lunedì 29 ottobre 2012

Taking a Chance on God.

Taking a Chance on God (USA, 2011) di Brendan Fay, è un documentario sull'86enne   John McNeill, sacerdote gesuita, teologo e psicoterapeuta gay, che si è distinto per il suo contributo alla cosiddetta teologia della liberazione con particolare riferimento alla posizione dottrinale contro le persone omosessuali nell'ambito della chiesa cattolica. Intimato a non esprimersi più sull'argomento pubblicamente (dopo aver ricevuto l'imprimatur per il libro fondamentale The Church and the Homosexual) tornato a parlare in pubblico dell'argomento esprimendo posizioni critiche nei confronti Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1 ottobre del 1986 a firma dell'allora Cardinale Ratzinger, è stato espulso dall’ordine dei Gesuiti nel 1987.

Il documentario dice poco sulla formazione di  McNeill, tace sulla sua formazione da psicoterapeuta, e non ci informa se abbia mai esercitato la professione. Poco ci dice sui suoi studi e le sue idee teologiche, argomento complesso e che avrebbe richiesto sicuramente altre competenze, e si concentra sulla vita privata di McNeill intervistando alcuni amici e amiche, preti, suo marito e McNeill stesso, che ripercorre i punti salienti della propria vita.
La morte della madre quando lui aveva 4 anni.
Il sacrificio della zia che decise di allevare i 5 tra figli e figlie della sorella, sposando il cognato ma facendo atto di castità  (e McNeill commenta che questa decisione di castità esacerbò il nervosismo caratteriale della zia, tacendo sugli effetti della castità sul padre...).
Il sostegno della sorella maggiore che, da bambino, lo difendeva dai bulli della scuola visto che lui era una sissy (feminuccia), sorella che nelle foto vediamo vestita da suora, senza che né McNeill né il documentario accennino al percorso vocazionale della donna.
La chiamata alla vocazione avvenuta quando, durante la prigionia di guerra in Polonia, in mano ai nazisti, un uomo, rischiando la vita, gli diede da mangiare una patata, rispondendo al suo cenno di ringraziamento con il segno della croce e McNeill capì di desiderare di avere una fede così forte che lo sosteneva nell'avere il coraggio di dare da mangiare a un affamato anche a rischio della propria vita.
L'incontro con Charles Chiarelli, che diventa il compagno di una vita (sono ancora insieme, sposati in Canada, da ben 46 anni).
La sua attività di insegnante in un college, nel quale, a memoria di una sua studentessa intervistata, McNeill trattava i suoi studenti come persone che avevano delle proprie idee e non come bambini ai quali andava insegnato cosa pensare.
L'attività a sostegno delle persone omosessuali prima nella chiesa e poi al di fuori.

Un documentario interessante, non particolarmente curato nella forma, che lascia fuori molti argomenti ma stimola alla riflessione e alla ricerca e, cosa importante per chi crede, si fa testimonianza di una fede altra, inclusiva, che accoglie tutti, anche le persone gay lesbiche e transgender.

Non voglio tediarvi con le mie perplessità su chi abbraccia una fede come il cattolicesimo che esprime una posizione precisa contro l'omosessualità definendola, come viene ricordato nel documentario,  an objective disorder un disordine (morale) oggettivo, che i sottotitoli del documentario traducono artatatmente con malattia, così come traducono con outing il coming out di McNeill fatto in tv dopo l'uscita di The Church and the Homosexual nel 1976.

Ammiro chi da dentro la chiesa cerca di cambiare la posizione della dottrina  sull'omosessualità.
Purtroppo sono molte altre le posizioni ufficiali della Chiesa che andrebbero cambiate.
La posizione sulla donna, sul sesso, sulla scienza, sull'aborto, sul divorzio, sull'eutanasia, sulle altre fedi. Insomma una battaglia culturale da far tremare i polsi.

Capisco chi trovandosi all'interno della chiesa e accorgendosi delle sue molte chiusure, per usare un eufemismo, voglia combattere per cambiarle. Capisco meno chi conoscendo queste chiusure prima desideri comunque farne parte.

Ma forse si tratta di un mio pregiudizio. Nessuno nasce imparato. Nessuno cosnoce davvero così bene le dottrine della chiesa.
Così, dopo la proiezione, e dopo il collegamento via Skype con McNeill (ah, prodigi della tecnologia, che è un prodotto umano  e non del creato divino...) Brendan Fay, scherza, gioca e dice che in cima alle sue attività di militanza ci mette Fare il te (o il caffè) cioè la convivialità d'altronde, ricorda, anche Gesù spezzò il pane e offrì il vino, leggendo quei gesti nella loro letteralità ignorando che quel pane è il copro di Cristo e quel vino è il sangue del figlio di dio.

Così si è cattolici per conformismo o perchè si ha una fede del tutto privata che si crede coincida più o meno con quella cattolica anche se a ben vedere non vi coincide affatto.

Tutti da piccoli frequentiamo la chiesa e le cose che io oggi so della chiesa le ho imparate dopo averla abbandonata.
Il motivo per cui l'ho abbandonata non ha nulla a che fare con tutte queste sue chiusure ma col fatto che io non credo né in dio né nella resurrezione né nell'aldilà.

All'epoca delle mie frequentazioni in chiesa, fino ai 12 anni, poi smisi  ricordo che ero possibilista di continuare a farne parte anche se non credevo perchè mi sembrava un posto dove si parlava di argomenti importanti ma quando ho scoperto che non c'è democrazia e che per quanto discuti devi alla fine accettare l'interpretazione delle sacre scritture decise dal vaticano e conformarti come i Borg, ne sono uscito definitivamente.
Ero molto giovane, avevo 12 anni, ma all'epoca già sapevo che il mondo è molto più complesso di quel che sembra e che la sceinza ce lo spiega benissimo se abbiamo la pazienza di capire concetti sottili e non proprio intuitivi e che le spiegazioni di Darwin e Einstein mi sembravano molto più umane di quelle di un dio padre padrone che tutto sa e tutto tace.

C'è una cosa che mi ha colpito del documentario e della vita di McNeill che lui accenna in un passaggio ma che il documentario di per sé ignora completamente.

McNeill viola il celibato senza che questo venga notato, detto, esplicitato.

Non dal documentario e nemmeno da lui, se non quando commenta che col suo compagno e poi marito viveva in molti armadi, nascondendo a molti che faceva sesso e che lo faceva con un uomo.

Agli occhi di chi guarda il documentario la vita privata di McNeill con l'uomo che diventerà il marito appare come un percorso di liberazione.
E' un percorso di liberazione.
Dallo stigma cui la chiesa cattolica è uno dei più diffusi alimentatori e da quella omofobia interiorizzata che, soprattutto per una persona della sua generazione, è un dato di fatto.

Mi sono domandato coesa avremmo pensato di lui se McNeill fosse stato etero e se al posto di Christian ci fosse stato Mary.
Una donna.
Come avremmo giudicato il comportamento di un uomo etero che pur non riuscendo a rinunciare alle donne decide di abbracciare la vocazione pastorale che richiede e prevede il celibato?

Lo avremmo trovato un prete coraggioso o un uomo ipocrita?

Un prete che va contro gli schemi o un uomo che non sa rispettare un impegno?

Mi piacerebbe sapere, come al solito, la vostra risposta.

La mia è che lo avremmo considerato una persona poco seria perchè non riusciva a rispettare il celibato.
Perché farsi prete quando puoi sposarti e essere da laico un bravo cattolico?


Se un uomo è gay e dunque non si può sposare, o, più in generale, le sue relazioni omoaffettive non hanno un posto nella società (tollerate finché le si relega nel privato della camera da letto) qualsiasi suo tentativo di affermare il proprio diritto ad avere una sessualità, di avere una affettività, faranno di lui un eroe, un coraggioso, un esempio da seguire, anche se è un prete. Anche quando ha cioè dei comportamenti che, riscontrati in un uomo etero, ci porterebbero a giudicarlo ben diversamente.

Un prete etero che ha una storia con una donna, fatta di clandestinità, perchè i preti cattolici non solo non possono sposarsi ma proprio non possono scopare, può essere criticato per l'ipocrisia, per l'egoismo,  perchè non decide di spretarsi e sposare quella donna con la quale convive, perchè non è un buon esempio per la chiesa, almeno per gli standard della chiesa che lui dice di rispettare visto che non fa propaganda della propria relazione.

Un prete gay è invece un esempio di liberazione. Non avendo un posto nella società perchè non può sposarsi visto che le sue relazioni sono considerane non legittime è un paria sempre e comunque anche dentro la chiesa.

Solo il giorno in cui anche i preti gay verranno criticati perchè hano relazioni sessual sentimentali con altre persone, non importa il loro sesso di apaprtenenteza, l'omosessualità sarà davvero uguale all'eterosessualità.

Fino ad allora l'omosessualità sarà una categoria diversa non degna nemmeno delle critiche morali pertinenti all'eterosessualità.  

Ecco l'uguaglianza cui io agogno.

Il documentario di ieri sera me lo ha fatto capire suo malgrado.


Corollario

Tra le tante divisioni del movimento lgbt italiano c'è anche il forte pregiudizio del cattolicesimo.
Una persona cattolica e omosessuale è vista con sospetto specialmente quando si fa militante.

Molte le avversioni, non sempre esplicitate e non smepre razionali.
Ce lo ha ricordato ieri sera Imma battaglia intervenuta subito dopo la proiezione del documentario quando ci ha raccontato un suo fatto privato per testimoniare la sua fede e la sua militanza lesbica.

Se la fede è un mezzo tramite cui le persone vivono meglio anche sapendo che di per sé è una forma autoritaria (c'è un dio sopra di noi) e arcaica di pensare (abbiamo bisogno di dio per capire come le cose stanno veramente) io non posso certo fare l'ateo di professione e dire loro le tue sono cretinate non c'è nessun dio e nessun aldilà.
Però mi piacerebbe che anche loro non venissero a rompere a me dicendomi che dio mi ama anche se io non lo voglio.
Ma non credo si possa davvero rimproverare ai cattolici di fare politica o proselitismo. Se sei entusiasta di una cosa ne parli, la vuoi consigliare a tutt*, così per buona fede.
D'altronde se la vivi per te in silenzio, come cosa privata è una fede ben misera.

Mi sembra una questione indirimibile.

Io personalmente oscillo tra un sincero rispetto, pozione che mi sforzo di seguire, e una tolleranza irrispettosa, propri come è irrispettosa la tolleranza verso i gay e le lesbiche.

Purtroppo nessuno mi potrà mai togliere dalla mente che chi crede in dio sia una persona esistenzialmente più  debole e fragile di chi non crede.

Anche qui il giorno in cui dio sarà argomento della storia e basta l'uomo e la donna saranno più liberi e più umani e donnani.



domenica 28 ottobre 2012

Incontro su Orientamento & Genere nell'ambito della Settimana del benessere psicosessuale organizzata dall'Istituto Italiano Sessuologia Scientifica.

Sono andato all'incontro Orientamento & Genere nell'ambito della Settimana del benessere psicosessuale organizzata dall'Istituto Italiano Sessuologia Scientifica.

La mattina era organizzata su due diversi interventi:

il seminario Orientarsi nella diversità tenuto da Federica De Simone e un dibattito sull'omofobia tenuto da Cidone, Iannella, e De Simone.

L'incontro è stato molto interessante sia per il confronto con un approccio alla questione diverso da A spasso tra i generi che tengo con Paola Biondi e Guido Allegrezza, sia per il contributo del pubblico, che ha dato occasione di tastare il polso alla diversa compagine romana del movimento lgb dentro e fuori la militanza, dentro e fuori le professionalità (eravamo in un Istittuo di Sessuologia non dimenticate).

Un modo per riflettere su alcune pratiche, su alcune retoriche e sul vissuto delle persone.

Il primo aspetto importante è la presenza alla giornata di alcune psicoterapeute di mezza età, lo so che il termine è odioso, che venivano per informarsi sulla questione lgb visto che hanno dei pazienti omosessuali e ne sanno poco, e riconoscono anche di avere dei pregiudizi.

Al di là della dubbia etica professionale, se io ho dei pregiudizi sulla questione non posso accertarti come paziente è meglio se ti mando da un(a) collega che non ne ha, trovo comunque positivo che le psicoterapeute in questione siano venute a sentire il seminario.

Non so quanto abbiano capito perchè alcuni concetti che sono stati introdotti avrebbero forse necessitato di una spiegazone sull'uso e sulla necessità della loro esistenza. Come nel caso del concetto di Identità sessuale che comprende 4 diversi aspetti sesso, genere, ruolo e orientamento. A cosa serve distinguere tra sesso e genere, tra ruoli e orientamento? Non sono forse distinzioni umane e non categorie che esistono in natura (tranne, in parte, la prima)? Invece De simone le presentava senza vaglio critico come fossero  concetti presenti nel mondo che le parole si limitano a indicare, mentre sono concetti che ritagliano il mondo in un certo modo.
Quel che mancava è la parte politica, termine che mi è stato contestato, quando De Simone mi ha detto che si può parlare anche senza fare politica, senza rendersi conto che quella è la sua di politica...


Non a caso quando Cidone nel parlare di omofobia, dopo aver indicato gli effetti dell'omofobia sulle persone omosessuali (senza mai parlare di discriminazione o distinguere i tre livelli di omofobia così come si suole distinguere) inanella la necessità per le persone omosessuali di accettarsi senza spiegare che l'accettazione è resa necessaria da pressioni esterne e io le contesto il termine De Simone interviene commentando che, al di là del significato della parola, visto che nel passato  quella parola è stata usata dobbiamo continuare a usarla per motivi storici. Così. Senza vaglio critico.

La retorica dell'accettazione, come ho già avuto modo di dire su questo blog, parte dal presupposto implicito, stra omofobico, che l'omosessualità sia un accidente di per sé al quale bisogna rassegnarsi e prima lo si accetta, prima ci si accetta cioè per quel che si è, cioè dei diversi, prima si vive bene.

L'omosessualità non ha pari dignità con l'eterosessualità costituendo uno dei tre possibili orientamenti sessuali.
E' una eccezione (oppositoria all'eterosessualità) che va tollerata.

Il nome stesso del seminario orientarsi nella diversità, ribadisce questa impostazione.


Diverso è un eufemismo per omosessuale. Eufemismo come se la parola omosessuale fosse offensiva o troppo forte

Persona differente dalla maggioranza, spec. handicappato o, eufem., omosessuale (Sabatini Coletti online)
Ed ecco che ritorna il concetto di handicap, di menomazione.

In senso più generale  diverso significa
Che si presenta con un'identità, una natura nettamente distinta rispetto ad altre persone o cose (Sabatini Coletti online)
Natura nettamente distinta, dunque etero e omosex pari non sono (per tacer delle persone bisessuali).

Questa mi sembra una posizione da socialismo utopista, quella disposizione cioè dell'etero che, senza mettere in discussione la propria norma, che rimane l'eterosessualità tollera, accetta l'omosessualità ma come cosa in sé, diversa dall'eterosessualità, alla quale va data dignità ma non già in quanto altra faccia della stessa medaglia, in quanto arricchimento dell'umanità e della donnanità  ma in quanto altra medaglia.

E' la stessa posizione di Bindi quando dice a Daniele Viotti non potete usare il matrimonio che è una istituzione etero altrimenti si azzerano le differenze tra noi e voi.

Insomma un modo à la Forrest Gump di accettare le differenze. Non cancellando l'ideologia che rende diversi. ma anzi creando una categoria che tolleri la diversità senza mettere in discussione l'ideologia che quella diversità ha creato.
L'omosessualità è un accidente da tollerare non una ricchezza per tutte e tutti da reintegrare nell'universalità degli uomini e delle donne.

Gli uomini e le donne cioè non possono direttamente innamorarsi o fare sesso o entrambe le cose indifferenziatamente con persone dello stesso sesso dell'altro sesso o di entrambi. Devono prima accettarsi come gay - ma non come etero - una asimmetria che rende evidente l'estrazione ideologica patriarcale di questa posizione - perchè quello è il default, e poi possono avere storie o fare sesso con persone dello stesso sesso.

Un approccio che poteva andare bene quando si pensava che l'omosessualità fosse una malattia ma che non ha più senso alcuno da quando l'OMS la riconosce come naturale variante della sessualità e dell'affettività umane e donnane.

Molto interessanti le reazioni del pubblico.

Alcune ragazze definivano l'essere lesbica con il fare sesso con un'altra donna, escludendo così l'affettività o anche quel sentimento di affinità spirituale tanto bene spiegato da lallo lulli, morto suicida.

Qualcun altra continuava a dire che ognuno di noi dovrebbe poter liberamente esprimere la femminilità e la mascolinità entrambe presenti in ognun* noi, senza rendersi conto di costruire maschile e femminile come categorie eternormate. La femminilità come desiderio della maschilità e viceversa.

C'è chi si infastidiva della mia pedanteria sul significato delle parole (quando contestavo l'uso di diverso) dicendo che ognuno usa le parole come crede, al che ho iniziato  a parlarle con parole mie e dirle che la pentola della luna non carpiva la pastura delle effemeridi (di)mostrandole come siamo costretti a usare lo stesso vocabolario per capirci l'un l'altra...

Un'altra ragazza chiedeva spiegazioni a De Simone sul perchè le capitava di innamorarsi di ragazze etero che avevano avuto storie con donne solo con lei e provenivano e ritornavano ai ragazzi...

Oppure un ragazzo (unica altra presenza maschile, oltre al sottoscritto, in un consesso di ragazze  e donne) che dopo aver visto questo video


che De Simone ha usato come strumento didattico, chiedeva se lui era venuto così per colpa di sua madre.

Una cosa è chiara. Incontri di questo genere sono necessari. C'è tanto bisogno di vedersi, di confrontarsi, di conoscersi, di capirsi.

venerdì 26 ottobre 2012

Commissione Giustizia alla Camera approva il testo base della legge contro l'omofobia e la transfobia.

"E' stato approvato oggi in Commissione Giustizia alla Camera il testo base della legge contro l'omofobia e la transfobia". Ad annunciarlo è la deputata del Pd Anna Paola Concia, che fin dall'inizio del suo mandato si è impegnata per l'approvazione di un testo contro l'omofobia. "Il testo base nasce dalla comunione d'intenti e da uguali testi presentati in Commissione Giustizia sia dal Partito Democratico che dall'Italia dei Valori, con il relatore On. Palomba - spiega Concia -, e che prevedono l'estensione della Legge Mancino".
"Siamo ripartiti dalle proposte di legge che Pd e Idv avevano presentato nel 2009 - racconta ancora la deputata - e che anche in quell'occasione prevedevano l'estensione della legge Mancino, ma che allora vennero bocciate. Oggi ci ritroviamo, com'è giusto che sia e per la terza volta in questa legislatura, a lavorare per l'approvazione di una norma che ci è richiesta dal Trattato di Lisbona e che si inserisce perfettamente nel nostro dettato costituzionale, visto che la legge Mancino è senza ombra di dubbio una legge costituzionale". Forse questa volta avanzare le eccezioni di costituzionalità, utilizzate l'ultima volta dal centrodestra come grimaldello per evitare anche di discutere il testo, sarà più complicato.
''Esprimo particolare soddisfazione per la decisione presa dalla commissione Giustizia alla Camera che, oggi, ha adottato come testo base la proposta di legge Di Pietro-Palomba sul più duro contrasto a comportamenti dettati da omofobia e transfobia - ha commentato Federico Palomba, relatore del testo e deputato dell'Idv -. Una proposta di legge che persegue il suo obiettivo attraverso l'estensione della legge Mancino alla punizione di simili condotte. Al testo è abbinata la proposta Concia ed altri''. E' quanto scrive, in una nota, il deputato Idv Federico Palomba, capogruppo in commissione Giustizia. ''Farò di tutto, e spero che la commissione dia la sua massima disponibilità - conclude Palomba, che è anche capogruppo Idv in Commissione Giustizia - perché l'esame del provvedimento possa arrivare in aula nel più breve tempo possibile''. (fonte gay.it)

mercoledì 24 ottobre 2012

Il manifesto rischia di chiudere. E CHE CHIUDA! Su un pessimo omofobico articolo a firma di Alessandra Potenza

Non è la prima volta che manifesto usa l'espressione matrimonio tra gay per indicare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Una distinzione che a qualcuno parrà sottile e invece è sostanziale.

Non ci si sposa tra gay, non è l'ìorientamento sessuale a dirimere la questione, sia perchè esiste la bisessualità, sia perchè una lesbica e un gay si possono sposare...
E' il matrimonio tra persone dello stesso sesso a non essere permesso. E chi inferisce l'omosessualità come unico orientamento sessuale possibile della coppia dal loro essere dello stesso sesso discrimina e giudica.

Vuol dire imporre a una persona che ha amato qualcuno dell'altro sesso al punto tale da farci dei figli di cancellare quel passato etero e abbracciate l'omosessualità tout court. Vuol dire imporre una scelta: o sei etero o sei gay tertium non datur. Vuol dire separare le persone  in base alla presunta incompatibilità tra orientamenti sessuali diversi.

Ora finché matrimonio tra gay con tutto il suo portato discriminatorio lo scrive Il Giornale o Libero non mi meraviglio. Ma se lo scrive il manifesto mi arrabbio e nemmeno poco.

Nel caso specifico matrimonio tra gay è contenuto nell'occhiello che non è di pertinenza di chi firma l'articolo ma la sprovveduta giornalista cade in altri orrori semantici senza avere scusante alcuna perchè nel riportare le dichiarazioni del presidente Obama ha degli esempi di giusto lessico che lei non segue, corrompendolo con un uso approssimativo della lingua italiana che sarebbe ridicolo se non fosse estremamente discriminatorio e omofobico.

Nel riportare la decisione della corte Corte Federale d'Appello dello stato di New York che ha dichiarato incostituzionale il cosiddetto Defense of Marriage Act (legge a difesa del matrimonio) o Doma, cioè la legge federale che riconosce come matrimonio legittimo solo quello tra uomo e donna Alessandra Potenza arriva a scrivere:
 
Nel 2009, dopo la morte della moglie Thea Clara Spyer, Edith Windsor ha ereditato la sua casa. Ma si è ritrovata a dover pagare 363.000 dollari di tasse sulla proprietà, come fosse una sconosciuta, il che non sarebbe successo se Windsor avesse perso un marito invece di una moglie dello stesso sesso.
Moglie dello stesso sesso? Ma di che parla questa? La moglie è una donna sia che sia sposata a un'altra moglie sia che sia sposata a un marito...

Così mentre Obama, come riporta Potenza stessa, dice:
«Quando penso ai membri del mio staff che sono incredibilmente devoti a relazioni monogame, dello stesso sesso; che stanno tirando su figli insieme ... a un certo punto ho concluso che, personalmente, sia importante per me andare avanti e affermare la mia convinzione che le coppie dello stesso sesso devono avere la possibilità di sposarsi».
Potenza scrive 
Quello dei matrimoni gay è un tema delicato in vista delle imminenti elezioni. Nonostante il 90 percento degli americani si dica favorevole a un trattamento paritario dei gay sul posto di lavoro, solamente il 50 percento è a favore dei matrimoni omosessuali. 
Mai una volta che usi la forma meno discriminatoria possibile cioè matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio è gay od omosessuale.
Noto en passant per non infierire troppo che nel riportare in italiano le parole inglesi della Corte o di altri intervenuti Potenza non si preoccupa di correggere l'uso sessista della lingua italiana e così laddove in inglese si dice homosexual people che ha valenza neutra e dunue vale sia aper il maschile che per il femminile Potenza scrive
gli omosessuali hanno sofferto una storia di discriminazioni

Gli, al maschile, che vale anche per il femminile, con buona pace di Alma Sabatini...

Insomma se si arriva a scrivere dei pezzi così sciatti, sessisti, maschilisti e discriminatori forse se il manifesto chiede non è poi un male.

Così Alessandra Potenza va a spasso e non ci ammorba più col suo lessico irricevibile.


Le parole per dirlo: sul pregiudizio insito in alcune definizioni usate per riferirsi al popolo arcobaleno

Leggo il titolo di un seminario:
Orientarsi nella diversità: strumenti per dissipare l'omofobia.
Il seminario è in programma venerdì 26 ottobre, a Capraia Fiorentina, nei locali della ex Fornace Pasquinucci.
L'iniziativa sostenuta dall'associazione Pasquinucci, che ha lo scopo di promuovere ogni tipo di iniziativa tesa alla diffusione della cultura in ogni campo di espressione, in collaborazione con l’ass. Coltiviamo la cultura in genere, Ireos Centro Servizi Comunità Queer Firenze, ass. Viviteatro e ARCI serv. Civile Pontedera, col quale si propone di
affrontare la discriminazione all’interno di una società multiculturale partendo dal presupposto che essa, sia che si focalizzi sull’orientamento sessuale, sull’identità etnica o culturale, sulla disabilità, ha alla base la paura per l’altro e, soprattutto nei più giovani, la volontà di affermare la propria identità per contrasto con chi è ritenuto diverso. 
Trago queste note dal sito gonews perchè né il sito dell'associazione Pasquinucci né il sito di Ireos spendono parole per l'iniziativa.

Trovo questo modo di presentare la questione antico, reazionario e profondamente omofobico.

Non solo perchè la parola diverso è una parola negativa nel lessico italiano
Che si presenta con un'identità, una natura nettamente distinta rispetto ad altre persone o cose (Sabatini Coletti online)
e, nello specifico, è un eufemismo per omosessuale. eufemismo come se la parola omosessuale sia considerata offensiva o troppo forte

Persona differente dalla maggioranza, spec. handicappato o, eufem., omosessuale (Sabatini Coletti online)
ma proprio per l'etica che c'è dietro questo uso definitorio.

Capisco che l'intento politico è quello di valorizzare la diversità. Che però non è mai tale ma differenza.

La vera multiculturalità infatti non vuol dire stare tutti insieme ognuno con la propria diversità, ma vuol dire riconoscere in ogni diversità la radice di una comune differenza.

Se una persona omosessuale è una persona diversa è per definizione lessicale una persona con un'identità, una natura nettamente distinta. Così si tollera l'omosessualità ma la si tiene ben distinta dall'eterosessualità che rimane la norma. Io invece auspico un mondo in cui omo ed eterosessualità siano percepite come due alternative di pari dignità in una concezione bisessuale dell'affettività dove non c'è contraddizione ad amare un uomo o una donna o anche ad andarci semplicemente a letto.

Proprio perchè a differenza dell'handicap che distingue dalla funzionalità standard e va dunque riconosciuta nella sua differenza, una persona paraplegica non è come una persona che cammina da quel punto di vista è davvero diversa e va riconosciuta per quel che è, naturalmente senza stilare graduatorie, l'orientamento sessuale non distingue, non individua una differenza oggettiva può essere un handicap fisico, è solo una normale variante, come ha già detto l'OMS, della sessualità e dell'affettività umane e donnane.

Mi domando con quali risultati si può approntare un convegno contro le discriminazioni quando l'impianto stesso del seminario è altamente discriminatorio laddove invece di parlare di un'unica razza quella umana si distinguono le persone in base alla cultura al genere e all'orientamento sessuale.

D'altronde le persone lgbtqi sono indicate dalla Comunità Europea, quella che qualcuno (vero Roberto?) incensa senza se e senza ma,  come minoranza sessuale in barba a tutti gli sforzi fatti dalle persone omosessuali che cercano di far capire alle altre persone che l'omosessualità non riguarda solamente il sesso ma anche l'affettività.

C'è ancora molto da lavorare...

lunedì 22 ottobre 2012

Non è la Chiesa a non accettare me, sono io a non volere la Chiesa.

Sarà che sono ateo.

Anzi no, nemmeno ateo.

L'ateo risponde no alla domanda dio esiste?

Invece per me la domanda non ha senso.
Per cui rimane senza risposta.

Dio è un prodotto dell'uomo e in quanto tale esiste.

Ma perchè lo abbiamo inventato noi. Non certo perchè lui ha creato noi...

Su questo ha già detto tutto Feuerbach, cui rimando.

Dicevo, sarà perché so che non c'è alcun dio ma non capisco proprio il fervore religioso cattolico di chi, pur rinnegat* nella sua essenza, sente ancora il desiderio di frequentare un consesso che, di per sé, storicamente e nel contemporaneo, è un covo di persone reazionarie, misoneiste, maschiliste, omofobe, fasciste, (filo) naziste, sadiche, paternaliste, autoritarie, criminali, sessuofobe e l'elenco potrebbe continuare a lungo...

Non mi capacito di come le persone possano far parte di una chiesa che considera il darwinismo una bestemmia e lo vorrebbe sostituire col creazionismo, che si lamenta che la donna è troppo autonoma e non ascolta più il maschio, che afferma che nemmeno in Africa i profilattici aiutano a difenderei dal contagio HIV, che cerca di impedire la moratoria contro la pena di morte per le persone omosessuali, che cerca di impedire alle donne di abortire tramite l'obiezione di coscienza, vera e propria abiezione, persone che si rallegrano se un pretino di una parrocchia, lui, accoglie i gay e dà loro l'eucaristia, che, tra l'altro, è un'affermazione sadica della propria volontà di vita eterna, visto che i le persone cattoliche mangiano il corpo e bevono il sangue del figlio del loro dio per guadagnarsi la resurrezione su questa Terra col proprio corpo.

Trovo naif tutte le persone omosessuali che si sentono felici di fare la comunione,confermando così la appartenenza a una chiesa che non solo non le vuole, ma le discrimina, le accusa di essere moralmente disordinate, incapaci di costruire legami sentimentali profondi.

Per cui gli articoli come quello di Repubblica - riportato dal sito giornalettismo - in cui una credente (di che?) dice
Dopo aver vissuto da piccola una fede convinta, dai 15 anni, quando mi sono dichiarata, ho sentito solo condanna (...) ora finalmente faccio di nuovo la comunione, con uno spirito diverso.  
mi fanno vomitare.

A questi e queste naïf ferventi ricordo alcuni passi di quel maschilista misogino e omofobo di San Paolo:

Non sapete voi che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v'ingannate: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né gli omosessuali,
10 né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né gli oltraggiatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio. (1 Corinzi 6:9-10)
26 Perciò Iddio li ha abbandonati a passioni infami: poiché le loro femmine hanno mutato l’uso naturale in quello che è contro natura, 27 e similmente anche i maschi, lasciando l’uso naturale della donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri, commettendo uomini con uomini cose turpi, e ricevendo in loro stessi la condegna mercede del proprio traviamento. (Romani 1:26-27)

Essere felici di partecipare dell'eucarestia di una religione fra i cui testi sacri sono contenute queste parole di condanna è tipicamente italiano.

Si crede di poter far parte di una congrega anche se non se ne accettano tutte le regole, quelle che paiono scomode, o magari quelle che ci vietano di farne parte.

Magari perchè dio è amore, e intanto si entra nella casa che sparge odio e menzogna.

Ma non è la chiesa a non volare quelli come me sono io che non voglio la chiesa, nessuna chiesa, sono io che vorrei cancellare dalla faccia della terra tutti quei malati di mente che credono di avere più potere perchè hanno un cazzo e (almeno formalmente) non lo usano...

Già disprezzo la scarsa intelligenza della presunzione di chi crede di essere stat* creat* da un dio (maschio, si capisce) ma la vocazione al martirio di chi cerca disperatamente di far parte di una chiesa che le persone omosessuali continua a uccidere ancora oggi, mipare davvero idiota.

Sottrarsi alla richiesta di moratoria per la pena di morte delle persone  omosessuali significa aiutare il boia a stringere il cappio attorno al collo del sodomita,
affermare che l'omosessualità è un disordine morale contribuisce a legittimare la discriminazione e l'odio, ed è dunque un modo sottile e surrettizio di sostenere e perpetrare un crimine contro l'umanità tanto da farmi desiderare che la chiesa venga spazzata via dalla faccia della terra una volta per tutte e per sempre.

Che queste incaute persone desiderose del cattolicesimo nonostante tutto entrino in chiesa e non ne escano più.Un rischi concreto che corrono, molto più di quanto non credono...

A me ammorbano.

E a voi?
 


mercoledì 17 ottobre 2012

Le cantanti farebbero meglio a cantare. Su una risposta delirante della cantante Mina su Vanity Fair a proposito dell'omosessualità e dello stigma.

Non è la prima volta che Mina, sollecitata dalle lettere che riceve dai lettori e le lettrici di Vanity Fair, esprime sue opinioni sull'omoaffetività, il matrimonio egualitario, l'adozione per le coppie omosessuali. Opinioni qualificate?
NO.
Opinioni informate dal buon senso? Talvolta.

Non questa volta quando alla lettera di una donna lesbica che chiede, in maniera vittimista e non politica, perchè ce l'hanno tutti con le persone omosessuali, perché? - ricordate la vecchietta nobile nella celebre scena del referendum Monarchia Repubblica  di Una vita difficile (Italia, 1961) di Risi? - Mina risponde che nessuno oggi in Italia pensa che l'omosessualità sia una malattia, e si dice stufa delle  solite, melense, polemiche, antistoriche, frignanti domande sulla omosessualità.

Per Mina bisogna prima risolvere il problema individuale,  cioè la fatica obbligatoria che ciascuno deve sopportare qualunque sia la posizione sociale, sessuale, etica, famigliare, religiosa, geografica, razziale di partenza.
Una volta risolto il problema personale, dice Mina le sembra abbastanza indifferente vedere eterosessuali o omosessuali scontenti. Magari per leggi che toccano ambiti diversi, ma sempre scontenti. Il minuetto dell'equazione tra scontentezza e discriminazione comincia ad annoiarmi. Mi infastidisce, in fondo, come tutti i grandi alibi per debolezze, indisponibilità, pigrizie e inconsistenze. Quando si inneggia alla voglia di libertà bisogna provare a pensare di destinarla a tutti. Come vedi, anche a te mi rivolgo fregandomene totalmente delle tue preferenze sessuali, ma piuttosto dedicandoti il rispetto per un disagio non ancora risolto.

Ora, sicuro che Mina non leggerà mai queste mie righe, ma non si sa mai, vorrei dire  a questa sprovveduta signora di 72 anni che vive da troppo tempo distante dalla società, italiana o no poco conta, in un mondo suo fatto di affetti, famiglia, e tanti soldi, quelli che le hanno permesso si sottrarsi dai disagi della società omofobica nella quale noi comuni mortali viviamo, vorrei dirle dicevo qualche parolina.

Cara Mina,
vedi questo ragazzo?
Si chiama Dino e nell'Agosto del 2009 è stato aggredito da un uomo, alle 4 di notte, all'uscita del Gay Village, perchè si stava baciando col suo ragazzo, con delle coltellate così profonde che gli hanno perforato un polmone.

Dino non frignava, non pensava di essere una vittima, fino a quando un suo gesto d'affetto - bada bene Mina di affetto perchè l'omosessualità, verbigrazia, non è solamente una questione di preferenze sessuali, ci si innamora, si ama, e si scopa anche, ma non solo -, un bacio come molte coppie etero si scambiano senza che nessuno abbia da ridire, gli ha lasciato una cicatrice se così si può chiamare lo squarcio che gli ha inferto l'aggressore sulla pancia che gli ricorderà ogni giorno della sua vita quanto non sia sicuro essere omosessuali in Italia, ma anche nel resto del mondo.

Vedi Mina le persone omosessuali non hanno alcun problema intrinseco da risolvere con loro stesse devono solo fare i conti con una società che le vorrebbe invisibili.
Ti scambi un bacio col tuo ragazzo? Ti accoltellano, vai giro mano nella mano? Ti prendono a sputi, a volte, purtroppo ti uccidono. E ogni giorno lo Stato, la chiesa e tutte le agenzie di socializzazione (scuola, posto di lavoro, posti di svago, famiglia, i luoghi in cui si fa politica) non si limitano a esprimere una opinione negativa sull'omoaffettività (così penserai di meno al sesso e di più ai sentimenti delle persone gay  e lesbiche) ma contribuiscono con parole, gesti e atti anche amministrativi a discriminare le persone omosessuali.
Nessuna persona eterosessuale viene discriminata, derisa, accusata, aggredita, uccisa, per la propria eterosessualità.
Queste denunce a te potranno anche sembrare lamentele frignanti ma temo che tu considereresti tali anche quelle di chi non ce la fa ad arrivare a fine mese...

Per cui se tu ti dici leggermente stufa di sentire riproposte le solite, melense, polemiche, antistoriche, frignanti domande sulla omosessualità lasciami dire che io e ti assicuro tante altre persone come me sono arcistufe di leggere risposte dettate da una superficialità che fa il passo con la supponenza come questa tua lettera talmente delirante da farmi dubitare sulla tua sanità mentale.

Ecco, una senescenza per sopraggiunti limiti di età gioverebbe non poco a ridimensionare l'enorme gaffe della porcata immensa di questa tua risposta di merda.

Ma purtroppo sei fin troppo lucida nel dispensare ecolalie inopinatamente facendo capolino da quell'eremo al quale io mi auguro tu torna in fretta per non disturbarci più. Mai più.

La tua omofobia è esattamente quella che le persone omosessuali oltre a viverla sulla propria pelle combattono ogni giorno.

E se un giorno, chissà, ti capitasse di ricevere uno schiaffo in pieno volto da un ciccione di mezza età, sappi pure che sono stato io.

Che non si dica che le persone discriminate sanno solo frignare.

Sanno anche reagire.

A ognuno il proprio mestiere. Alle persone discriminate quello di denunciare la discriminazione ai cantanti, alle cantanti, quello di cantare.

Ecco allora, canta.

E taci.

lunedì 15 ottobre 2012

Una adeguata risposta al commento di Eddi al mio post Identità di genere fluida:

Il commento di Eddi al mio post Identità di genere fluida
merita una risposta troppo articolata per postarla tra i commenti. Ho deciso così di farla diventare un nuovo post.

Eco la mia risposta.
Di seguito il commento di Eddi   


Ciao Eddi.

Intanto grazie per il tuo contributo, per me preziosissimo, per dipanare un argomento spinoso e di non facile soluzione.

Prenderò spunto da quello che dici per esprimere ancora meglio i miei dubbi più che per esprimere una concordanza o una discordanza con quello che dici, che, comunque , ci sono, entrambi.

Mi ha colpito che nel tuo commento, pur indicando bambino e bambina tu senta di dover specificare il genere: Il bambino (maschio) e la bambina (femmina).

Come se le parole bambino e bambina non si riferiscano già al genere, che sappiamo essere una costruzione culturale (in senso antropologico) e sociale, ma al sesso (secondo la nota distinzione) le cui caratteristiche e differenze basandosi sulla biologia, pretendiamo essere naturali.

Anche il corpo biologico invece è una costruzione sociale e culturale nel senso che ce lo rappresentiamo non in maniera neutra, obbiettiva, ma già informato (nel senso di dare forma) dagli stereotipi di genere.

Non credo sia esatto infatti dire che il genere sia il processo culturale di costruzione sociale delle caratteristiche biologiche come scrive Elisabetta Ruspini ne Le identità di genere (Carocci, Roma 2003 p. 9) perchè in questa definizione non si mette in discussione il concetto di caratteristiche biologiche che è a sua volta una costruzione sociale.

Ruspini arriva infatti a dare per scontate certe differenze biologiche che non sono biologiche affatto:
Donne e uomini presentano diverse caratteristiche fisiche: i maschi della specie umana sono, in media, più grandi e più forti delle femmine e queste ultime, inoltre, sono fisicamente più vulnerabili a causa delle gravidanze e dell'accudimento dei neonati e bambini
E' evidente qui che vengono ascritte al biologico differenze che riguardano invece la distribuzione sociale dei ruoli, infatti le donne non sono sempre incinte e dunque non sono vulnerabili sempre, fermo restando che una donna incinta può compiere qualunque compito della vita quotidiana anche in avanzata gestazione...

Per tacere della definizione che i maschi sono in media più forti.

Anche questa è una rappresentazione sociale, perchè io, che sono ciccione e non faccio sport, sono meno forte di una donna della mia stessa età ma in condizioni fisiche migliori delle mie, eppure la mia minore forza fisica non fa di me un maschio meno maschio.

Almeno non dovrebbe.

Perchè per un uso rigido delle parole c'è chi arriverebbe a depennarmi dalla categoria maschile se non corrispondo alle caratteristiche che si pretende la definiscano.

Ed è proprio qui che nasce il mio disagio sul concetto di fluidità di genere.

Ci si dimentica che tutte le parole sono rappresentazioni della realtà, le cui caratteristiche ascritte sono descrittive e mai prescrittive.

Le parole sono descrittrici della realtà non già la realtà stessa.

(Lo so che un filosofo avrebbe da ridire, ma per realtà stessa intendo le singole persone e non i concetti con le quali le indichiamo, quel maschio concreto in carne ed ossa non il concetto di maschio che quel singolo individuo incarna).

Quando la realtà, quella singola persona, quel singolo dato crudo (cioè non già interpretato secondo i nostri descrittori, cioè le parole) mostra una incongruenza con la parola definita\descrivente dovremmo cambiare la parola e non la persona.

Invece mi sembra facciamo il contrario.

Tu constati - a ragione - che i bambini e le bambine che giocano con giocattoli secondo i ruoli di genere non pertinenti al loro sesso biologico  non sono affatto "fluidi" da un punto di vista dell'identità di genere; semplicemente non aderiscono al loro ruolo socio-identitario "eterosessuale".

Su questo siamo perfettamente d'accordo.

Per me definire il giocare con una bambola femminile e giocare con il meccano* maschile è un volgare (nel senso di banale, trito, ovvio) stereotipo sociale che si rifà all'organizzazione sociale del fascismo quando la donna stava in casa a fare i lavori donneschi della cucina e l'uovo lavorava.

Ancora più indietro, si rifà al mito fondatore della nostra cultura, quello della biblica Genesi dove dio dice alla donna tu partorirai con dolore (il che significa anche questo è tutto quello che farai) e all'uomo tu lavorerai col sudore della fronte.

La società di oggi è profondamente cambiata e ci sono uomini e donne che si sono appropriati di comportamenti, funzioni, lavori che una volta erano percepiti come pertinenti esclusivamente all'altro sesso.

Gli uomini oggi accudiscono i bambini e cambiano loro i pannolini - mentre fino a meno di 30 anni fa si facevano film come Tre scapoli e un bebè (Usa, 1987) di Leonard Nimoy (remake di Tre uomini e una culla (Francia, 1985) di Coline Serrau, film nei quali tre maschi scapoli si schifavano della puzza della cacca di un neonato ed erano del tutto incapaci di accudirlo.

Le donne oggi guidano autobus o vanno nell'esercito mentre fino a prima della seconda guerra mondiale la donna portava da mangiare al marito che lavorava in fabbrica oltre a portare nel grembo suo figlio, come racconta il film Rotaie (Italia, 1929) di Mario Camerini.

Una volta emancipata dalla sua funzione riproduttrice nella quale era stata imbrigliata, grazie al lavoro (non a caso in Italia fino al 1914 la donna per lavorare doveva ottenere il permesso dal padre o dal marito, comunque da un maschio) al  controllo delle nascite e al divorzio la donna ha potuto finalmente rendersi autonoma.

Bambole e meccano* sono giochi e basta e chi ancora oggi, nel 2012, pensa che la bambola sia un gioco da bambina e il meccano* un gioco da bambino è un dinosauro fuori dal mondo, e dice cazzate.

Certamente il luogo comune è ancora molto forte e molte persone ancora la pensano così ma ciò non significa che questo trito e triste stereotipo sia vero o sia giusto.


Hai ragione nel dire che non possiamo negare che la bambola sia socialmente percepita come gioco femminile, e il calcio come maschile ma credo che tu sbagli nell'attribuire questo conformismo (ben)pensante anche all'infanzia (i bambini e le bambine) che credo semplicemente giochino e sperimentino senza preoccuparsi di essere o meno conformi a questo o quel cliché.

Credo che la questione redimente sui bambini rosa sia tutta qui.

E' l'occhio conformista dell'adulto che definisce, prescrive  e inquadra la libertà a-defintoria dell'infanzia in griglie che si pretendono universali, dimenticando (o fingendo di farlo) che invece sono storicamente determinate.

Con la caduta del muro è crollato anche il materialismo storico che tutt* dovremmo tornare a studiare (e se non ti piace Marx va benissimo anche Feuerbach).

La lettura che proponi tu, molto interessante per gli adulti,  e cioè che questo è esattamente il principio che induce in una quota di maschi gay l'effeminatezza; cioè l'adesione, in età evolutiva, al comportamento - socialmente stereotipato - femminile, che serve per risultare attraente ad un altro maschio (anche se ti ricordo che l'effeminatezza è un concetto patriarcale che serve a individuare chi si allontana dal concetto di virilità e che, d'altronde, ci sono maschi effeminati che sono eterosessuali) mi sembra una forzatura per i bambini.
 
Mi chiedo e ti chiedo infatti: non può essere più semplicemente che l'infanzia sta semplicemente giocando e non vuole né sedurre altri maschi né esprimersi in quanto maschio o in quanto femmina, ma semplicemente giocare?

Cioè sperimentare per gioco ma per davvero funzioni della vita adulta?

Che insomma l'infanzia sia libera di giocare con quel che gli pare senza doverla imbrigliare in griglie sessiste di definizione?


Leggere il gioco di un bambino come espressione del suo rifiuto di una identità di genere mi sembra un modo molto riduttivo di vedere le cose.

Si dà alle scelte e ai comportamenti di questi bambini l'intenzione di professarsi contro il proprio genere di appartenenza, tenendo fisse le definizioni di genere (che sappiamo culturali) invece di adeguarle ai comportamenti delle persone dalle quali dovrebbero sempre nascere le nostre definizioni se crediamo siano descrittive e non le vogliamo autoritariamente prescrittive.

Toh guarda quel bambino porta i capelli lunghi. Non accetta il suo genere che vuole i capelli corti. 

Secondo chi? In quale epoca? Nell'800 e anche in epoche precedenti gli uomini portavano i capelli lunghi. Anche loro avevano una fluidità di genere?

La cosa che trovo più sinistra, pericolosa, e nazista è la considerazione che l'autrice dell'articolo fa quando dice Nessuno sa perché la maggior parte dei bambini si adatta facilmente ai ruoli di genere che gli vengono assegnati, mentre altri no. Forse dipende dai livelli ormonali.
Qui si crede ancora che tra sesso e genere ci sia una conformità naturale e si ignora la radice culturale del concetto di genere che influenza anche quella di sesso.


D'altronde anche secondo gli schemi della psicologia evolutiva più reazionari e patriarcali l'infanzia è l'unica età in cui sperimentare tutto per poi uniformarsi da adulti agli stereotipi di genere. Secondo questo modo di vedere, l'omosessualità sarebbe una forma di immaturità perchè è solo una fase di passaggio che normalmente dovrebbe portare all'eterosessualità genitale e più matura. 

Quando dici che Sono profondamente convinto che in una società dove esistesse un modello sociale forte e positivo di omosessualità, i gay maschi non sarebbero né effeminati né giocherebbero con le bambole da un lato  stai comunque continuando ad ammettere che per te ha senso ascrivere il giocare con le bambole alla femminilità.
Bada non il fatto che molti la pensino così, questo è un dato di fatto, l'articolo che cito nel mio post precedente lo dimostra,  ma che questo pensiero abbia un fondamento logico mentre almeno secondo me è tutto da dimostrare..

Dall'altro cadi comunque nel classico stereotipo dell'omosessualità maschile (la donna mancata) mentre non tutti i gay sono effeminati e non tutti gli effeminati sono gay e, anzi, forse dovremmo proprio mettere in discussione il significato della parola effeminatezza.

Infatti quando dici che questo è coerente, se ci pensi, col dato quantitativo che i "bambini rosa" risultano poi essere spesso gay in realtà stai proprio confermando quell'equivoco epistemologico che il movimento è riuscito a correggere distinguendo tra identità di genere e orientamento sessuale.

Anche se la tua idea di adeguamento a uno stereotipo sociale spiega alcuni comportamenti da checca di alcuni omosessuali maschi anche se non tutti gli effeminati sono checche... se capisci cosa voglio dire...


In ogni caso ci sono bambini che giocano con le bambole e sono eterosessuali così come ci sono bambini che giocano col meccano* che sono gay e questi controesempi dovrebbero far svuotare di senso le considerazioni opposte che si basano solamente su un pregiudizio sessista. E in ultima analisi anche le tue.

Infatti è davvero superficiale, nella teoria della fluidità di genere, leggere una non conformità in atteggiamenti così esteriori come il giocare con giochi definiti in maniera sessista, o con i vestiti o con la lunghezza dei capelli.

Se ci sono fluidità nell'identità di genere credo debbano essere cercate in elementi più profondi.

La tua spiegazione è comunque molto interessante perchè cerca di improntare un discorso meta culturale (la cultura, smepre in termini antropologici, che parla di se stessa) sui motivi per cui possiamo aderire o meno ai cliché e stereotipi di genere.



Mi sembra però che per comprendere l'intera questione dobbiamo avere un punto di vista più distante che ci dia la possibilità di una visione d'insieme. Finché usiamo stereotipi di genere per parlare di orientamento sessuale (come in fondo fai anche un po' tu) secondo me non abbiamo ancora raggiunto la giusta distanza critica.

Grazie davvero tanto per il tuo commento che mi è stato molto di ispirazione. Riscrivi! Se sei di Roma mi piacerebbe incontrarti di persona.





*Uso il meccano e non i soldatini come vuole il cliché perchè io vieterei qualunque gioco che allude alle armi e all'esercito, ama questo è tutto un altro discorso...  




Ecco il commento di Eddi

Io ho un'idea un po' diversa. Il bambino (maschio) che gioca con le bambole e si lacca le unghie, e la bambina (femmina) che si veste da uomo ragno e gioca a pallone, non sono affatto "fluidi" da un punto di vista dell'identità di genere; semplicemente non aderiscono al loro ruolo socio-identitario "eterosessuale".

Perché, Alessandro, non possiamo negare che la bambola sia socialmente percepita come gioco femminile, e il calcio come maschile, anche da un bambino. Io credo che probabilmente giocando con le bambole un bambino sta cercando di appartenere a quel gruppo sociale che attrae e seduce altri maschi; non perché abbia titubanze sul proprio genere, ma perché la società gli suggerisce che per avere l'attenzione di un maschietto devi stare in quel gruppo. Secondo me questo è esattamente il principio che induce in una quota di maschi gay l'effeminatezza; cioè l'adesione, in età evolutiva, al comportamento - socialmente stereotipato - femminile, che serve per risultare attraente ad un altro maschio. Questo è coerente, se ci pensi, col dato quantitativo che i "bambini rosa" risultano poi essere spesso gay.

Sono profondamente convinto che in una società dove esistesse un modello sociale forte e positivo di omosessualità, i gay maschi non sarebbero né effeminati né giocherebbero con le bambole.

Andrea Maccarrone nuovo presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli.

 Ecco il comunicato rilasciato da Andrea dopo la sua nomina a Presidente


Abbiamo davanti un anno importante e impegnativo in cui si terranno le elezioni politiche e a Roma si voterà per la Regione e il Comune. Ci impegneremo per dare impulso alle istanze di uguaglianza, libertà e dignità del movimento omosessuale e trans italiano.
 La crisi economica rischia di mettere in secondo piano i temi dei diritti civili che invece sono con essa strettamente correlati. Se la politica non darà risposte alle domande di diritti che provengono dalla società civile e in particolare dalle categorie di cittadini e persone più discriminati, marginalizzati o impoveriti è a rischio la coesione sociale e persino la tenuta delle istituzioni democratiche.
Le parole sul “riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali” della carta d’intenti lanciata qualche giorno fa da PD, SEL e PSI sono assolutamente vaghe e insufficienti.
Noi ci batteremo con fermezza e chiarezza per la piena uguaglianza delle coppie e delle famiglie omosessuali: è finito il tempo delle formule astruse e incomprensibili e dei compromessi al ribasso sulla nostra pelle. Questo per noi vuol dire matrimonio egualitario, adozioni, genitorialità, ma anche, ad esempio, estensione della legge Mancino sui reati d’odio a  omofobia e transfobia e norme al passo coi tempi sull’identità di genere.“ (fonte sito del Mario Mieli)
Un bel programma, condivisibile  e ragionevole che purtroppo incontrerà le resistenze di tutta la compagine politica di un paese ultracattolico qcome questa italietta del terzo millennio.

Ad Andrea e al resto del Direttivo auguro buon lavoro!


venerdì 12 ottobre 2012

Matthew Shepard (Casper, 1 dicembre 1976 – Fort Collins, 12 ottobre 1998)



October 11th is National Coming Out day. It is also one day before a very sad anniversary–the death of University of Wyoming student Matthew Shepard, who was beaten, tortured and killed outside of Laramie, Wyoming in 1998. Matthew was brutally murdered because he was gay. His killers pistol-whipped in the head and tied him to a fence, leaving him to die. Astonishingly, at his trial, one of his attackers claimed that he simply panicked, and was driven to “temporary insanity,” upon learning Matthew was gay. The truth was, the two men premeditated the murder, pretending they were gay in order to befriend Matthew and then rob and kill him. One defended pleaded guilty, and the other was found guilty of felony murder, sentenced to life imprisonment without parole. Matthew’s death brought about calls for stricter hate crime legislation. Under Wyoming and Federal law at the time, LGBT persons were not included within existing hate crime definitions. The battle to bring about this change was not easy. It took nearly 20 years of lobbying, votes, threats of vetoes, and partisan bickering before a Federal law included LGBT persons within the definition. On October 28, 2009, President Obama finally signed the Matthew Shepard Act into law. I came out publicly in 2005, though I had been out privately for many decades with friends and family. My decision stemmed from a desire to stand up and be counted, so that I could help people see the human side of how bigotry, hatred and intolerance affects others. Coming out is never easy, and often never ending. If you have gay, lesbian or bisexual friends who have come out to you, take the time to thank them today for their courage, and for helping to make a difference in the lives of others, especially of young people like Matthew Shepard who bear so much of the burden of homophobia, bullying and violence against LGBT people. Thank you. And Matthew, I promise you, we will remember. –

George Takei

giovedì 11 ottobre 2012

Test HIV fai da te? No grazie!

Leggo sul sito del Mario mieli la notizia che Arriva in America il test fai da te.

Un test cioè, si legge sul post, da eseguire a casa propria.  

Si chiama OraQuick, e, si dice nel post
L’uso (..) è piuttosto semplice. All’interno della confezione c’è un bastoncino simile a quello per la verifica dello stato di gravidanza. Basterà passarlo una sola volta nello spazio tra il labbro inferiore e la gengiva (ma è possibile anche appoggiare all’estremità dello stick una goccia di sangue estratta dal dito) e riporlo nel dispositivo di analisi all’interno della confezione.
In realtà chi ha scritto il post confonde due tipi diversi di test da fare in casa.

OraQuick prevede solo la raccolta dei fluidi vicino alle gengive come è mostrato dal disegno tratto dal sito,


dove si specifica che non è richiesto assolutamente il sangue.

Il test da fare col sangue è un altro, di un'altra casa farmaceutica,  commercializzato col nome di HIV test yourself.

Entrambi i test costano, nesli States 40 dollari. HIV test yourself si può acquistare  anche in Italia al costo di 70 euro...

Nel post del mieli si sottolineano i vantaggi del test casalingo dicendo che
Il test va ad aggiungersi ai numerosi strumenti che hanno reso la vita delle persone che si avvicinano alla malattia più facile,
Ora, come si sa, l'aids non è una malattia ma una sindrome... Ma tant'è.

Fare il test, poi, non vuol dire avvicinarsi alla malattia ma, si spera almeno, tenersene lontano!
Di nuovo, tant'è.
promettendo di limitare le situazioni che tipicamente generano ansia: l’attesa del risultato; la frustrazione di non verificare il proprio stato di salute con la giusta scadenza (almeno una volta ogni tre mesi con i moderni sistemi di analisi del sangue);
Non capisco a cosa si riferisca la frustrazione? Chi mi vieta di fare il test ogni 3 mesi, gratis, in ospedale?
le code in ospedale la mattina presto e a digiuno.
A digiuno è una bufala, perchè il test HIV (solo Hiv non da fare assieme ad altri test ematici) lo stato di digiuno è ininfluente.
Almeno così riporta il sito www.anlaidsonlus.it e comunque ognuno che ha fatto il test sa che il digiuno non è richiesto.
Ogni volta che lo faccio io allo Spallanzani non è richiesto. Ancora, tant'è. Il post continua con un altro dato errato.

Chi vorrà potrà acquistare ogni volta che vorrà OraQuick per 60 dollari, meno di 50 euro,
le cifre, come abbiamo visto,  sono 40 dollari negli USA e 70 euro in un sito italiano (solo per uno dei due test essendo l'altro non ancora in commercio in Europa).
e avere immediatamente la risposta che cerca.
Adesso visto che comunque se il test dovesse risultare positivo mi viene comunque richiesto  il test in ospedale, dove è gratuito, anonimo, né serve presentare ricetta medica, perchè dovrei spendere 40 dollari (o 70 euro per quello commercializzato in Italia) quando posso avere un risultato più affidabile e sicuro gratis?

Non si capisce...

Tra l'altro, come è scritto nelle istruzioni di  OralQuick che si possono caricare dal sito

*

Presentare il test fai da te come uno strumento di controllo attendibile è socialmente pericoloso perchè il test fatto in casa fuori da ogni controllo medico è meno attendibile di quello fatto in ospedale e se, comunque, si richiede un altro test in ospedale nel caso si risulti positivi, tutti i vantaggi del test vanno a farsi benedire.
Inoltre ricevere il risultato del test (soprattutto se positivo) da un medico è sempre meglio che riceverlo da soli in casa. 

Altro dato controverso l'attendibilità del test casalingo.

Il post del mieli riporta  che
Il risultato ha un’attendibilità del 93%, secondo la Food and Drug Administration.
Mentre un articolo pubblicato sul sito significancemagazine dà altri dati:

Researchers found that that 92% of people who are HIV positive received a positive test result. This is called the "sensitivity" of the test. They also found that 99.98% of people who were HIV negative received a negative test result. This is called the "specificity" of the test.
In terms of numbers, this means that about 2 in every 25 people who have HIV will receive a false negative test, and 2 in every 10,000 people without HIV will receive a false positive result**.


Dei vantaggi del test fatto in casa riportati nel post non vedo uno che sia un concreto motivo per preferirlo a quello in ospedale.
Non economico,
non per la precisione.
Nemmeno per la privacy visto che anche le persone minorenni possono fare il test da soli mentre negli States il test è venduto a persone che hanno almeno 17 anni...

Anche l'effetto finestra è lo stesso dei test fatti in ospedale, quindi...


Insomma mi sembra che l'unica novità di questo test sia consumistica.

Prima lo potevi fare solo in ospedale ora lo puoi fare a casa.

Se sei ricco e hai dai 40 dollari ai 70 euro da buttare via, tra un controllo e l'altro in ospedale, puoi pure fare questo test tanto per essere rassicurato in the between ma questo testo non sostituisce l'accuratezza e la serietà di quello in ospedale... 

Il post del Mario mieli parla di tutto questo? Si e no. Parla di polemiche (cioè non di problemi veri e concreti ma esagerati e gonfiati ad arte per uno scopo...) e dice che
L’entrata in commercio del test non è però esente da polemiche.Oltre agli indubbi benefici ci sono anche aspetti negativi di cui tenere conto, ad iniziare dal suo eventuale abuso come, ad esempio, su un posto di lavoro prima dell’assunzione o da parte delle compagnie assicurative.
E non so a cosa si riferisca visto che - almeno in Italia - nessuno può imporre il test e che non può essere somministrato a tua insaputa in maniera illegale visto che o ti devono pungere un dito o ficcare un tampone in bocca...
Per non parlare della percezione del rischio che secondo gli operatori potrebbe calare con un accesso così semplificato alla procedura di verifica del proprio stato di salute.
Secondo gli operatori. E secondo l'autore del post? Secondo il Mario Mieli che è un operatore nella città di Roma?


Ecco un post allineato all'inaccuratezza dell'informazione italiana...

Comperate il test, tra un I-Phone e un viaggio gayfriendly alle Bahamas...

Tanto -  si sa - i gay i soldi ce li hanno...




per quelli di voi che non leggono l'inglese

*Un risultato positivo con questo test non significa che
     si è sicuramente infetti da HIV, ma piuttosto che un
     ulteriore test dovrebbe essere fatto in un ospedale.

     Un risultato negativo con questo test non significa che non si
     è sicuramente non infetti da HIV, in particolare quando
     l'esposizione al virus può essere avvenuta nei precedenti 3 mesi.

     Se il test è negativo e ci si impegna in attività che mettono
     è a rischio di HIV su base regolare, è necessario verificare regolarmente.

     Questo prodotto non deve essere utilizzato per prendere decisioni su
     comportamenti che possono aumentare il rischio di una esposizione all'HIV.


**
I ricercatori hanno scoperto che il 92% di persone che sono sieropositive ha ricevuto un risultato positivo. Questo è chiamato "sensibilità" del test.
Hanno anche scoperto che
il 99,98% delle persone che sono HIV negative hanno ricevuto un risultato negativo del test. Questo è chiamato "specificità" del test.

In termini di numeri, questo significa che circa 2 ogni 25 persone che hanno l'HIV riceverà un falso negativo, e 2 in ogni 10.000 persone senza HIV riceverà un falso positivo.

Coming out day. Che sia un giorno di autoemancipazione e non di autoaccettazione.

Il Coming Out Day si è tenuto per la prima volta negli USA l'11 ottobre 1988 l'idea di celebrare il coming out con un giorno ad esso dedicato fu di Robert Eichberg, psicologo del New Mexico, e Jean O'Leary, politico ed attivista LGBT di Los Angeles, durante il workshop The Experience and National Gay Rights Advocates, scegliendo come data simbolica quella della seconda marcia nazionale su Washington per i diritti delle lesbiche e dei gay tenutasi l'11 ottobre 1987. Del 1990 ha iniziato a dare il suo importante contributo alla celebrazione del Coming Out Day la Human Rights Campaign.
Dal 1995 Candace Gingrich è la portavoce del Coming Out Day.Il Coming Out Day è celebrato, oltre che negli USA, anche in Australia, Canada, Croazia, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Svizzera e Regno Unito*.

Coming out è la versione breve dell'espressione inglese coming out of the closet (“uscire dal ripostiglio” o “dall’armadio a muro”) cioè ammettere apertamente di essere gay, (ma, in inglese può anche significare più generalmente ammettere apertamente qualcosa che prima si teneva segreto.

Il coming out ha una forte valenza politica perchè dà visibilità a un orientamento sessuale che la società eterosessista vorrebbe relegato nella sola camera da letto.

Quante volte ci siamo sentit* dire: ma perchè lo ostentate? Non mi interessa cosa fate in camera da letto.
Il problema naturalmente non è quello che facciamo in camera da letto.
Perchè nel privato delle proprie abitazioni due cittadini adulti e consenzienti possono fare quello che vogliono, se non violano la legge, e l'omosessualità (o la sodomia) non sono vietate in Italia.

La visibilità che manca non è sessuale ma morale, esistenziale.

Un ragazzo o una ragazza omosessuali devono poter avere la stessa possibilità delle persone etero di manifestare non già le proprie preferenze sessuali, ma la propria affettività, la propria affinità spirituale per le perone dello stesso sesso con le quali fanno sesso, sì, ma, anche, amano, provano affetto per, sono coinvolte emotivamente e spiritualmente.

Lo stigma pesantissimo che si traduce non solo in manifestazioni di  pubblico ludibrio ma arrivano all'aggressione verbale e fisica (così violenta da portare anche alla morte) induce le persone omosessuali a rimanere nascoste, non dichiarate, velate, non tanto e non solo per paura del giudizio altrui, per quello che pensa la gente di loro ma per sottrarsi a battute, aggressioni, sputi, calci, coltellate, carcere, processi, impiccagione (fuori dall'Italia ma pur sempre su questo Pianeta).

La valenza politica del coming out è dunque evidente e va spiegata solo a chi non ha mai vissuto sulla propria pelle lo stigma sociale.

Purtroppo al al coming out è collegata invece una retorica dell'accettazione che si dimentica della pressione sociale e sottolinea come 
Il Coming out (...) è (...) frutto di un percorso di crescita, di accettazione personale
come scrive Tizana Biondi sul sito Stonewall, spiegando come

Prima di arrivare al coming out pubblico bisogna passare da quello che viene definito coming out interiore, ovvero quello della completa accettazione della propria omosessualità. Questo percorso che per molti può durare mesi o anni, per altri può non completarsi mai, a causa di vari condizionamenti familiari, sociali e soprattutto religiosi.



L'autoaccettazione è un concetto che mi pesa e mi angoscia.
Perchè dice, implicitamente, che l'omosessualità è un fardello da accettare di per sé.

Pensate un po' se i neri o le donne, quando hanno fatto la loro lotta di autoemancipazione avessero detto come neri e come donne  dobbiamo accettarci! Accettarci?
Loro scendevano in piazza per denunciare una discriminazione non per chiedere accettazione.

Se lo stigma è sociale devo avere il coraggio di dire e mostrarmi per quello che sono.

Se non mi accetto è per delle pressioni sociali esterne non perchè, oggettivamente, l'omosessualità sia una menomazione cui rassegnarsi.


Non ci si deve accettare si deve imparare a vivere in un mondo che stigmatizza.

Quel che si deve accettare sono casomai le conseguenze dello stigma  che non devo impedirci di vivere per quello che siamo alla luce del sole.
Non la propria condizione. La discriminazione, che non deve essere un deterrente e che, anzi , va denunciata  e combattuta. Il significato politico del coming out è tutto qui.


Siamo sicuri che quando si palra di autoaccettazione  invece che autoemancipazione   si voglia dire questo?

Che quando su Spetteguless si scrive
(un giorno per prender coraggio e gettare in terra la maschera che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo indossato. (...)  Per prendere forza e coraggio, ed urlare al mondo ‘sono gay’. Perché checché se ne dica l’accettazione è tutto, personale ed altrui, e mai come domani quella tanto attesa sensazione di libertà potrebbe esser finalmente vostra.
Io temo di no.

Credo che per un tic cattolico tutte e tutti pensiamo all'omosessualità come un accidente che ci è capitato e che prima accettiamo meglio è.

Altrettanto deleteria è la retorica del raccontarsi, che trovo davvero disgustosa.

Le persone etero hanno forse mai dovuto confessare la loro inclinazione?

E perchè mai lo dovrei fare io?

Il coming out non significa dire sono gay.

Io a mia madre non ho mai detto mamma sono gay.

Le ho detto: mamma questo è Paolo. Il mio fidanzato.

Capite la differenza?

Non dico di essere gay. Vivo la mia vita affettiva e sessuale normalmente come la vivono le persone etero senza ostentare né nascondere. 


La visibilità è una risposta politica a chi ci vorrebbe invisibili.


La testimonianza vale lo stesso. E' politica quando racconti dello stigma che subisci non quando confessi ai tuoi una cosa perfettamente normale.

E se i genitori ti cacciano di casa lo possono fare per tanti altri motivi non solo per lo stigma omofobico.

Se tuo padre vuole che tu faccia il medico ma tu vuoi fare il cantatutore e quando glielo dici ti risponde allora non ti mantengo più a nessuno verrebbe in mente di dire quando hai scoerto di essere ...cantautore, come l'hai detto ai tuoi.


Questa retorica del coming out è squisitamente omofobica e va rifiutata.

Se parlo della mia omosessualità è per denunciare lo stigma sociale, il mancato riconoscimento di alcuni diritti, non perchè voglio mostrare  tutti che non mi vergogno ad avere una mano in meno o un occhio in più.

Cave canem.

Non sto criticando chi si vergogna o chi non si accetta. Non sto nemmeno dicendo che non ci sono gay e lesbcihe che non si accettano o si vergognano.

Per loro ho il massimo rispetto e comprensione.
  Io critico la militanza che invece di mostrare a queste persone con i propri discorsi e la propria accoglienza che non c'è niente di cui vergognarsi e che non ci si deve accettare ma ci si deve autoemancipare che non vuol dire affatto accettarsi ma sottrarsi allo stigma di cui si è vittime che è tutt'altra cosa, indulgono cattolicamente all'accettazione.




*fonte Wikipedia

Post frivolo 2: ragazzi che mi piacciono delle pubblicità

Stavolta sono due.
Carini entrambi. Ma la cosa che mi innamora sono le espressioni del viso che fanno quando dissimulano di aver vinto un premio...

Quelle però potete coglierle solo guardando il video...













 

Ed ecco lo spot.

martedì 9 ottobre 2012

Il moralismo del militante lgbt: su un post di Mattia Surroz

Leggo su Quore, il sito lgbt torinese, un post nel quale Mattia Surroz scrive un'invettiva contro chi, nei siti di rimorchio, non mette foto del viso.
Surroz parla 
[di] chat, che siano siti web dedicati a favorire incontri e conoscenze piuttosto che applicazioni per smartphone è irrilevante. 
Cioè, aggiungo io tanto per essere chiari,  di siti dove incontri gente per scopare.

 Per Mattia si tratta di
una precisa tipologia di omosessuale (...) [che] nel proprio profilo non mostra nessuna foto del viso (...). 
La rabbia scaturisce da quella che considero una scorrettezza di fondo (...): “per quale motivo dovrei rispondere ai complimenti di qualcuno di cui non conosco neppure i connotati?”.
Per me  il viso costituisce almeno l'80% dell'attrattiva sessuale di un ragazzo, o di un uomo, se non vedo il viso le parti anatomiche mi sono del tutto indifferenti.
A me non piace il cazzo, spiego loro quando chiedo foto del viso, mi piace il cazzo di.
Se mi piace il viso del ...proprietario  mi piacciono anche gli attributi, non viceversa.
Invece per molti gay quel che conta sono le dimensioni e il viso è secondario.

De Gustibus, per carità.

Anche se in questo atteggiamento posso notare una certa autoreferenzialità del cazzo (e delle sue dimensioni) andiamo tutti su quei siti per scopare e ognuno scopa con chi vuole e come vuole (maggiorenni e consenzienti beninteso).

Surroz si arrabbia per ben altri motivi.
(...) non mostrarsi è una scorrettezza, (...) ma è [anche] sintomo di un problema profondo.
Sono giunto alla conclusione che chi si nasconde ha sicuramente un problema da risolvere, e i casi non sono poi molti.
Iniziando una casistica che tradisce, secondo me, un atteggiamento moralista.
Pochi, immagino, non si mostrano perché si considerano brutti o poco avvenenti.
Strana considerazione visto che sei in un sito di incontri e, prima o poi, ti vedranno.  Mi sembra più una battuta cattiva per criticare chi non ci mette la faccia ma altre parti del corpo, le uniche davvero importanti per molti frequentatori di questi siti...
Altri, molto più numerosi, non si mostrano perché cercano in segreto scappatelle fuori dalla loro relazione.
Altri ancora, una percentuale inquietantemente rilevante, nonché una sotto-categoria della precedente, riguarda uomini, a detta loro eterosessuali, fidanzati, sposati, spesso padri.
Gli ultimi, e anche questi sono moltissimi,  invece  cercano incontri clandestini, chiedono massima riservatezza per preservare il segreto della loro omosessualità, non essendo dichiarati.
Sfugge a Surroz che molti possono decidere di non mettere foto per motivi di privacy che non riguardano l'orientamento sessuale ma il fatto che stanno cercando qualcuno con cui scopare.

Infatti lo stesso identico comportamento esiste anche nei siti etero dove ci sono uomini che cercano donne e che non mettono la faccia.
La faccia la mostrano in privato, in webcam, o inviandoti una foto via mail, come anche gli uomini dei siti di rimorchio gay.


Non capisco poi  (cioè lo capisco benissimo) cosa voglia insinuare la specificazione a detta loro eterosessuali, fidanzati, sposati, spesso padri.
 
Evidentemente per Surroz se un uomo fa sesso con un altro uomo non può essere eterosessuale ma solamente gay.
Di più se si definisce etero e poi fa sesso anche con uomini è un gay represso, che si nasconde.

Eppure la psicanalisi  distingue il comportamento sessuale (=con chi fai sesso) dall'identità sessuale (=in quale orientamento sessuale ti identifichi).

In ogni caso un padre di famiglia sposato (o convivente...) non è necessariamente omosessuale può anche essere bisex.

Cioè è un uomo che ha un comportamento sessuale bisex ma ha una identità sessuale etero (o bisex).
Per la psicanalisi non c'è nulla di patologico o di negativo in questo.
Per Surroz sì.

Una medaglia con due facce: la prima rappresentata dalla viltà di chi non si è  preso la responsabilità di quello che è, che ha trovato soluzioni alternative, che spesso si trova a rovinar la vita a se stesso e a chi gli vuole bene; la seconda da chi invece lo ha fatto e deve necessariamente lavorare anche per tutti gli altri, e lottare contro un sistema alimentato da bigottismo, retaggi culturali  e religiosi.
Dunque per Surroz se un uomo sposato con una donna (purtroppo in Italia di questa specificazione non c'è bisogno ma fossimo in altri Paesi sì) fa sesso con alti uomini è necessariamente un omosessuale che vive quello che è in maniera clandestina, e rovina anche la vita a chi gli vuole bene.

Peggio per Surroz questi uomini sono

stronzi che si limitano a cercare sesso occasionale e poi tornano alle loro tristi vite di menzogne e omissioni.
Vorrei chiedere a Surroz cosa fanno gli altri uomini, quelli che, come il sottoscritto, ci mettono la faccia. Che forse noi non cerchiamo sesso occasionale?

Allora non è il sesso occasionale a dirimere la questione.

Nè il fatto che si faccia sesso occasionale anche se si ha una storia fissa.

Perchè non mi sembra che a Surroz abbia qualcosa da ridire sul tradimento di per sé.


Un uomo sposato con una donna che fa sesso occasionale con partner dell'altro sesso non fa lo stesso male alla moglie che gli vuole bene. Perchè non gli nasconde la sua vera natura, che è gay, incompatibile con quella etero che finge solo di volere...

Ma Surroz che ne sa?

Le scappatelle dell'uomo sposato vanno bene solo quando restano nell'alveo dell'eterosessualità.

Altrimenti devi scegliere una delle due sponde.  O resti con la moglie e hai figli o sei gay. Niente opzione bisex... Tertium non datur.


Mi sembra che Surroz confonda la paura di fare coming out con la paura che venga scoperto che tradisce.

Mi sembra un modo troppo semplificatorio e unilaterale di vedere la faccenda.

Da un lato siamo tutti o gay o etero (la bisessualità non esiste). Dall'altro se non mettiamo la faccia siamo tutti o brutti o abbiamo paura di dire che siamo gay.

In questa vocazione classificatoria io ci vedo un  paternalismo moralista che giudica il comportamento del prossimo.

Anche fosse vero quel che dice Surroz, io tratterei questi padri di famiglia (ma per Surroz possono essere anche ragazzi che non avevano il coraggio di vivere sotto la luce del sole) con più rispetto, perchè sono vittime dello stigma e dell'omonegatività che vanno bel al di là del sistema alimentato da bigottismo, retaggi culturali  e religiosi come pretende Surroz e riguardano invece la società intera, la televisione e tutti gli altri media, le leggi dello Stato, i luoghi pubblici, scuole e posti di lavoro, luoghi di intrattenimento dove le persone omosessuali vengono derise aggredite e uccise.

Non tutti abbiamo la forza, la determinatezza, il coraggio o i mezzi materiali  e morali di vivere alla luce del sole e i motivi per cui non riusciamo a farlo celano sempre un disagio che va compreso prima che giudicato.

Trovo ridicolo poi che si sollevi questa questione non già per una iniziativa pubblica (una manifestazione, un  sit in) ma in un sito dove si va per scopare!

A questo militante che cataloga tutti i bisex come froci repressi e poi li accusa di non contribuire alla lotta ricordo che sta discriminando dei bisex o magari anche omosessuali nascosti ma che con questa intransigenza frocia (cioè isterica) non aiuta né loro, che si rintuzzeranno nel loro nascondiglio ancora di più, né la causa.

Perchè se la visibilità è sicuramente un forte strumento politico non si può mai accusare di remare contro chi per motivi di stigma non fa coming out.

Surroz farebbe bene a ricordare che ognuno ha diritto di rimanere velato fin quanto lo reputa necessario. E che è altamente discriminatorio aggiungere anche lo stigma della non visibilità a chi proprio per lo stigma non è visibile.

A meno che chi non è visibile non parli male dell'omosessualità e poi abbia un comportamento omosessuale nel qual caso esiste l'outing.

Ma nascondersi, o semplicemente tradire la moglie invece che con un'altra donna con un uomo non vuol dire parlare male dell'omosessualità.

Questa Gestapo della militanza mi sembra talmente antidemocratica da darmi quasi più fastidio delle ecolalie dei vari Giovanardi di turno.


L'intransigenza frocia è figlia del moralismo cattolico e va rispedita al mittente con calma ma convinta fermezza.