è la versione breve dell'espressione inglese coming out of the closet (“uscire dal ripostiglio” o “dall’armadio a muro”) cioè ammettere apertamente di essere gay, (ma, in inglese può anche significare più generalmente ammettere apertamente qualcosa che prima si teneva segreto.

Il coming out ha una forte valenza politica perchè dà visibilità a un orientamento sessuale che la società eterosessista vorrebbe relegato nella sola camera da letto.

Quante volte ci siamo sentit* dire: ma perchè lo ostentate? Non mi interessa cosa fate in camera da letto.
Il problema naturalmente non è quello che facciamo in camera da letto.
Perchè nel privato delle proprie abitazioni due cittadini adulti e consenzienti possono fare quello che vogliono, se non violano la legge, e l'omosessualità (o la sodomia) non sono vietate in Italia.

La visibilità che manca non è sessuale ma morale, esistenziale.

Un ragazzo o una ragazza omosessuali devono poter avere la stessa possibilità delle persone etero di manifestare non già le proprie preferenze sessuali, ma la propria affettività, la propria affinità spirituale per le perone dello stesso sesso con le quali fanno sesso, sì, ma, anche, amano, provano affetto per, sono coinvolte emotivamente e spiritualmente.

Lo stigma pesantissimo che si traduce non solo in manifestazioni di  pubblico ludibrio ma arrivano all'aggressione verbale e fisica (così violenta da portare anche alla morte) induce le persone omosessuali a rimanere nascoste, non dichiarate, velate, non tanto e non solo per paura del giudizio altrui, per quello che pensa la gente di loro ma per sottrarsi a battute, aggressioni, sputi, calci, coltellate, carcere, processi, impiccagione (fuori dall'Italia ma pur sempre su questo Pianeta).

La valenza politica del coming out è dunque evidente e va spiegata solo a chi non ha mai vissuto sulla propria pelle lo stigma sociale.

Purtroppo al al coming out è collegata invece una retorica dell'accettazione che si dimentica della pressione sociale e sottolinea come 
Il Coming out (...) è (...) frutto di un percorso di crescita, di accettazione personale
come scrive Tizana Biondi sul sito Stonewall, spiegando come

Prima di arrivare al coming out pubblico bisogna passare da quello che viene definito coming out interiore, ovvero quello della completa accettazione della propria omosessualità. Questo percorso che per molti può durare mesi o anni, per altri può non completarsi mai, a causa di vari condizionamenti familiari, sociali e soprattutto religiosi.



L'autoaccettazione è un concetto che mi pesa e mi angoscia.
Perchè dice, implicitamente, che l'omosessualità è un fardello da accettare di per sé.

Pensate un po' se i neri o le donne, quando hanno fatto la loro lotta di autoemancipazione avessero detto come neri e come donne  dobbiamo accettarci! Accettarci?
Loro scendevano in piazza per denunciare una discriminazione non per chiedere accettazione.

Se lo stigma è sociale devo avere il coraggio di dire e mostrarmi per quello che sono.

Se non mi accetto è per delle pressioni sociali esterne non perchè, oggettivamente, l'omosessualità sia una menomazione cui rassegnarsi.


Non ci si deve accettare si deve imparare a vivere in un mondo che stigmatizza.

Quel che si deve accettare sono casomai le conseguenze dello stigma  che non devo impedirci di vivere per quello che siamo alla luce del sole.
Non la propria condizione. La discriminazione, che non deve essere un deterrente e che, anzi , va denunciata  e combattuta. Il significato politico del coming out è tutto qui.


Siamo sicuri che quando si palra di autoaccettazione  invece che autoemancipazione   si voglia dire questo?

Che quando su Spetteguless si scrive
(un giorno per prender coraggio e gettare in terra la maschera che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo indossato. (...)  Per prendere forza e coraggio, ed urlare al mondo ‘sono gay’. Perché checché se ne dica l’accettazione è tutto, personale ed altrui, e mai come domani quella tanto attesa sensazione di libertà potrebbe esser finalmente vostra.
Io temo di no.

Credo che per un tic cattolico tutte e tutti pensiamo all'omosessualità come un accidente che ci è capitato e che prima accettiamo meglio è.

Altrettanto deleteria è la retorica del raccontarsi, che trovo davvero disgustosa.

Le persone etero hanno forse mai dovuto confessare la loro inclinazione?

E perchè mai lo dovrei fare io?

Il coming out non significa dire sono gay.

Io a mia madre non ho mai detto mamma sono gay.

Le ho detto: mamma questo è Paolo. Il mio fidanzato.

Capite la differenza?

Non dico di essere gay. Vivo la mia vita affettiva e sessuale normalmente come la vivono le persone etero senza ostentare né nascondere. 


La visibilità è una risposta politica a chi ci vorrebbe invisibili.


La testimonianza vale lo stesso. E' politica quando racconti dello stigma che subisci non quando confessi ai tuoi una cosa perfettamente normale.

E se i genitori ti cacciano di casa lo possono fare per tanti altri motivi non solo per lo stigma omofobico.

Se tuo padre vuole che tu faccia il medico ma tu vuoi fare il cantatutore e quando glielo dici ti risponde allora non ti mantengo più a nessuno verrebbe in mente di dire quando hai scoerto di essere ...cantautore, come l'hai detto ai tuoi.


Questa retorica del coming out è squisitamente omofobica e va rifiutata.

Se parlo della mia omosessualità è per denunciare lo stigma sociale, il mancato riconoscimento di alcuni diritti, non perchè voglio mostrare  tutti che non mi vergogno ad avere una mano in meno o un occhio in più.

Cave canem.

Non sto criticando chi si vergogna o chi non si accetta. Non sto nemmeno dicendo che non ci sono gay e lesbcihe che non si accettano o si vergognano.

Per loro ho il massimo rispetto e comprensione.
  Io critico la militanza che invece di mostrare a queste persone con i propri discorsi e la propria accoglienza che non c'è niente di cui vergognarsi e che non ci si deve accettare ma ci si deve autoemancipare che non vuol dire affatto accettarsi ma sottrarsi allo stigma di cui si è vittime che è tutt'altra cosa, indulgono cattolicamente all'accettazione.




*fonte Wikipedia

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Condivido perfettamente l'impostazione del tuo discorso però, personalmente, sono molto, molto più critico verso la "militanza", verso la retorica, il moralismo, la chiusura, il dogmatismo che manifesta. Spesso i "militanti" sono incapaci di non cadere nelle stesse identiche colpe di chi avversa l'omosessualità, perché se gli omosessuali sono vittime di un moralismo i "militanti" sono, loro per primi, ferocemente moralisti? Se gli omosessuali sono vittime di un dogmatismo perché sono, loro per primi, ferocemente dogmatici? Ecc..ecc..Si dirà: gli esseri umani sono tutti uguali...ma allora di cosa si lamentano tanti "militanti"? Se si autoassolvono così facilmente per le loro colpe, per le loro incapacità, dovrebbero, allora, per coerenza logica, assolvere anche coloro che avversano l'omosessualità e, ancor di più, chi non "milita"...invece è esattamente il contrario.Perché i "militanti" invece di andare semplicemente per la loro strada e fare quello che ritengono giusto fare, si preoccupano di chi non "milita", di cosa fa o non fa chi non "milita"? Il "coming out" è un gesto politico? Bene, è proprio questo il punto, io faccio un gesto politico (per esempio) quando vado a votare scegliendo fra varie opzioni ma faccio un gesto politico anche non andando a votare perchè nessuna delle opzioni mi convince. Non è politica adeguarsi pedissequamente a un pensiero unico, non è politica farsi strumentalizzare per idee, obiettivi, strategie, modalità che non si condividono, politica, eventualmente, sarebbe discutere senza nessuna chiusura pregiudiziale di tutto (di tutto niente escluso, pure del "coming out")ma spesso questo i "militanti" non lo vogliono assolutamente fare, la disponibilità che mostrano è falsa,mutuata da quella dei preti che non vogliono che si metta in discussione nulla di ciò che riguarda sé stessi ma vogliono solo convertire te.
Antonio

Alessandro Paesano ha detto...

Hai perfettamente ragione! Ti dirò di più. Se molte persone rifiutano il Coming Out è, credo, anche per non essere annoverate tra la militanza della quale non si sentono minimamente parte.

Finché ci sarà anche solo un sito che riporta l'ennesima intervista all'ennesima persona omosessuale che si confessa e dice io ho scoperto di essere gay a 12 anni, stavo in camera col mio amichetto... lo stigma sarà lì, bello integro, in tutt* noi...